Quello che serve per riformare davvero la P.a.

Roma 4 aprile '09 la CGILSul progetto Renzi-Madia di riforma della Pubblica Amministrazione il commento di  Rossana Dettori, Segretario Generale della Fp Cgil, dal sito di Rassegna Sindacale

Siamo arrivati alla fine di questa estenuante fase “preparatoria” della riforma della pubblica amministrazione del governo Renzi e ciò che resta sul tappeto è ben poco rispetto alle aspettative che si sono volute ingenerare. Nessun ragionamento “di sistema”, nessuna proposta di ridisegno complessivo delle funzioni pubbliche, nessun approccio generale che possa farci leggere la possibilità di un progetto organico. Nulla che sia nulla sugli errori del passato, sulle controriforme Brunetta-Monti e sulla necessità di un loro superamento. E nulla, ancora, sulla crisi economica in corso, che ha inciso, fra le altre cose, sia sulla garanzia dei servizi ai cittadini, sia sulle condizioni di lavoro, aggravando, anche per questa via, una crisi istituzionale che è sotto gli occhi di tutti.

La pubblica amministrazione avrebbe avuto bisogno non di un dibattito fatto di mail, hashtag e post sui social, ma di una discussione vera, trasversale, coinvolgente, per certi versi anche appassionante, e questo anche al di là del rapporto che il governo Renzi intende avere con il sindacato. Così non è stato, ma ciò non esclude che così può ancora essere: si sottragga il tema delle pubbliche amministrazioni dall’agorà della comunicazione mediatica e si recuperi il tempo perduto, aprendo nel paese quella discussione che è mancata clamorosamente. Il sindacato confederale vuole, pretende, di fare la sua parte, e intende farlo non in difesa, ma rilanciando. Le proposte ci sono, la disponibilità a concorrere a un progetto di riforma che serve al paese pure.Abbiamo bisogno di riorganizzare innanzitutto le istituzioni territoriali e il sistema di relazioni e responsabilità che le lega ai diversi livelli di governo della cosa pubblica. Nell’ultimo decennio la spesa inutile per eccellenza, e quindi da tagliare, è stata demagogicamente individuata in quella degli enti locali. L’assenza di una strategia precisa nell’affrontare il tema del riassetto complessivo del territorio ha aggravato le difficoltà e aumentato i problemi di funzionalità. Sono ormai indispensabili, quindi, riforme strutturali in questo senso, a cominciare da una nuova scrittura del Titolo V della Costituzione, dalla ridefinizione delle competenze attribuite a Stato e Regioni e da una nuova disciplina delle modalità di esercizio della potestà legislativa e della riduzione delle materie concorrenti.

Le Regioni, tanto per fare un esempio, devono riappropriarsi del loro ruolo di programmazione e legislazione, aggiungendo a ciò anche un rinnovato esercizio di coordinamento e regolamentazione delle funzioni locali. A valle di ciò, bisogna anche rivedere il sistema fiscale, ridefinendo il giusto rapporto tra funzioni attribuite e risorse economiche necessarie al loro esercizio, abbattendo, anche per questa, via gli sprechi, i costi impropri, le sovrapposizioni di enti e strutture. Occorre intervenire sulla miriade di società partecipate che esercitano impropriamente funzioni che la Costituzione assegna alle autonomie locali e colmare il vuoto che l’abolizione delle Province ha prodotto rispetto alle funzioni e al loro esercizio. Si chiariscano una volta per tutte le funzioni di area vasta, città metropolitane comprese, e si operi affinché questo livello di governance diventi strategico. Si renda obbligatoria la gestione associata dei servizi per i Comuni, realizzando così economie di scala efficaci: l’associazionismo comunale come obiettivo strategico per creare condizioni economiche favorevoli, assicurando la gestione ottimale delle funzioni. Si assuma l’obiettivo di creare, dalla fusione dei Comuni più piccoli, nuove comunità in grado di gestire più facilmente l’amministrazione del territorio: mezzi, professionalità, risorse, centri di acquisto in comune come leva per migliorare l’esercizio dell’intervento pubblico in queste comunità.

