L’autonomia differenziata spacca il paese

Dal Coordinamento per la DEMOCRAZIA COSTITUZIONALE: Contro un’Autonomia differenziata che nega eguali diritti e spacca il paese

La crisi sanitaria, economica e sociale derivante dalla pandemia ha posto in immediata evidenza le intollerabili diseguaglianze, accresciute progressivamente nel tempo e aggravate oggi dalla crisi conseguente alla guerra in Ucraina, nel godimento di diritti fondamentali come la salute, l’istruzione, la mobilità, il lavoro. Si è segnalata da più parti la necessità di rafforzare il ruolo dello Stato a tutela dell’eguaglianza e dei diritti, con la formulazione e implementazione di politiche pubbliche forti finalizzate a ridurre i divari territoriali e consolidare l’unità del paese. L’urgenza di una iniziativa così indirizzata è in specie sottolineata dalla necessità di attuare il Piano nazionale di ripresa e resilienza secondo le indicazioni e i tempi dati dall’Europa. Mentre una pericolosa spinta in senso contrario si ricava dalle persistenti richieste di autonomia differenziata avanzate da alcune Regioni senza tenere conto delle esigenze di un’Italia unita e solidale. Spinta che potrebbe oggi concretizzarsi con il Governo Meloni, il cui programma prevede l’autonomia differenziata, affidata per l’attuazione al ministro leghista Calderoli.

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Penna: “A REGGIO, NORD E SUD UNITI NELLA LOTTA”

A REGGIO: “NORD E SUD UNITI NELLA LOTTA” *

di Renzo Penna – A cinquanta anni di distanza (22 ottobre 1972-2022) ricordiamo la straordinaria manifestazione sindacale di metalmeccanici, chimici, tessili, edili e braccianti della Cgil a Reggio Calabria per la democrazia, la ripresa del Sud e contro i fascisti di “boia chi molla”.

A Genova (29 settembre – 2 ottobre 1972), nel corso dell’Assemblea unitaria dedicata all’elaborazione della piattaforma contrattuale, nasceva la FLM (Federazione lavoratori metalmeccanici) e sulle bandiere rosse le tre lettere prendevano il posto di FIM-FIOM-UILM. La FLM rappresenterà la categoria per 12 anni (1972-1984) nelle rivendicazioni aziendali e contrattuali, a livello nazionale come sul piano internazionale. L’Assemblea di Genova dei metalmeccanici, nella sostanza, approva i contenuti della piattaforma contrattuale che era stata sottoposta alla consultazione delle fabbriche: essa conteneva obiettivi fortemente innovativi come la rivendicazione di un diritto all’informazione preventiva sulle politiche di investimento delle imprese; l’istituzione di un controllo sull’ambiente di lavoro, attraverso la creazione dei registri ambientali e dei libretti individuali, sanitari e di rischio; l’inquadramento unico operai-impiegati in cinque categorie; la retribuzione di 150 ore individuali per le attività di formazione dei lavoratori. Oltre alla richiesta di un aumento salariale di 18.000 lire uguale per tutti, il consolidamento della settimana di 40 ore su 5 giorni lavorativi, 38 ore settimanali a parità di salario per i siderurgici, la riduzione dello straordinario e per le ferie la parità normativa operai impiegati nonché l’avvicina[1]mento per i trattamenti di anzianità.

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Liliana Segre: “Il discorso al Senato”

Il testo del discorso con cui la senatrice a vita Liliana Segre ha aperto a Palazzo Madama la seduta per il voto del presidente del Senato, giovedì  13 ottobre 2022

