DA MIGLIORISTI A NEOLIBERALI.

ex comunisti liberal-liberistiDi Francesco Somaini, dalla mailing list del Circolo Rosselli – Capisco il rispetto con cui Lanfranco Turci possa aver letto questo libro di Umberto Ranieri*, trattandosi di una storia che, come lui stesso ammette, è stata per un certo tratto (e non breve) anche la sua. Andrà pur detto però che la splendida resipiscienza del Lanfranco di questi anni non sembra avere davvero più nulla a che vedere con la deriva centrista e renziana di Ranieri e dei suoi amici. Per quel che mi concerne, in ogni caso, devo dire che il libro in realtà io non l’ho letto e nemmeno sono particolarmente invogliato alla sua lettura. Credo infatti che esso non farebbe che irritarmi, senza trasmettermi nulla di utile. Rispetto al percorso politico che Ranieri tratteggia (e che Lanfranco ben ricostruisce) risulta infatti difficile, dal mio punto di vista, non avvertire una profonda distanza: una distanza, direi, davvero siderale, fino a limiti dell’incomunicabilità.

I motivi di cio’ sono gli stessi che ben descrive anche Lanfranco, quando parla della sua netta propensione (che è in effetti anche la mia) per un percorso radicalmente alternativo rispetto a quello che Ranieri esalta invece con tanto entusiasmo. A tale riguardo ci si potrà semmai interrogare – me lo faceva notare proprio ieri Luciano Belli Paci – sulle ragioni per cui dei comunisti da tempo pervenuti ad un approdo socialdemocratico (come erano, in effetti, gli aderenti alla componente amendoliana e poi migliorista del PCI-PDS-DS) abbiano potuto così radicalmente trasformarsi, nel giro di pochi anni, in convinti liberal-liberisti, rinnegando di fatto ogni legame con una visione trasformativa della società (e dunque col Socialismo). Le ragioni e le modalità di questa mutazione non sembrebbero in effetti ben chiariti dal libro di Ranieri. Nè il puntuale resoconto di Lanfranco riesce da questo punto di vista a fornire risposte questo interrogativo. Che tutto sia dipeso, ad esempio, dall’improvvisa fascinazione di un blairismo interpretato in modo particolarmente acritico? Difficile da credere. Piuttosto si dovrà forse pensare che sia prevalsa più che altro la logica, in fondo tutta comunista, dell’incontro con il “nemico”(logica che avrebbe condotto dapprima a stigmatizzare l’enfasi – per me invece più che fondata – dell’anti-berlusconismo, e poi a sostenere l’idea che il berlusconismo andasse sostanzialmente affrontato riassorbendolo nel sistema e dunque alleandosi con esso e sposandone addirittura gran parte dei tratti). E’ un’interpretazione che mi pare plausibile. In ogni caso è certo che in nome della logica del disinnescare le possibili valenze eversive del berlusconismo, il migliorista Napolitano – col pieno plauso di Ranieri e dei suoi – ha finito per divenire, in più di un caso, l’artefice primo della salvezza politica dello stesso Berlusconi (e dunque anche del prolungamento della non felice vicenda del berlusconismo), nonchè il promotore, anche a costo di gravissimi debordamenti rispetto alle competenze di un presidente della Repubblica, di scelte politiche ben precise. Tutta una stagione politica che io considero in modo negativo, e che va dalle grandi coalizioni di questi ultimi anni, fino all’avallo (ed anzi all’incoraggiamento) accordato ai più recenti indicibili patti di manomissione della democrazia, così come si sono venuti definendo in quest’ultima fase renziana (forse appunto come un estremo e disperato tentativo di blindare un intero sistema politico prima che questo possa sfuggire completamente di mano) recano indiscutibilmente l’impronta di Napolitano, che proprio per questo (cioè per aver voluto così pesantemente influenzare la vita politica del Paese) deve a mio avviso essere considerato come il peggio presidente della storia repubblicana. Mal di là di queste