D’Alema riscopre lo Stato. Ci possiamo fidare?

lavoro flessibileRoma, 5 dicembre 2014. Intervento Associazione “LABOUR” – Sul “Corriere della Sera” del 29 novembre u.s. viene riportata una intervista a Massimo D’Alema dal titolo: “Renzi lasci la terza via. Bisogna riscoprire lo Stato”. Già dal titolo, pur conoscendo le giravolte tattiche del personaggio, non pare eccessivo pensare che ci si possa trovare di fronte alla manifesta intenzione di imprimere una svolta nella politica del Paese, nel senso che, contrariamente a molti critici della politica del Governo, anche interni al Pd, nel caso dell’intervento di D’Alema questa critica è maggiormente articolata e parte da una autocritica che, sino ad ora, era mancata. L’ex segretario dei Ds, riferendosi a quella “terza via” che prese corso dopo il crollo del muro di Berlino, sostiene: “In tempi recenti sono state avanzate critiche anche aspre di quella esperienza: troppo liberismo, troppe concessioni alla deregulation – e prosegue – la Terza Via fù pensata in una prospettiva ottimistica della globalizzazione, che si è rivelata fallace. L’eccesso di liberalizzazioni ha portato ad enormi diseguaglianze sociali, a grave instabilità economiche e, in ultima analisi, alla crisi del 2008”.
E il concetto centrale di tutto il ragionamento viene esposto già all’inizio dell’intervista, infatti, alla domanda di quale è il significato attuale della terza via, la risposta di D’Alema è netta: “Nessuno”. Non è del tutto chiaro se ne avesse qualcuno negli anni novanta, ma, comunque, tra queste posizioni dell’attuale D’Alema e le politiche del Governo Renzi la divergenza appare profonda.
Se non che i danni arrecati al Paese hanno un peso che oggi non è superabile facilmente, perché, come forse dovrebbe ricordare lo stesso D’Alema, nel frattempo, quella terza via nel nostro paese è stata attuata annullando non solo strutture e capacità non facilmente recuperabili, ma anche eliminando accuratamente le culture di matrice socialista che avevano retto le politiche precedenti di centro-sinistra e dell’alternativa socialista. Per quelle culture la scoperta dello Stato rappresentava da svariati decenni una questione connessa all’attuazione di una politica di sinistra basata su principi quali la democrazia, l’eguaglianza, la libertà; e il crollo del muro di Berlino rappresentava la sconfitta di una alternativa a quella politica. Non, come è stato teorizzato dagli ex Pci, che con l’89 finiva e falliva, insieme al comunismo, anche la socialdemocrazia. Quello che tuttora non si comprende è la necessità che fu intrapresa di sposare delle culture liberiste ed eliminare nel nostro paese ogni presenza diversa, iniziando da quella socialista, per il fatto che era crollato quel muro. Occorre che qualcuno ci spieghi questo passaggio, anche per rendere credibili le diverse posizioni attuali. A dire il vero D’Alema, nel suo intervento al Congresso dei Ds del 2000 a Torino, affermò che nella sinistra era stato il socialismo ad aver avuto ragione, ma, caduto il Governo e dimessosi da Presidente del Consiglio, non fece nulla per ostacolare la nascita compromissoria del Pd al posto di costruire in Italia il Partito del Socialismo Europeo
Nell’intervista, inoltre, si ricorda come, attualmente, tutto il pensiero economico ruoti intorno ad altri contenuti: “Ci sono Stiglitz, Piketty, Krugman e il Financials Times ha dedicato una pagina intera al libro della Mazzucato sulla necessità di riscoprire il ruolo dello Stato come forza propulsiva dello sviluppo.”
Dunque, se ne dovrebbe dedurre, che ora si tratta di operare per superare i fallimenti del neoliberismo di questi anni. Quale è il contributo che il paese intende dare a questa operazione? I consulenti economici di Renzi? La riforma-cancellazione dell’art. 18? La riforma del Senato quando tra un paio dì anni potrà essere reale? I tagli finanziari al sistema della ricerca pubblica? I piani di politica industriale redatti da Confindustria? Una distribuzione della ricchezza da terzo mondo? Un territorio franoso e precario come la politica economica ed ambientale che dovrebbe curarlo? Una disoccupazione elevatissima e con record tra i giovani? Un declino che dura, guarda caso, proprio da allora?
Pur con un più che decennale ritardo, la posizione di D’Alema allarga un’area critica e rompe, forse, quel mondo di soccorritori del vincitore che sta nella genetica di questo paese. Significativa su questo versante è la sollecita replica di Michele Salvati, sul Corriere della domenica successiva, con l’invito a: “non tirare in ballo la terza via o altre questioni di principio e lasciandole agli studiosi e agli ideologi bravi come Toby Giddens o meno bravi come i sui omologhi italiani. E poiché D’Alema e Renzi sono politici puri, opportunisti come i politici devono essere” e poiché “non credo che Renzi abbia un pregiudizio ideologico contro l’uso di strumenti pubblici e dello Stato…” Tanto vale, dunque, se queste sono le osservazioni, non sollevare problemi e continuare come prima. Che invece è esattamente la posizione messa in discussione da D’Alema e che non sembra certo superabile attribuendo la riflessione al monopolio degli ideologi o fidando nella identità opportunistica dei vari politici.
Per scoprire lo Stato, tuttavia, è necessario tornare agli anni passati, sia per recuperare valori certo non “variabili” ma anche per evitare di sentire un Segretario del PD affermare di essere indotto a riformare lo Statuto dei Lavoratori, anche in quanto quella riforma non fu nemmeno approvata dalla Sinistra (sic?). Una posizione che sa certo di opportunismo, ma rivela anche una preoccupante debolezza culturale. Ma il passato non è solo una migliore conoscenza delle cose di un tempo, è anche una migliore conoscenza di quelle attuali ed è un patrimonio necessario per evitare gli errori da miopia o di ottusità. Certo non è sufficiente tornare agli anni ’60 e ’70, ma occorre anche saper leggere il mondo attuale, la possibile evoluzione del capitalismo, i nuovi equilibri internazionali, i cambiamenti della domanda sociale, le situazioni che vincolano le riforme di struttura e quelle che le possono agevolare, la riscoperta dell’Europa, la capacità di utilizzare e indirizzare il potere delle conoscenze e delle nuove tecnologie, ecc, ecc.
Ci sono poi, certamente, questioni che per la loro rilevanza, urgono e sono alla porta, in particolare la questione lavoro e la questione ambiente, nonché l’eliminazione della finanza speculativa.
C’è, dunque, lavoro per tutti quelli che una volta erano chiamati gli uomini di buona volontà e sapevano distinguere tra le riforme riformatrici e le controriforme. E se si perde questa capacità non è solo perché quelle differenze non esistono più.

