Daniela Palma: “In ricordo di Sergio Ferrari”

In ricordo di Sergio Ferrari

di Daniela Palma

Non è facile trovare le parole più giuste per ricordare oggi, qui, tra di noi, Sergio Ferrari, che ci ha lasciato da poco. Non è facile perché dopo un lungo cammino percorso insieme a lui dobbiamo inevitabilmente riannodare i fili di una storia in cui la dimensione personale si intreccia con quella dell’impegno politico e della riflessione intellettuale, attraversando i tanti passaggi cruciali che hanno pure segnato la storia del Paese. Potremmo dire (per semplificare) che in tutto questo era un uomo del Novecento, ma non ci basta; non tanto perché ci sembra che questa sia una formula un po’ logora, attualmente in voga per liquidare in modo sbrigativo quel mondo di ideali e di grandi conquiste sociali che in quel secolo si sono affermati. Non ci basta perché Sergio era un uomo costantemente teso a innovare il presente, a “costruire” idee per il futuro, spesso con formidabili fughe in avanti. Il suo era un tempo continuo lungo il quale fare avanzare un ideale di progresso con al centro la dignità della persona e il benessere collettivo. Accadeva così che il fermento politico che accompagnava la rinascita dell’Italia dopo il secondo conflitto mondiale lo trascinasse in quella direzione, ma al tempo stesso lo portasse anche a considerare che gli sforzi da compiere dovessero essere sostenuti dalla capacità di progettare quella realtà, facendo ricorso alla produzione di nuove conoscenze.

La sua solida formazione scientifica, fondata sullo studio della chimica, lo conduceva naturalmente a osservare ciò che lo circondava attraverso le lenti della complessità. All’ENEA, dove era approdato fin da subito dopo la laurea, avrebbe intrapreso una brillante carriera, misurandosi via via con le sfide legate all’accelerazione del cambiamento tecnologico, arrivando a dirigere il Dipartimento per la Ricerca Intersettoriale Tecnologica e la Direzione Centrale Studi, e ricoprendo, da ultimo, la carica di Vicedirettore Generale. Nel corso di questa significativa esperienza professionale non avrebbe mai dismesso le vesti del ricercatore e dello studioso, dedicandosi a esaminare il rapporto sempre più fitto tra l’ampliarsi del sapere scientifico e l’evolversi della società. È qui che la riflessione si connette con la militanza politica, in particolare con l’adesione al socialismo lombardiano, fondato sull’unità inscindibile di libertà ed eguaglianza quali pilastri di una democrazia autentica e compiuta.

Si intensifica allora il confronto con autorevoli economisti di quell’area politico-culturale, che rappresenta per lui l’occasione di analizzare più a fondo il ruolo strategico dell’innovazione tecnologica per lo sviluppo economico e sociale. Particolarmente rilevante è l’interazione con Paolo Sylos Labini, nata da un comune interesse per la natura articolata dell’innovazione tecnologica e alimentata da una profonda stima reciproca, in cui matura l’idea di un’innovazione programmabile nelle sedi della ricerca grazie alle possibilità offerte dallo straordinario avanzamento delle conoscenze scientifiche e delle tecniche sperimentali. La visione della programmazione dell’innovazione lo spinge inoltre a ripensare il ruolo dell’intervento pubblico, da riabilitare non solo come strumento per finanziare investimenti rischiosi e di lungo termine, ma anche per orientare lo sviluppo tecnologico verso la realizzazione del bene comune, in linea con il progetto politico di Riccardo Lombardi.

Sul piano delle vicende italiane, la questione dell’innovazione assume per lui un rilievo sempre più centrale, man mano che constata il ritardo tecnologico del Paese e le difficoltà crescenti nel tenere il passo con le principali economie industriali, così come nel migliorare le condizioni di vita dei lavoratori. Proprio in questa dinamica individua il cuore del cosiddetto “declino” dell’Italia: un incessante depotenziamento del suo sviluppo, che si traduce anche in una limitata capacità di reazione alle crisi che, a partire dalla fine del primo decennio del Duemila, hanno travolto l’economia mondiale. Per Ferrari, l’Italia attraversa una vera e propria “crisi nella crisi”, ed è fondamentale sottolinearlo per evitare l’equivoco di interpretare il suo arretramento come semplice effetto della più generale fase discendente che investe l’Occidente — e l’Europa in particolare.

L’idea che permeava molti dei suoi scritti più recenti era l’urgenza di una ripresa dell’azione politica della sinistra, capace di invertire questa tendenza attraverso un’azione incisiva dello Stato che fosse fondata su una rinnovata programmazione dell’innovazione e sull’adozione di politiche industriali in grado di contrastare l’inadeguatezza della struttura produttiva nazionale, interrompendo la pratica abusata della deflazione salariale come modalità per mantenere gli spazi competitivi e aprendo così la strada – come auspicato dallo stesso Lombardi – a una “società più ricca, in quanto diversamente ricca”.

Lo spirito critico di Sergio ha immancabilmente stimolato dibattiti di ampio respiro, in un periodo contraddistinto da trasformazioni economiche e sociali rapide e da incertezze in progressivo aumento. Ci lascia pensieri drammaticamente attuali che, per chi ha conosciuto la sua passione civile e la limpidezza del suo pensiero, rappresentano un forte invito a proseguire il percorso condiviso con lui con la stessa lucidità e determinazione.

Daniela Palma

Roma, 30 maggio 2025

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