questioni, pur importanti, io vorrei qui sottolineare un altro aspetto che mi pare in vero particolarmente irritante nel discorso di Ranieri (così come esso viene riportato da Lanfranco). Mi riferisco all’indebita appropriazione che questi ex-miglioristi sembrano voler fare della nozione di “Socialismo Liberale”. Questa, infatti, e’ cosa che da rosselliano non mi riesce proprio di mandar giù. Già: perchè nella resa al pensiero unico liberista da parte di coloro che sono stati comunisti amendoliani, e che ora, abbandonato “l’antagonismo sistemico” ed ogni altra idea di conflitto, si sono di fatto scoperti più berlusconiani di Berlusconi (tanto da pretendere di superare il berlusconismo sul terreno della sua fantomatica “rivoluzione liberale” e di essere loro gli artefici di ciò che Berlusconi non ha saputo fare) non c’è veramente nulla che possa autorizzare un qualsivoglia richiamo all’idea del “Socialismo Liberale” di Carlo Rosselli, cioè di colui che di quell’espressione e di quell’idea mantiene l’indiscutibile paternità e dunque anche una sorta di copyright.  Il fatto è che il Socialismo Liberale non è un Socialismo che rinnega se stesso facendosi liberale e liberista (e con ciò dimenticando ogni istanza di carattere egualitario), ma è al contrario un Socialismo che si invera e si rafforza assumendo fino in fondo il tema della libertà, e facendo di questo elemento un principio politico chiave da collocare al fianco (e non in contrapposizione) dell’istanza egualitaria (e per ciò socialista) per la giustizia sociale. Nel Socialismo Liberale (alla Rosselli) c’è inoltre una componente di volontarismo liberario e di vitalismo trasformatore e rivoluzionario, di impronta romantica e neo-risorgimentale, che potrà forse essere rimproverato di ingenuità e di velleitarismo, ma che certo e’ qualcosa che ai grigi ex-miglioristi di oggi, rassegnati alla logica mercatista del “there is not alternative” (il tatcheriano TINA) manca in vero proprio del tutto. Infine – ed è questo un punto fondamentale – in quella nozione (e più in generale in tutta la vicenda umana e politica di Rosselli) è molto forte l’idea di una democrazia socialista che si costruisca dal basso: il che esprime un’istanza partecipativa che si colloca su un piano totalmente opposto rispetto a quell’idea di contrazione della platea dei decisori e di verticalizzazione dei processi deliberativii che ora ci si vorrebbe propugnare in nome di una mal intesa rincorsa al mito della “governabilità decidente”. Rosselli immaginava in altre parole una democrazia larga, mentre qui ci stanno portando dritti dritti verso una sorta di fuoriuscita dallla democrazia stessa. Davvero non c’è quindi proprio nulla, nell’idea rosselliana di Socialismo Liberale che possa costituire un punto di contatto con gli approdi cui sono pervenuti gli ex-miglioristi al termine della loro deriva. Dunque Ranieri ed i suoi amici se ne andassero pure dove li porta il cuore e facessero quel che credono. Ma nell’autodefinirsi, e nel cercare di dare un nome a quel che sono diventati, avessero almeno un po’ di pudore e di onestà intellettuale, e mostrassero un po’ meno approssimazione. Scegliessero ad esempio di chiamarsi “liberali (poco) compassionevoli”, o “riformisti senza bussola”, o “propugnatori di diseguaglianza”, o magari “rassegnati al peggio” (e dunque peggioristi), o perfino “post-democratici”… Ma lasciassero perdere, per favore, il “Socialismo Liberale” e anzi se lo scordassero proprio, perchè di esso nella loro svolta centrista e destrorsa non c’è davvero nessun elemento possibile da individuare. Insomma, come si dice a Milano: “tegn giò i man!” (giù le mani).

*Umberto Ranieri: “Napolitano, Berlinguer e la luna. La sinistra riformista tra il comunismo e renzi” Ed Marsilio, 2014.

Spread the love

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *