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Penna: DALLE POLITICHE KEYNESIANE  AL NEOLIBERISMO

DALLE POLITICHE KEYNESIANE  AL NEOLIBERISMO*

 Lo shock petrolifero e la fine di Bretton Woods

Tra gli accadimenti internazionali dei primi anni ’70 tutti ricordiamo, per i suoi effetti sulla mobilità delle nostre città, lo shock petrolifero causato, negli ultimi mesi del ’73, dal quadruplicamento del prezzo della benzina deciso dai paesi produttori dell’Opec come ritorsione nei confronti dei paesi occidentali per il sostegno fornito ad Israele nella quarta guerra arabo-israeliana. Conflitto iniziata da egiziani e siriani il 6 ottobre 1973 durante la festività religiosa ebraica dello Yom Kippur.

Dai Paesi produttori si decretò l’embargo nei confronti dell’occidente riducendo progressivamente la produzione di greggio. Come conseguenza l’economia delle nazioni occidentali dovette fare i conti con un aumento improvviso e sostenuto del prezzo della sua principale materia energetica. Lo sviluppo economico del dopoguerra, infatti, era divenuto sempre più dipendente dal petrolio come fonte privilegiata di energia per l’industria, i trasporti, il riscaldamento.

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Lettieri: In ricordo di Emilio Gabaglio

In ricordo di Emilio Gabaglio,  di Antonio Lettieri

Protagonista dell’”ipotesi socialista” delle Acli, poi alla Cisl, poi per molti anni alla guida dei sindacati europei. Emilio era tra i fondatori, insieme con Pierre Carniti, di Eguaglianza & libertà      

                                               

La sua esperienza politica aveva origini lontane. Ma l’aspetto che lo distingueva era la coerenza della sua riflessione e della sua posizione come dirigente ai diversi livelli ai quali fu chiamato. Era molto giovane quando fu eletto presidente delle ACLI. Il suo pensiero non era perfettamente ortodosso. Subì molte critiche e, in sostanza, gli chiedevano di essere ligio all’insegnamento formale ecclesiastico. La sua riflessione era considerata estranea rispetto al pensiero cattolico allora dominante. Aveva ancora poco più di trent’anni, ma il suo ruolo ne aveva distinto l’autonomia della riflessione e il modello di direzione. Durante il mandato del suo predecessore, Livio Labor, l’associazione aveva dichiarato la sua autonomia in politica (cioè la fine del collateralismo con la Dc). Sotto la guida di Gabaglio, con il convegno di Vallombrosa del 1970, le Acli si dichiararono per una “ipotesi socialista”. Quando lasciò il ruolo di dirigente delle ACLI fu, dopo qualche tempo, assunto dalla CISL, allora diretta da Bruno Storti, come responsabile della poltica internazionale. Dopo qualche anno fu eletto nella segreteria della Cisl. Era il tempo in cui Pierre Carniti dirigeva la FIM, la Federazione dei metalmeccanici, e Emilio aveva con lui un rapporto di stretta amicizia.

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Daniela Palma: Altro che dazi sulle auto elettriche

Altro che dazi sulle auto elettriche, per competere con la Cina servono politiche industriali

Dobbiamo allentare le maglie del Patto di stabilità, per scorporare gli investimenti dal disavanzo di bilancio pubblico
Di Daniela Palma, 