Associazione Labour “Riccardo Lombardi”
www.labour.it

Roma – 6 dicembre 2014

 

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4 commenti su “D’Alema riscopre lo Stato. Ci possiamo fidare?”

  1. 1) La storia del Novecento dovrebbe essere riscritta: non è stato il secolo del fallimento del comunismo, perché non essendo mai esistito non può essere crollato. E’ stato il secolo del fallimento totale del capitalismo, di cui molti si accorgono solo ora, ma la cosa era già chiara dal 1974 (crisi petrolifera con tutto quel che è seguito). 2) Le politiche tatcheriane, reaganiane e craxo-berlusconiane non hanno ridotto il ruolo dello Stato, ma lo hanno privatizzato, occupato per fini di profitto privato delle lobbies di potere. In Italia il fenomeno è stato inteso in senso letterale con la trasformazione della politica in comitato di affari personali (corruzione dilagante e temo irreversibile). 3) La globalizzazione è soltanto comunicazione, costruzione di un mondo virtuale che fa credere all’esistenza di una realtà del tutto fittizia. Anche la politica, soprattutto in Italia esiste da tempo soltanto in televisione, trasformata in un gioco illusionistico, che ora si sta trasferendo sui social media (la politica fatta con i tweet). 4) La società italiana è profondamente malata, forse in modo irrecuperabile. Ci vorrebbe una psicoanalisi sociale che provasse a ricondurre la gente alla realtà (anche i poveri sono incazzati perché non sono in televisione, non sono famosi, perché si sentono inadeguati al mondo virtuale della tv: a quello aspirano, non alla democrazia o all’uguaglianza). 5) La distruzione della scuola pubblica, la sua progressiva privatizzazione, stanno producendo un mondo di ignoranti, privi di spirito critico, incapaci di pensare, individualisti, attaccati allo smartphone o al tablet come uniche forme di partecipazione alla sola realtà che pensano esista, quella virtuale. Non hanno il senso dello Stato e della cosa pubblica, sono narcisisti, adoratori del loro Ego ma, proprio perciò, privi di identità autentica. 6) Il mondo del capitalismo globale è un mondo finto, di cartapesta, un fallimento totale. L’Italia è una realtà corrotta alle radici, senza etica, senza fiducia nella politica (che non sa cosa sia, quella vera). Le nuove generazioni stanno andando allegramente verso l’abisso dell’autodistruzione. C’è qualche speranza?