Colleghe Senatrici, Colleghi Senatori,

rivolgo il più caloroso saluto al presidente della Repubblica Sergio Mattarella e a quest’Aula. Con rispetto, rivolgo il mio pensiero a papa Francesco.
Certa di interpretare i sentimenti di tutta l’Assemblea, desidero indirizzare al presidente emerito Giorgio Napolitano, che non ha potuto presiedere la seduta odierna, i più fervidi auguri e la speranza di vederlo ritornare presto ristabilito in Senato.
Il presidente Napolitano mi incarica di condividere con voi queste sue parole: «Desidero esprimere a tutte le senatrici e i senatori, di vecchia e nuova nomina, i migliori auguri di buon lavoro, al servizio esclusivo del nostro Paese e dell’istituzione parlamentare ai quali ho dedicato larga parte della mia vita».
Rivolgo ovviamente anch’io un saluto particolarmente caloroso a tutte le nuove Colleghe e a tutti i nuovi Colleghi, che immagino sopraffatti dal pensiero della responsabilità che li attende e dalla austera solennità di quest’aula, così come fu per me quando vi entrai per la prima volta in punta di piedi.

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Filippo Boatti: “Meloni, adesso togli quella fiamma”

La destra vince ma non sfonda nel paese, come era atteso e anche grazie alla rimonta di Conte-M5S. Certo la sua forza elettorale è moltiplicata da una legge elettorale indecente e incostituzionale che Letta e la Meloni di comune accordo non hanno voluto modificare. Ma la realtà è che gli italiani, i pochi che vanno ancora alle urne beninteso, non sanno più letteralmente a che santo votarsi e i voti della Meloni vengono principalmente dai suoi alleati di destra che li perdono per la senescenza di Berlusconi da un lato e per le comiche disavventure della Lega dall’altro. Gli operai e le classi popolari abbandonate dal falso centrosinistra neoliberale italiano, i cui riferimenti sono gli imprenditori e i mercati (e si vede numericamente, infatti non vince mai un’elezione pur essendo sempre al governo) erano già passati alla concorrenza da molto tempo da quando Berlusconi sconfisse Chiamparino all’uninominale nel collegio di Mirafiori, e da quando i ricchi borghesi milanesi eleggono il sindaco di Milano mentre il resto della regione è tutto “verde”.

Non che la denominazione di “centrodestra” abbia alcun riferimento con la realtà in una coalizione dove di moderato c’è ben poco. L’addolcimento della durezza dell’acqua della “destra” con gli ioni del “-centro” deriva un po’ dall’ipocrisia dei giornali dell’establishment che più di venti anni fa hanno rapidamente accolto Berlusconi e i suoi accoliti nel “salotto buono”; e un po’ dalla natura borghese e salottiera di questa destra, che se dovesse pensare di marciare su Roma non saprebbe neppure da che parte cominciare. Sono i sogni che fa La Russa di notte ma che, quando si sveglia al mattino, sa di non poter realizzare anche perché la prospettiva della discoteca è giustamente più attrattiva.

In realtà abbiamo a che fare col solito centrodestra, coi soliti protagonisti di sempre, da Tremonti a La Russa alla Santanché, con Nordio, Sgarbi, Marcello Pera ecc. che rimane elettoralmente compatto (anche se non politicamente) mentre i poveri elettori, ormai anche loro disperati come quelli del PD, passano da una lista all’altra della coalizione a seconda delle condizioni del momento. Questa volta era il turno della “Giorgia” nazionale la cui discendenza diretta dal partito post-fascista per eccellenza ne fa all’estero una osservata speciale con tutte le conseguenze negative per la nostra già ridotta autonomia di scelta e di governo che si possono immaginare.

Certo Giorgia Meloni si è dannata tanti anni alla ricerca di una identità conservatrice “moderna”, rendendosi benissimo conto che la nostalgia del Duce è un residuato bellico completamente inservibile, utile a tener buono uno zoccolo duro elettorale dove ancora l’idea che Mussolini “ha fatto anche cose buone” alligna con qualche radicata nostalgia. Ma stavolta accade l’imprevisto alla stessa Meloni: ha vinto lei le elezioni ed essere la prima donna virtualmente presidente del Consiglio è solo la minore delle novità, la cosa che più la terrorizza (come ha notato perfidamente Crozza) è che adesso le tocca veramente governare, e qui non si scappa, servono idee e programmi mentre a disposizione ha solo un mucchio di slogan consumati e vecchie parole d’ordine, come il presidenzialismo, del tutto inservibile se si pensa che la vera grande sfida contemporanea è quella di riportare l’economia sotto il controllo della politica, sottraendola alla sovranità assoluta e ai capricci autoritari dei Mercati.

Allora la Meloni, oltre a tutta la paccottiglia di Atreju (ci scusino l’autore della “Storia infinita” Michael Ende che era un convinto antifascista e anche il povero Tolkien stupidamente politicizzati dall’estrema destra italiana) – paccottiglia utile dicevamo in qualche modo a creare un mondo fantastico dove potersi rifugiare via dalla realtà di un mondo occidentale (e non solo) sempre più democratico, e che aveva nettamente rigettato il fascismo, ha visto dunque la Meloni in Orban e soprattutto in Trump, e nella partecipazione al CPAC americano, la componente di estrema destra del partito repubblicano, l’occasione per trovare un’identità conservatrice forte, capace di ingaggiarsi in battaglie identitarie e culturali (evitando accuratamente di parlare di questioni economiche e sociali dove non si distingue dal mainstream neoliberale) che fosse trainante alle elezioni. E sicuramente lo è. Perché il fascismo di ieri è inservibile, con le sue marcette e i suoi orbaci, il fascismo di oggi è l’internazionale sovranista (*) guidata dai Trump e dai Boris Johnson a occidente, e dagli Orban e dai Putin coi suoi ideologi come Dugin a est (le cui idee ispirate a Evola hanno avuto molto successo nella destra e fra i “sovranisti” europei). Trump in particolare si è dimostrato particolarmente pericoloso, un vero e proprio genio del male, capace di inventarsi un buffo tentativo di colpo di stato guidato da un tizio con un palco di corna sulla testa ma efficace e quasi riuscito, dove sono morte molte persone per arma da fuoco, è il caso di ricordarlo, il 6 gennaio 2021 in un paese che sembrava del tutto immune da simili tentazioni o derive.

Il problema è che la Giorgia nazionale vorrebbe, anelerebbe a questa dimensione luciferina trumpiana, ma non è. Non è all’altezza. E’ piccina. Il golpe lo fa Trump capace di unire gli ultra-miliardari alla classe operaia abbandonata dai dem. Non la classe media o benestante che sostiene la Meloni (nell’ambito del centrodestra gli operai votano tuttora di più la Lega che non Berlusconi o FdI). Siamo quindi al più classico dei vorrei ma non posso. Come è piccino Salvini che vorrebbe anche lui, ma più che altro si atteggia, e finisce per collezionare sberleffi come quando in Polonia fu cacciato e deriso dal sindaco di Przemysl, Wojciech Bukan, che gli rinfacciava la t-shirt di Putin indossata da Salvini nei suoi tragicomici selfie sulla Piazza Rossa. La natura di Giorgia Meloni è quella di una ultra-destra parolaia, ma con poca sostanza nel concreto. Già la Le Pen in Francia, che ha la stessa identica “fiamma” del postfascismo nel logo del partito, è poco più che una simpatica vitellona di provincia (in senso felliniano ça va sans dire) che due ore dopo avere perso le elezioni presidenziali del 2017 era già in discoteca a ballare per consolarsi della malasuerte. Come del resto è stato molto più pericoloso Berlusconi, quando era in forma, col suo tele-populismo padronale antesignano di Trump che non qualunque reduce o nostalgico della fiamma tricolore (oltretutto stiamo parlando dei figli e nipoti dei fondatori che qualche tentazione di golpe invece ce l’avevano avuta).

Inoltre la Meloni è pur sempre una post-fascista in un paese con una Costituzione saldamente antifascista, che ha garantito anche la rappresentanza del Movimento Sociale e della destra (come dice Corrado Guzzanti: è facile essere fascisti in un paese democratico, provate a essere democratici in un paese fascista!) e dove una vasta maggioranza degli italiani è antifascista (anche se magari non condivide l’uso strumentale che la sinistra ufficiale ha fatto e fa tuttora dell’antifascismo, fino a banalizzarlo, ma di questo parleremo eventualmente un’altra volta).

Naturalmente ci sono gravi rischi di altro tipo, concernenti alcuni diritti civili importanti, come quello all’aborto (su cui occorrerà vigilare), il trattamento umano verso i migranti, ecc. Mentre per quanto riguarda menare gli studenti in piazza e mandarli a morire sul lavoro non sicuro e non pagato, questa è una specialità del PD il cui record è difficile da eguagliare anche da parte della destra. Sicuramente occorrerà da parte del parlamento e della società civile un controllo attento. Ma per quanto riguarda i diritti sociali ed economici, non vi è praticamente nessuna differenza coi governi del PD, a parte il tentativo del PD di riverniciarsi di “rosso” a 15 giorni dalle elezioni a cui però ovviamente nessuno più crede. Tanto che la famosa “agenda Draghi” smarrita dai poveri Letta e Calenda è stata miracolosamente ritrovata proprio da Giorgia!

Ma i rischi della “fiamma” sono invece legati al danno di immagine e dunque sostanziale che l’Italia e il governo italiano – a guida auspicabilmente di Giorgia Meloni che ha il diritto-dovere di governare dopo l’esito elettorale a lei favorevole – stanno già incontrando e incontreranno nel contesto internazionale dove se si vuole recuperare peso e posizioni, occorre essere credibili se si vuole perseguire l’interesse nazionale: lo slogan preferito di Giorgia, che però non ha la benché minima idea su come attuarlo né programmi credibili di re-industrializzazione del paese ed è già costretta ad affidarsi ai magheggi finanziari di lord Draghi.

L’imbarazzante fiamma del movimento sociale dei nostalgici di Salò che ha origine, ormai lo sanno in tutto il mondo, dall’ideale braciere perenne che arde, esotericamente e lugubremente, sulla tomba del Duce a Predappio non è un bel biglietto da visita nella scena internazionale.

Questo è qualcosa che all’estero ci danneggia, siamo pur sempre il paese che il fascismo lo ha inventato ed esportato, e se vuole essere credibile Giorgia Meloni, se non vuole essere una sorvegliata speciale, con un governo destinato a non durare e a essere sostituito dall’ennesimo “tecnico” (il PD e Calenda non vedono l’ora) deve levare quel simbolo dal logo del partito. Questo stimolerebbe anche l’opposizione a uscire finalmente dal “teatrino della politica” e non limitarsi a facili attacchi strumentali, ma a inventarsi un reale percorso politico, democratico e partecipativo che porti prima o dopo a una credibile alternativa di governo. Capisco che non puoi fare un congresso della destra nazionale mentre stai pensando a formare il governo, con gli alleati che ti ritrovi, sei terrorizzata dalla situazione dei conti pubblici, devi affrontare una guerra in corso e una recessione in arrivo. Ma per quanto mi riguarda sono generoso e mi accontento di un annuncio, un intervista, ecc. che avrebbe già il suo effetto salutare nel dimostrare un minimo di serietà di intenti. Vuoi difendere l’interesse nazionale? Bene comincia col renderti presentabile, o fare almeno lo sforzo di dimostrarlo.

(*) sovranista a parere di chi scrive è chi prende sul serio (in alcuni casi troppo sul serio) le inapplicabili teorie sovraniste, che all’inizio erano una provocazione intellettuale da parte di alcuni economisti e giuristi che volevano sottolineare la scarsa legittimità di determinate istituzioni sovranazionali; e una furba e pericolosa frode da parte di altre menti diaboliche (la premiata ditta Bannon-Trump col loro emulo Bolsonaro).