Nelle acque agitate della difficile situazione dell’economia europea, l’incombente concorrenza dell’industria cinese rappresenta un punto di massima attenzione, e le recenti vicende che riguardano la contesa sul mercato dell’auto elettrica ne sono un segno evidente. Lo scorso luglio la Commissione europea è ricorsa infatti all’introduzione di dazi molto elevati sui veicoli elettrici a batteria importati dalla Cina, ritenendo di tutelare in questo modo i produttori della Ue, altrimenti danneggiati dal vantaggio di prezzo di cui godono quelli cinesi grazie alle speciali sovvenzioni elargite a questo settore nel loro Paese. Ma per capire se l’orientamento intrapreso dall’Europa sia il più opportuno è necessario comprendere in che misura la competitività dei veicoli elettrici prodotti in Cina sia davvero ascrivibile alla sola esistenza di sovvenzioni, o se si inserisca in una più ampia strategia pensata per lo sviluppo del sistema produttivo nazionale. Ed è da questo interrogativo che bisogna prendere le mosse per fare luce sulle reali difficoltà che sta attraversando l’industria europea (e di qui tutta l’economia dell’area), a meno che non ci si voglia illudere che il protezionismo sia la panacea di tutti i mali.

Ad oggi non poche sono le voci convergenti nel riconoscere che le incursioni della Cina sui mercati occidentali sono il frutto ormai maturo di politiche economiche tese a promuovere lo sviluppo del Paese all’insegna dell’autonomia della sua base produttiva, sostenendo in particolare l’espansione delle filiere industriali nei settori delle tecnologie avanzate, che presentano più dinamiche prospettive di crescita. Da paese che ospitava gli investimenti produttivi delle maggiori economie industrializzate, la Cina, forte di un approccio che aveva caratterizzato una prima importante fase del suo lungo processo di modernizzazione, ha saputo sfruttare in tempi relativamente rapidi la leva della globalizzazione, capitalizzando l’acquisizione del know-how estero e dando successivamente luogo a ingenti piani di investimento pubblico su base pluriennale, con l’obiettivo di munirsi di una propria capacità di ricerca e innovazione.

In tale contesto la Cina ha saputo inoltre cogliere l’enorme rilevanza delle tecnologie per la mitigazione climatica (tanto da inserirle già agli inizi degli anni duemila tra quelle strategiche), arrivando a destinare alla ricerca in questo campo finanziamenti pubblici sempre più ingenti (tali da portarla già dal 2017 ad essere su questo fronte il primo investitore a livello mondiale) e conquistando infine posizioni di leadership anche nella produzione di brevetti.

La storia dell’auto elettrica s’inquadra dunque in questo scenario e ha in qualche modo il merito di aver riportato alla ribalta l’attuale ritardo tecnologico dell’industria occidentale e la conseguente crisi di competitività che ha investito quest’ultima.

La posizione dell’Europa appare peraltro oltremodo critica se confrontata con quella degli Stati Uniti, che nel 2022 con l’Inflation reduction act hanno almeno iniziato ad avviare un cambiamento di rotta, intervenendo nel settore delle energie pulite con un sostanzioso finanziamento pubblico volto anche a stimolare la ricerca e a sostenere lo sviluppo industriale delle nuove tecnologie (Iea, World energy investment 2023).

La crisi dell’auto elettrica europea finisce così per essere un po’ come la punta di un iceberg di una perdita di competitività che l’Ue ha accumulato da tempo nei settori più rilevanti delle tecnologie pulite, vedendo crescere a ritmi incalzanti il proprio debito estero nei confronti della Cina. Basti solo citare il deficit di fine 2023 di più di 19 miliardi di euro riportato rispetto a quest’ultima nel fotovoltaico e, parallelamente quello di oltre 17 miliardi di euro conseguito negli accumulatori agli ioni di litio, che rivestono un’importanza cruciale per lo sviluppo dei processi di elettrificazione. Cifre ben più consistenti del passivo commerciale registrato nel settore dei veicoli elettrici, pari a oltre 8 miliardi di euro sempre a fine 2023, che però sottende un più accentuato peggioramento dell’interscambio con la Cina nell’ultimo periodo (come rilevato in un recente approfondimento sul commercio internazionale di tecnologie per la decarbonizzazione condotto nell’ambito dell’Analisi trimestrale del sistema energetico italiano curata dall’Enea).

