L’Italia di Berlusconi e l’andamento dell’economia internazionale 

di Sergio Ferrari

Anno 2001
Se non ci sarà una forte ripresa economica internazionale – e la cosa non sembra all’orizzonte – difficilmente l’Italia potrà trovare, con i provvedimenti del Governo Berlusconi, livelli di sviluppo significativi: in fase di stanca o di recessione tutti si affannano a recuperare sul piano delle esportazioni la stagnazione interna. Ma la struttura e la specializzazione produttiva del nostro paese non consente una simile gara: ha già difficoltà in condizioni normali a conservare le proprie quote di mercato internazionale.

Quindi provvedimenti calibrati essenzialmente sull’offerta e con una domanda debole sono destinati a non avere effetto perché nessuna impresa investe e amplia la propria capacità produttiva con prospettive di mercato cosi precarie. Ci si potrà aspettare nel brevissimo periodo una molto parziale ripresa degli investimenti solo in relazione ai rinvii che in materia le imprese hanno attuato nella attesa della scommessa su Berlusconi . Ma questo solo per tornare a livelli d’investimento di tipo ordinario – e probabilmente anche inferiori – non certo per quel “turbo” vaneggiato dal Presidente di Confindustria. Poiché tutto questo dovrebbe, nelle intenzioni del Governo, avere effetti altrettanto a breve e comunque prima dell’inverno, staremo a vedere. La prossima Finanziaria non consentirà più di tanto – e comunque meno di un DPEF – di menare il can per l’aia.

Un secondo effetto potranno avere i provvedimenti del Governo: se sempre in attesa di una ripresa della domanda internazionale le imprese vorranno e potranno cogliere i vantaggi a termine delle detassazioni degli investimenti, si orienteranno verso razionalizzazione produttive dove il termine razionalizzazione deve essere inteso in questo caso nel senso del risparmio sul lavoro – dato che, come accennato difficilmente si prospettano ampliamenti delle quantità e dato che – come è noto – sulle produzioni ad alto valore aggiunto e a maggior dinamica della domanda internazionale il nostro sistema produttivo è sostanzialmente assente.

Non ultimo, infine, è il fatto che difficilmente il Governo avrà fatto i conti con la composizione degli investimenti fatti dalle nostre imprese: quote superiori al 20% sono dedicati all’acquisto di tecnologia all’estero. Proprio quella tecnologia che viene privilegiata quando si “razionalizza” e si agevolano indistintamente gli investimenti. Se si aggiunge la quota di investimenti in materie prime e/o intermedie già naturalmente acquistate all’estero, gli effetti della molto eventuale ripresa degli investimenti sullo sviluppo nazionale devono essere ulteriormente e proporzionalmente ridimensionati. Peraltro nel caso molto improbabile – e vista la vicenda grave e quanto mai significativa dei metalmeccanici, del tutto improbabile – che la domanda interna sorreggesse gli investimenti, si ripresenterebbe il problema del vincolo estero e, quindi, la necessità di un rallentamento di quella domanda.

Sarà interessante verificare se i trend positivi segnati in questi ultimi anni sul piano occupazionale si manterranno o meno. Anche le ulteriori liberalizzazioni del mercato del lavoro precario approvate dal Governo potrebbero avere – al di la di considerazioni di merito – effetti boomerang. Anche questi dati nel giro di pochi mesi potranno essere verificati.

Come poi siano stati fatti i conti per calcolare in 38.000 miliardi in tre anni le maggiori entrate derivanti dall’ipotetica emersione del sommerso condonato è questione ancora più opinabile. Se si tratta di una previsione utile per far finta di far tornare l’equilibrio dei conti pubblici, si tratterebbe, questa sì, di una vera e propria avventura.

Le prime mosse del Governo Berlusconi se ricalcano le promesse sul piano delle decisioni normative non sono certo tali da confermare le promesse di sviluppo, pur potendo essere il paese alla vigilia di un nuovo miracolo economico – parole da non dimenticare essendo del Governatore della Banca d’Italia.

Sarà bene che sul piano delle politiche economiche e sociali l’opposizione incominci a fare i conti con questa ipotesi, anche aggiornando quanto era necessario aggiornare sulla politica delle privatizzazioni, dello sviluppo del mezzogiorno, della politica industriale e tecnologica. Anche su questo terreno potrebbe essere chiamata prima del previsto a dare segnali importanti della sua presenza.

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