    1. Di fronte ad una analisi critica cosi totalizzante appare difficile se non impossibile superare il dilemma tra il prendere o lasciare in blocco il tutto.

      Tuttavia il prendere equivarrebbe a dare una risposta negativa al dilemma finale e cioè se c’è qualche speranza.

      Come Associazione Labour vorremmo contribuire ad una prospettiva meno negativa avendo come linee guida pochi ma essenziali principi quali la libertà e l’eguaglianza.

      Associazione Labour – Riccardo Lombardi

  2. Di una cosa, noi italiani, possiamo essere certi: siamo unici al mondo. Se non esistessimo, dovrebbero inventarci per rappresentare al mondo cosa significhi non conservare alcuna memoria del proprio passato!
    Siamo nel 2014 e – dopo il Pci, Pds, Ds e Pd – siamo ancora a porci la domanda circa l’affidabilità e il credito da riconoscere a uno come D’Alema?
    Possibile che possa ancora sfuggire il ruolo determinante che ha avuto D’Alema – nonostante la sua singolare abilità nel cercare di essere considerato, grazie ad atteggiamenti supponenti e saccenti, “al di sopra della mischia; ben oltre i “comuni mortali” – nel processo di trasformazione, o, per meglio dire, involuzione politica, culturale, sociale, quasi “antropologica” di quello che una volta era – a torto e/o a ragione – il partito di riferimento dei lavoratori e della sinistra?
    Nessuno ricorda più che D’ Alema è stato anche tentato di accordarsi con Renzi appena eletto segretario Pd?
    Ma che paese è questo, nel quale anche le “inversioni a u” dei politici, che dovrebbero rappresentare modelli di coerenza, vengono accolte come le cose più normali del mondo?
    Per quanto mi riguarda, continuerò a essere un socialista “acomunista”; che presta poca fede alle conversioni di quegli stessi che una volta si gloriavano di essere i “duri e puri” del Pci. D’Alema tra questi!
    Cordialità, renato fioretti

  3. La mia analisi è un po’ totalizzante, all’apparenza. In realtà tra le righe sono disseminati dubbi e proposte. Per ricostruire un mondo fondato su libertà e uguaglianza la prima cosa da fare è lottare per ricostruire la scuola pubblica nella sua funzione di pilastro della democrazia e della Costituzione, reinvestendo risorse e rivalutando la professione dell’insegnante. Il discorso è un po’ lungo (ho scritto un libro sull’argomento), ma finora tutte le sinistre si sono rifiutate di affrontarlo e anche di battersi per la scuola pubblica come bene comune. L’altra strada è quella che ho chiamato psicoanalisi sociale. Bisogna ripartire dalle reti reali, ricostruendo la cultura politica dal basso, con le discussioni “in presentia”, con i libri, con gli opuscoli, utilizzando le reti virtuali soltanto come strumenti di raccordo, per non cadere nell’illusione che il mondo reale sia lì, nella rete virtuale, nello smartphone, nel tablet, nel pc collegato al web: questa è un’illusione da demolire nelle giovani generazioni e anche in quelle più avanti con gli anni. La rete virtuale è un mezzo non un fine. Dimenticavo: evitare la tv come la peste, educare a non guardarla, soprattutto i talk-show politici, diseducativi, disinformativi, fasulli, tutti (è il mezzo che fa il messaggio).

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