L’introduzione di dazi particolarmente onerosi sui veicoli elettrici importati dalla Cina ha dunque a questo punto per l’Europa lo stesso senso di chiudere la stalla quando i buoi sono scappati da un bel po’ di tempo. Scoraggiare eccessivamente la domanda in un settore che non è ancora decollato implica oltretutto mettere un freno agli investimenti necessari per raggiungere come minimo una scala ottimale di produzione, con effetti immediatamente non trascurabili sul rispetto dei più stringenti obiettivi di decarbonizzazione fissati dalle politiche climatiche. I dati recentemente riportati sulle pesanti flessioni delle vendite di auto elettriche in Europa non risultano d’altra parte in contraddizione con questo quadro, ma evidenziano semmai come l’espansione del settore debba essere sostenuta inizialmente anche da opportune politiche di incentivazione, tenuto conto dell’evoluzione della normativa ambientale (come dimostra l’impatto negativo sull’intero mercato europeo della contrazione delle vendite di auto elettriche in Germania, seguita alla fine degli incentivi nel 2023).

L’Europa farebbe bene pertanto a ritornare sui suoi passi e a considerare seriamente la questione di dotarsi di politiche industriali che coniughino il rilancio del sistema produttivo dell’area con gli ambiziosi obiettivi di tutela del clima di cui si è fatta tra i primi portavoce. E non è un caso che il recente rapporto Draghi sulla competitività dell’Europa vada proprio in questa direzione, individuando nella capacità di innovazione di cui dovrebbe disporre l’Unione la chiave di volta per affrontare il difficile trilemma della crescita economica, della decarbonizzazione e di una sufficiente autonomia dalla produzione estera.

La strada da percorrere è ancora lunga, ma ricca di opportunità: stando a quanto riportato dall’Agenzia internazionale per l’energia (Iea), una larga parte delle tecnologie necessarie per raggiungere gli obiettivi della decarbonizzazione al 2050 è ancora allo stato dimostrativo o prototipale (in alcuni casi anche per più del 50%) e un’accelerazione della transizione energetica si fa sempre più urgente. Volendo ragionare dei maggiori ostacoli che l’Europa si trova a dover affrontare per rilanciare la sua competitività, sarebbe allora quanto mai necessario tornare a riflettere sulle regole in cui si inscrive la governance delle politiche economiche dell’Unione, certamente carente in materia di interventi per l’industria quanto a coordinamento e flessibilità nell’uso degli strumenti disponibili, ma a monte di tutto costretta dentro il ristretto spazio di azione concesso alla politica fiscale dalle regole del Patto di stabilità, che pone tuttora un forte limite al finanziamento pubblico.

Da troppo tempo si discute (invano) di pensare quantomeno a un qualche scorporo delle spese d’investimento dal computo del disavanzo di bilancio pubblico, introducendo così una flessibilità realmente funzionale al perseguimento di uno sviluppo economico sostenibile. L’occasione è d’oro per iniziare a farlo.

Da greenreport.it
Daniela Palma ha conseguito laurea e dottorato di ricerca in discipline statistiche ed economiche presso l’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”. È stata Visiting Research Fellow presso il National Center for Geographic Information and Analysis del National Science Foundation degli Stati Uniti. Dirigente di ricerca presso l’Enea nelle aree dell’economia dell’innovazione e dello sviluppo e dell’analisi della sostenibilità ambientale ed economica, è autrice di diversi articoli pubblicati in riviste e libri sia a livello nazionale che internazionale.

 

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Bufarale: Riccardo Lombardi e il centro-sinistra

Nel 40° anniversario della scomparsa di Riccardo Lombardi (18 settembre 1984) pubblichiamo il saggio dell’amico professore Luca Bufarale dedicato al ruolo e all’azione di Lombardi nei confronti del primo centro-sinistra

Riccardo Lombardi da fautore a critico del centro-sinistra

Luca Bufarale

Nato nel 1962 dall’intesa tra la Democrazia cristiana, i suoi tradizionali alleati socialdemocratici e repubblicani e il Partito socialista, all’opposizione dal 1948, il centro-sinistra esprime, tra alterne vicende, pressoché tutti i governi italiani almeno sino al 1972 ed è visto quasi unanimemente come uno snodo centrale nella storia della “prima repubblica”. La maggior parte degli studiosi ha sottolineato la contraddizione tra il lungo dibattito che ha preceduto il varo di questa formula politica (e le grandi speranze suscitate) da un lato, e la scarsità dei risultati ottenuti, in termini sia di riforme che di modifica degli equilibri politici, dall’altro. «Come mai – si chiede ad esempio Silvio Lanaro nella sua Storia dell’Italia repubblicana – un’alleanza preparata per quasi dieci anni, negoziata con estrema prudenza e uscita vittoriosa da scaramucce piccole e meno piccole, si rivela poi singolarmente avara di frutti concreti?» (Lanaro 1992, p. 327).

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Firma contro l’Autonomia differenziata

Contro l’Autonomia differenziata. Si all’Italia unita, libera, giusta

La Legge Calderoli va abrogata perché aumenterà i divari territoriali e peggiorerà le già insopportabili diseguaglianze sociali, a danno di tutta la collettività e, in particolare, di lavoratrici e lavoratori, pensionate e pensionati, giovani e donne.

► DIVIDE IL PAESE

L’autonomia differenziata spacca l’Italia in tante piccole patrie, condannando il Paese all’irrilevanza politica ed economica, anche a livello europeo. E questo non è un problema solo del Mezzogiorno, ma anche del sistema produttivo del centro-nord.

► IMPOVERISCE IL LAVORO

Mette in discussione il contratto collettivo nazionale, che rappresenta un pilastro dell’unità e della coesione del Paese, per rispolverare le gabbie salariali che determinerebbero un ulteriore impoverimento dei salari.

► COLPISCE LA SICUREZZA

Regionalizza e frammenta la legislazione in materia di salute e sicurezza sul lavoro, alimentando una competizione territoriale al ribasso sulla pelle di lavoratrici e lavoratori.

► SMANTELLA L’ISTRUZIONE PUBBLICA

Regionalizzando la scuola, infligge un colpo mortale alla stessa identità culturale dell’Italia. Difendiamo il diritto di studentesse e studenti a una scuola pubblica, nazionale, aperta al mondo.

► PRIVATIZZA LA SALUTE

Compromette definitivamente il Servizio Sanitario Nazionale: il diritto alla salute sarà riservato a chi potrà permetterselo, e le Regioni saranno ancor più libere di accelerare il processo di privatizzazione in atto.

► DEMOLISCE IL WELFARE UNIVERSALISTICO

Lasciando il “residuo fiscale” alle Regioni più ricche, priva il welfare pubblico e universalistico di risorse fondamentali per garantire i diritti sociali a tutte le cittadine e i cittadini.

► FRENA LO SVILUPPO

Sottrae totalmente allo Stato la competenza su materie strategiche: politiche energetiche; reti e infrastrutture; telecomunicazioni; porti e aeroporti; trasporti; ricerca scientifica; ambiente; cultura; rapporti con l’Ue; commercio con l’estero; protezione civile; previdenza complementare e integrativa; etc., pregiudicando le prospettive dell’intero sistema economico nazionale.

► FRAMMENTA LE POLITICHE AMBIENTALI

Rendendo impossibile un efficace contrasto al cambiamento climatico e la conversione ecologica del nostro sistema produttivo.

L’ITALIA DEVE ESSERE UNITA, LIBERA E GIUSTA

Firma CONTRO L’AUTONOMIA DIFFERENZIATA

referendumautonomiadifferenziata.com

 

Lettieri: “Dalle elezioni Europee in crisi i governi francese e tedesco”

“I terremoti in Europa in un nuovo ordine mondiale”, di Antonio Lettieri

L’esito delle elezioni ha mostrato la crisi dei governi francese e tedesco, cioè dei due paesi che sono stati determinanti nella costruzione e nella guida dell’Unione europea fin dallo storico incontro tra De Gaulle e Adenauer nel 1958. E questo mentre nel mondo si inaspriscono le rivalità e si stringono inedite alleanze

L’importanza delle elezioni europee era ampiamente nota. Ma era impossibile prevedere un cambiamento così radicale nel mondo europeo. La vittoria del partito di Le Pen in Francia era attesa. Ma il risultato supera ogni previsione a causa del crollo del partito di Macron, con un misero 14% di voti.

Fino a pochi giorni fa Francia e Germania, seppure con accenti diversi, erano ancora una coppia al centro dell’Unione Europea. Ora il quadro è cambiato. Alla clamorosa sconfitta di Macron si accompagna quella di Scholz.
I tre partiti del governo tedesco hanno subito perdite clamorose, raggiungendo insieme poco più del 30% dei voti, circa un terzo del totale dei voti tedeschi. In sostanza, l’alleanza franco-tedesca vede il collasso dei partiti degli attuali governi.
Ma non è l’unica novità. Marine Le Pen, leader del partito di estrema destra, ha vinto più del previsto. Se la vittoria si consolidasse nelle elezioni del 30 giugno e 7 luglio, potremmo assistere ad una svolta clamorosa per la Francia e l’Unione Europea, con il giovane Jordan Bardella capo del governo e Marine Le Pen candidata alla presidenza della Repubblica nel 2027.

L’alleanza franco-tedesca

C’è stato un tempo in cui l’alleanza franco-tedesca era considerata un punto di svolta, fondamentale nella costruzione della Comunità europea. Fu suggellata nello storico incontro nell’autunno del 1958 tra Charles de Gaulle, eletto in estate alla guida della Francia, e Konrad Adenauer, nella residenza privata di Colombey-les-Deux-Églises . Una svolta che dominò i decenni successivi con l’alleanza franco-tedesca.
Tuttavia per de Gaulle i paesi appartenenti alla Comunità europea dovevano mantenere la propria sovranità in un quadro di stretta collaborazione sia nelle politiche interne che in quella internazionale.
Ma ciò che seguì fu caratterizzato da tendenze diverse, con Mitterrand e Delors che videro nell’alleanza franco-tedesca la direzione dell’Unione Europea come alternativa sostanziale alla sovranità degli Stati che la componevano. Come sappiamo, questo capitolo della storia europea si è chiuso con la clamorosa sconfitta di Macron e Schulz nei due principali paesi dell’Unione.
Il cambiamento radicale in Francia coincide – come si diceva – con la clamorosa sconfitta del governo tedesco, con la somma dei partiti di centrosinistra al 31 per cento: Socialdemocrazia ridotta a 14 seggi, Verdi e Liberali rispettivamente a 12 e 5 seggi. Insieme i partiti che sostengono l’attuale governo hanno meno di un terzo dei 96 seggi tedeschi al Parlamento europeo.
Il recente successo della destra in Francia e Germania ha avuto importanti ripercussioni anche in Italia con il consolidamento del partito di destra Fratelli d’Italia, guidato da Giorgia Meloni e dei suoi alleati: Forza Italia, fondata da Berlusconi, e la Lega guidata da Salvini. Buono invece il risultato del Partito democratico guidato da Elly Schlein con oltre il 24 per cento dei voti. Un avanzamento che, però, coincide con il drastico arretramento, seppure previsto, del Movimento Cinque Stelle .
Uno scenario in evoluzione

La politica europea ha subito un cambiamento radicale con il successo iniziale dell’approccio americano basato sulla rottura dei rapporti con la Russia.
L’America ha vinto la prima mano della partita giocata in Europa, ma si ritrova ad affrontare una realtà inaspettata. La Russia, apparentemente espulsa dall’Europa, ha stretto un accordo con la Cina. Nel frattempo, Cina e Russia fanno parte dell’alleanza tra Brasile e Sudafrica insieme all’India, dove il capo del governo Narendra Modi ha vinto nuovamente le recenti elezioni. E molti altri paesi devono essere aggiunti dall’America Latina e dall’Africa.
In questo mutato assetto planetario, gli Stati Uniti hanno sostanzialmente abbandonato l’Ucraina, cercando nel contempo di frenare la politica israeliana nei confronti della Palestina dopo la sostanziale distruzione dei centri abitati nella Striscia di Gaza e la dispersione di oltre un milione e mezzo di palestinesi sui 2 milioni e mezzo della Striscia.
Al profondo cambiamento dello scenario europeo si accompagnano gli inaspettati cambiamenti in Medio Oriente dove l’Arabia Saudita ha pianificato un importante rapporto con l’Iran pur avendo una vecchia alleanza con gli Stati Uniti. Allo stesso tempo, si è schierata a favore di una soluzione del conflitto con la Palestina indipendente da Israele.
Il mondo è diventato più complicato negli ultimi anni, quando il problema sembrava essere proprio la separazione della Russia dai confini europei e forse l’eliminazione di Putin dalla leadership russa.
Biden – che ha problemi familiari a causa della condanna del figlio come ex consigliere del governo ucraino – ha cercato di convincere il governo israeliano a fermare l’attacco a Gaza senza riconoscere il ruolo di Hamas nella lotta per l’indipendenza palestinese. Ma finora senza risultati concreti, vista la posizione di Netanyahu volta a eliminare il tentativo palestinese di avere uno Stato indipendente accanto a Israele.
La politica di Biden resta alla ricerca di una soluzione incentrata sulla sospensione – ma con quale esito? – dello scontro israelo-palestinese che potrebbe favorire il possibile successo di Trump alle elezioni di novembre. Una vittoria che, tra l’altro, coinciderebbe con la volontà di Trump di sospendere il conflitto con la Russia, ponendo la Cina al centro del confronto.
Pertanto, i cambiamenti verificatisi nelle esperienze europee vengono inaspettatamente inseriti in un quadro internazionale in movimento. Il futuro non può essere previsto. Ma è certo che il quadro è cambiato sotto molti aspetti. Vedremo quali conseguenze avranno i terremoti in Francia e Germania, i paesi più importanti nel passato come nel futuro dell’Unione Europea.

Sabato, 15. Giugno 2024,  da: eguaglianzaeliberta.it

 

Fondazione Di Vittorio: “Il Lavoro come Valore”

Fondazione Giuseppe Di Vittorio – Presentazione libro: Il Lavoro come Valore di Renzo Penna (Falsopiano, 2022)

Il lavoro conosce da oltre un trentennio un continuo processo di svalorizzazione e dequalificazione: da fondamento della Repubblica e della Costituzione chiamata a regolarla, da presupposto della cittadinanza sociale, un senso comune neoliberale e mercatista lo ha trasformato in un mero costo da abbattere, una variabile dipendente e sottomessa all’imperativo del profitto. Tutto ciò rende urgente la ricostruzione di un diverso immaginario, di un senso comune alternativo, il quale però non può che fondarsi sulla valorizzazione della Storia e della memoria del Movimento sindacale e dei lavoratori. Indagando conquiste e realizzazioni del mondo del lavoro è infatti possibile smentire l’idea che non esistano alternative praticabili, recuperando dal passato idee politiche e pratiche da rideclinare nel presente, per cambiarlo.

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SE MANCA LA GIUSTIZIA SOCIALE VIENE MENO LA LIBERTA’

SE MANCA LA GIUSTIZIA SOCIALE VIENE MENO LA LIBERTA’

di Renzo Penna – 25 aprile 2024*

La data del 25 aprile è simbolo dell’Italia libera e liberata, dopo venti mesi di Resistenza e uno straordinario tributo di sangue e di dolore. Fine dell’occupazione tedesca. Fine del fascismo. Fine del conflitto. Si abbatteva lo Stato fascista, ma anche il vecchio Stato liberale, e si avviava la costruzione di un nuovo Stato e di una nuova società. Il 2 giugno del 1946 il popolo sceglieva la Repubblica, votavano per la prima volta anche le donne e con la Costituzione del 1948 nasceva l’Italia democratica che si fonda sul lavoro e che ripudia la guerra.

Dovrebbe essere questa la festa più importante dell’anno, nella quale tutti si riconoscono e celebrano la riconquistata democrazia. Perché cosi non è? Come mai può accadere che, in previsione del 25 aprile, ad uno scrittore, uno storico noto per il suo impegno democratico, sia impedito di intervenire sul significato della festa in una rete della televisione pubblica?

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IL PARTITO DEL NON VOTO – E le ragioni del voto alla destra della working class 

IL PARTITO DEL NON VOTO – E le ragioni del voto alla destra della working class 

di Renzo Penna

Le recenti elezioni regionali hanno confermato la tendenza degli italiani a ridurre la partecipazione al voto. Nelle politiche si è passati dal 93,4% del 1976 al 63,9% delle ultime elezioni, settembre 2022, quando si è registrato un calo di 9 punti sulle precedenti del 2018. Il peggior crollo di partecipazione nella storia repubblicana e tra i dieci maggiori nella storia europea dal 1945 a oggi. Una tendenza all’astensionismo, non solo italiana, che riguarda, soprattutto, le persone meno abbienti e una parte significativa dei giovani.

Nel nostro Paese, secondo l’Istat, un cittadino su quattro vive a rischio di povertà o esclusione sociale. Cioè 14 milioni e 300 mila persone nel 2022 vivevano in una famiglia a grave rischio di povertà, senza un lavoro, con un reddito medio inferiore al 60% di quello mediano, ossia 11.155 euro, cioè meno di 930 euro mensili a famiglia. Mentre gli italiani in povertà assoluta sono 5,6 milioni. [1]

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Bufarale: “IL PRIMO CENTROSINISTRA E LA DIREZIONE DELL’ “Avanti!” DI LOMBARDI”

IL PRIMO CENTROSINISTRA E LA DIREZIONE DELL’ “Avanti!” DI RICCARDO LOMBARDI

Luca BUFARALE*

 

«Da oggi ognuno è più libero»

«Da oggi ognuno è più libero»: così l’«Avanti!» annuncia il 6 dicembre 1963 la costituzione del primo governo italiano che, dopo la rottura tra la Dc e le sinistre del 1947, vede la partecipazione dei socialisti. L’occhiello del quotidiano del Psi rincara la dose: «I lavoratori rappresentati nel governo del paese».[1] Un trionfalismo forse eccessivo – si potrebbe dire ex post – ma che ben rappresenta le speranze suscitate dal centro-sinistra presso settori consistenti dell’opinione pubblica. Libertà ed eguaglianza: due aspirazioni che, come rimarca il titolo, vengono viste come inscindibili dai partiti della sinistra, almeno in questa fase storica. Il centro-sinistra sembra venire incontro ad entrambe. Se, ad esempio, le proposte di elaborare uno statuto dei diritti dei lavoratori e di modificare i codici di pubblica sicurezza sembrano aprire nuovi spazi di libertà dopo il clima repressivo degli anni Cinquanta, i progetti di riforma che toccano l’energia elettrica, la scuola, i contratti di mezzadria nelle campagne, le società per azioni, l’energia elettrica e i suoli urbani edificabili appaiono diretti ad una gestione più democratica di alcune risorse fondamentali, a contrastare alcuni assetti monopolistici dell’economia e a garantire maggiori possibilità alle fasce sociali meno abbienti.

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