(**) La rappresentazione del Duce come “grande nocchiero” è del futurista Thayaht. Che a differenza del Duce, ha fatto realmente anche cose buone, per esempio è il geniale inventore della tuta insieme al fratello Ram (nomi d’arte di Ernesto e Ruggero Michahelles).

da: www.cittafutura.al.it – 

 

 

Ghezzi: “Il sogno di Salvador Allende”

Intervento di Carlo Ghezzi, vice presidente vicario Anpi nazionale, in occasione dell’incontro Anpi/Cgil/Associazione Italia Cuba/Comunità di San Benedetto al Porto, svoltosi l’11 settembre 2022 ad Alessandria, 49 anni (1973) dal colpo di stato in Cile e il sacrificio di Salvador Allende

“Salvador Allende Grossens è stato l’uomo politico cileno che ha incarnato più di altri la lunga tradizione di lotte della sinistra del suo paese e nel Sud America battendosi per l’emancipazione del suo popolo, dei lavoratori, dei settori più diseredati e più umili del Cile. Si è speso per liberarli dalla miseria, dall’ignoranza, dallo sfruttamento proponendo loro al tempo stesso il sogno della costruzione di una società di uguali.

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Tronti: “Separazione del valore dal lavoro e diritto alla conoscenza”

Postfazione di Leonello Tronti per il libro: “I SOMMERSI. Lavoratori disarmati nella sfida con i robot” di Giorgio Benvenuto e Antonio Maglie, P.S. Editore, Roma, Settembre 2022, seconda edizione.

1. I sommersi
Il libro affronta il tema storico, tanto complesso quanto cruciale per la stessa tenuta e lo stesso significato della democrazia, del progressivo deterioramento delle condizioni generali del lavoro
dopo l’ondata internazionale delle lotte operaie degli anni ’60 e ’70 del secolo scorso.
Quell’ondata aveva portato ovunque, in Occidente, al rafforzamento dei sindacati e dello stato sociale e, in Italia, nel 1970 aveva fatto “entrare la Costituzione in fabbrica” con lo Statuto dei
lavoratori di Giacomo Brodolini e Gino Giugni (ma anche, non bisogna dimenticarlo, di Carlo Donat-Cattin), che opportunamente gli autori ripubblicano integralmente come appendice al
volume.

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Sateriale: “L’Europa si deve rigenerare”

Intervista a Gaetano Sateriale di Alessandro Mauriello 

 

 

 

 

In prima istanza, nei suoi molteplici ruoli di dirigente
sindacale, amministratore locale, policy maker a che
punto é a suo avviso la costruzione politica dell’
Europa?

– Non sono un grande esperto di Unione Europea. I miei
contatti diretti risalgono agli anni 90 quando, come molti,
frequentavo la Ces e le Istituzioni europee per conto della
Cgil e poi per qualche contatto da Sindaco, quando era
presidente Romano Prodi. A quei tempi, caduto il muro di
Berlino, l’Unione Europea si allargò molto: troppo e
troppo in fretta secondo il mio parere. Anche se capisco
le spinte e le pressioni che ci furono. Ci si immaginò che
tutto quello che era stato sotto il controllo sovietico
potesse divenire immediatamente parte dell’Unione
Europea con pienezza di diritti (e relatività di doveri). Fu
un’ingenuità o un errore di presunzione? Oggi ci
accorgiamo che alcuni di quei paesi impediscono all’UE
di prendere le decisioni politiche giuste in tempi adeguati.
Io penso, da osservatore esterno, che si sarebbero dovuti
creare due livelli di appartenenza alla UE, con progressivi
passaggi fra loro: uno dei paesi fondatori e uno dei nuovi
aderenti. Con disparità di diritti fra loro. Non è solo un
problema di diritto di veto e di trattati da riscrivere.

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Associazione LABOUR: “Alternanza Scuola-Lavoro, la Legge va Cancellata”

Associazione LABOUR: “Alternanza Scuola-Lavoro, la Legge va Cancellata”

di Sergio Negri

L’alternanza scuola-lavoro, introdotta dal governo Renzi (legge 107 del 2015, la cosiddetta Buona Scuola) come “modalità didattica innovativa”  si è trasformata, in molti casi, in un pessimo esercizio speculativo da parte di alcune aziende che invece di favorire il percorso formativo degli allievi hanno preferito sfruttare i giovani studenti-lavoratori, integrandoli subito nel ciclo produttivo.

I troppi infortuni di questi ultimi mesi, alcuni dei quali addirittura letali, sono il triste esito di questa pratica inumana.

Ma la scuola, non può e non deve produrre beni di consumo ma sapienza, cultura, conoscenza.

“Fatti non foste a viver come bruti…” dovrebbe recitare l’insegna che andrebbe posta sul frontale di ogni edificio scolastico.

Torna alla mente quel virtuoso professore di Filosofia che al primo giorno di scuola aveva chiesto ai suoi alunni: “secondo voi a che serve studiare?”. In molti avevano risposto. “A crescere – A diventare bravi – A maturare”. Ma ad ogni risposta aveva scosso la testa in segno di disapprovazione. Dopo qualche attimo aveva poi risposto: “Studiare serve ad evadere dal carcere”. A quell’affermazione tutti si erano stupiti e si erano guardati increduli. Poi aveva proseguito: “L’ignoranza è un carcere. Lì dentro non capisci, non sai cosa fare. In questi anni, insieme, dobbiamo organizzare la più grande delle evasioni. Non sarà facile. Vi vogliono stupidi ma se scavalcate il muro dell’ignoranza poi capirete senza chiedere aiuto e sarà difficile ingannarvi”.

Dunque il compito della scuola è aiutare gli alunni a fuggire dal carcere dell’ignoranza, a formare il cittadino moderno, a modellare la società del futuro. Non è più tollerabile considerare la scuola e un costo da contenere in ogni legge finanziaria.

L’alternanza scuola-lavoro deve essere abbandonata perché a scuola, per dirla con il prof Galimberti, “si deve diventare uomini, a scuola si deve riportare la letteratura e non il lavoro. La letteratura è il luogo nel quale impari l’amore, la disperazione, la tragedia, l’ironia, il suicidio”.

E mai come in questo momento il nostro paese ha bisogno di cultura.

Sergio Negri

Per l’Associazione “Labour R. Lombardi”

24 giugno 2022

Giudice: “RICCARDO LOMBARDI TRA MARX E KEYNES”

RICCARDO LOMBARDI TRA MARX E KEYNES

di Giuseppe Giudice – 2 giugno 2022

Lombardi fu certamente uno dei primi uomini della sinistra che lesse approfonditamente Keynes. Ma il keynesismo di Lombardi era quello “di sinistra” – i postkeynesiani di Cambridge : Joan Robinson, Nicholas Kaldor, in particolare, di orientamento socialista rispetto al liberale Keynes. Quindi in Lombardi credo che si sia operata una sintesi tra il suo marxismo eterodosso ed il postkeynesismo. Che poi è alla base della sua ben nota teoria della Riforme di struttura come mezzo per una transizione democratica e graduale verso il socialismo. Di qui, anche la sua opposizione alla “politica dei redditi ” di Ugo La Malfa volta alla razionalizzazione del neocapitalismo e non al suo superamento.

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Landini: “NON DIMENTICARE LA NOSTRA STORIA”

NON DIMENTICARE LA NOSTRA STORIA

Prefazione di Maurizio Landini al libro di Renzo Penna: Il Lavoro come Valore” Quando c’era la F.L.M. – Gli anni delle lotte sociali, della tensione, dei diritti e dell’unità (1968-1980)

Il libro di Renzo Penna ricostruisce una lunga e complessa storia del movimento sindacale del nostro paese, quella che va dalla fine degli anni ‘60 all’inizio degli anni ‘80 del secolo scorso. È una storia intensa nella quale l’autore, con intelligenza e passione, ci parla delle lotte operaie della sua città, Alessandria, senza mai distogliere lo sguardo e l’attenzione dagli eventi importanti che hanno caratterizzato in quegli anni la vita politica, sociale, culturale del nostro paese e, in essa, del sindacato stesso (del mondo del lavoro). In questa storia complessa gli anni ‘60 del secolo scorso rappresentano una tappa di fondamentale importanza. È proprio da lì che muove il libro di Renzo Penna. In quegli anni, infatti, maturano trasformazioni profonde nell’organizzazione del lavoro e nei processi produttivi. L’industria occupava la gran parte della forza lavoro e rappresentava il settore trainante dell’economia del paese.

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Associazione LABOUR R. Lombardi – "Per una società di liberi e eguali"