E poi lo Stato, o meglio le amministrazioni centrali dello Stato. La riforma che vogliamo non prevede in alcun modo l’abdicazione ai privati del ruolo di garanzia dei diritti di cittadinanza. Per questo abbiamo bisogno di una progettualità organica che non faccia considerare esclusa dal processo riformatore nemmeno un’amministrazione, nemmeno il più piccolo degli enti. Nessuno può essere escluso dall’innovazione e dal cambiamento: una riforma è tale se coinvolge lo Stato nella sua interezza. Alle amministrazioni centrali vanno affidati compiti di fissazione dei “livelli essenziali di qualità dei servizi” e di vigilanza e controllo, per garantire legalità a tutto il paese, mentre alle loro articolazioni periferiche va assegnata la funzione di gestione dei servizi, in stretto rapporto con Regioni ed enti locali. Non può più esistere un modello organizzativo totalmente avulso dai bisogni del cittadino: noi chiediamo si realizzino nel territorio poli unici dello Stato cui cittadini e imprese possano rivolgersi, senza duplicazioni e moltiplicazione dei costi; una nuova organizzazione delle amministrazioni che unifichi e riaggreghi quelle funzioni attualmente svolte da più soggetti, liberando risorse e tempo per cittadini e imprese.

Vogliamo cominciare – così, per indicare delle priorità – dalle ispezioni su sicurezza e regolarità del lavoro, dalle incombenze contributive-fiscali, dalle funzioni relative al mercato del lavoro e all’avviamento al lavoro? Noi siamo pronti. Ma per fare questo, se ne convincano la ministra Madia e il presidente Renzi, bisogna costruire una forte azione negoziale, che governi i processi di riorganizzazione delle pubbliche amministrazioni, a cominciare da quelli derivanti dai percorsi di riordino istituzionale. Un’azione che governi un sistema di deroghe alle normative attuali sui tetti di spesa del personale e che rafforzi, non annichilisca, il sistema delle relazioni sindacali, anche attraverso l’individuazione di nuovi livelli di confronto dove affrontare problematiche derivanti dai processi di riorganizzazione. In tutto ciò, due semplici e inequivoci presupposti: la salvaguardia dei livelli occupazionali, garantendo per questa via anche una prospettiva di stabilità dei rapporti di lavoro, a garanzia dei livelli quali-quantitativi dei servizi erogati; il ritorno dei contratti collettivi nazionali di lavoro a un ruolo di autorità salariale e strumento di propulsione di un livello integrativo partecipato, anche per migliorare l’efficienza dei servizi ai cittadini. Avranno abbastanza coraggio il presidente Renzi e la ministra Madia per dare gambe alla parola “rivoluzione”?

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2 commenti su “Quello che serve per riformare davvero la P.a.”

  1. Dov’è la politica economica?

    Il governo Renzi ha adottato dei provvedimenti che dovrebbero intervenire sulla crescita economica, il funzionamento della macchina pubblica, la semplificazione normativa nel campo dell’edilizia e degli appalti. Alcune misure sono di buon senso, altre sono di difficile applicazione, alcune sono dannose e inutili. Se dobbiamo trovare un tratto economico, politico e sociale dei provvedimenti adottati, possiamo trovarlo nella riduzione delle tasse e nella semplificazione della macchina pubblica, che assomiglia tanto al ridimensionamento della stessa. Non sfugge a nessuno che la più importante riforma della pubblica amministrazione dovrebbe essere quella di predisporre un nuovo contratto per il pubblico impiego. Infatti, i dipendenti pubblici nel corso degli ultimi anni hanno perso il 10% del potere d’acquisto. Misure per la crescita economica o qualcosa che si avvicini risiedono nel credito d’imposta secco sugli investimenti incrementali, nel taglio della bolletta energetica per le PMI (1,5 mld), il rafforzamento della patrimonializzazione delle imprese via ACE, riforma delle Camere di Commercio e riduzione degli oneri camerali per le stesse imprese.
    L’ipotesi di nuove assunzioni nella pubblica amministrazione, la così detta staffetta generazionale, ha caratteristiche punitive e contradditorie. Inoltre, l’ipotesi di 15.000 nuovi assunti, su una platea di 1,5 mln di over 50 della PA, sembra una carota piccola piccola. La mobilità volontaria e obbligatoria dei pubblici dipendenti, fino a 50 km, non risolve il problema del funzionamento della macchina pubblica per la semplice ragione che non si capisce cosa deve fare la pubblica amministrazione. In altri termini i provvedimenti adottati sono nel segno della contrazione della pubblica amministrazione, non tanto nel suo funzionamento, se possiamo fare le stesse cose con meno soldi e personale il paese e tutti i dipendenti pubblici hanno un beneficio, piuttosto nell’idea stessa del ruolo economico e politica che la PA potrebbe avere nella crescita del paese. Alla fine lo slogan è: meno stato e più mercato regolato, ma non troppo. La riduzione dei contingenti complessivi dei distacchi sindacali del 50% per ogni associazione sindacale, sono l’altra faccia della medaglia dello slogan più mercato, meno stato e meno regole. Renzi arriva dove non ha osato nemmeno Confindustria con la mobilità, il mancato contratto e la riduzione del peso politico del sindacato. Immagino la battuta di Renzi: io offro una grande possibilità al sindacato di diventare sindacato dei lavoratori fatto da lavoratori. In realtà lede il diritto liberale di esercitare la rappresentanza del lavoro in modo organizzato.
    In definitiva i provvedimenti addottati da Renzi sono tutti tesi a fare, senza politica economica e amministrativa. Non sono una tempesta in un bicchier d’acqua, ma non la si spacci per politica economica. Non saranno questi provvedimenti a far ripartire l’economia italiana. Renzi ricorda che l’Europa e il mondo ci guardano. Ha ragione, nel senso che l’Italia vive una crisi nella crisi. Durante la crisi il mercato si è incaricato non solo di ridurre la produzione industriale del 25%, con la conseguente chiusura di molte imprese che da tempo erano fuori mercato, ma di spezzare la produzione industriale che più di altre favorisce l’uscita dalla crisi, cioè la produzione di beni strumentali crollata del quasi 30%, mentre in Germania è aumentata del 3%. La riduzione degli investimenti delle imprese del 30% coincide con il meno 30% della produzione dei beni strumentali. Il ragionamento serve a spiegare che il credito complessivo all’economia del paese è in calo, ma i dati aggregati celano andamenti differenti per le diverse categorie di debitori. In un contesto di persistente incertezza circa i tempi e l’intensità della ripresa le imprese hanno ridotto la domanda di credito. Il punto deve essere chiaro: si è ridotto il credito, ma la domanda di credito per nuovi investimenti è diminuita più velocemente. Non si tratta solo di sostenere gli investimenti, piuttosto di realizzare gli investimenti che le imprese private italiane non possono fare. Il “think tank” della Presidenza del Consiglio potrebbe almeno suggerire di non commettere errori di presunzione?

  2. RIFORMA P.A.: IL GIOVANE GOVERNO DEI NUMERI A CASO
    Furio Colombo (Il Fatto Quotidiano 15/06/2014)
    “Quindicimila giovani assunti dallo Stato”. Ragazzi, mi tocca il compito di comunicarvi, quasi da solo, che non è vero. Evidentemente quei quotidiani hanno pensato che bisognava pur dare un titolo sensato alla Riforma Renzi-Madia detta “della Pubblica amministrazione”, una riforma che non c’è. Vediamo. Per la giovane ministro del giovane governo presieduto dal giovane presidente Renzi, una riforma è una promessa molto ripetuta e gridata tenendo le dita incrociate tipo scout. Si comincia subito col dare numeri a caso, tanto non tutti e non subito possono verificare. Esempio: fino a quanti km si può spostare un padre o una madre di famiglia (che per sventura siano impiegati dello Stato in questa fase della storia) perché possano sopportare il trasferimento coatto (è questo che si promette, il trasferimento non voluto, come riforma)? Ripeto la domanda: fino a quanti chilometri? Cento va bene? Che ne dite? Sembra una riforma coraggiosa, perché è dura, cattiva, oltreché inutile.

    Passa un giorno dall’annuncio che getta molti dipendenti pubblici nella costernazione, e poi si viene a sapere che 100 km sono troppi, li spendi in viaggio o devi farti, con lo stesso stipendio, una seconda casa. Facciamo 50? 50, quasi nessun ufficio, nel quale le persone interessate e angosciate lavorano per lo Stato, dista 50 km da un altro ufficio uguale o con funzioni simili, a meno che la buona e moderna riforma preveda il passaggio dall’archivio dei Beni culturali ai Vigili del fuoco, tanto per farti vedere chi comanda. Ecco un’altra caratteristica della Riforma della Pa che porterà le firme del giovane premier Renzi e della giovane ministro Madia: essere cattivi come i veri manager privati, e far pagare ai piccoli.

    Fateci caso: qualunque cosa accada, trasferimento, spostamento, nuova mansione, buon compleanno, l’indicazione è “con stipendio anche minore” o addirittura “ridotto del 30%” oppure “con riposizionamento a rango inferiore”. Come dire: ti prometto un futuro di stipendi più bassi e di luoghi più scomodi e, se sei già specializzato in qualcosa, avrai subito una mansione diversa. Perché queste sono le vere riforme: spiacevoli. Strano che tutti coloro che, insieme al ministro, hanno messo mano alla Riforma della Pubblica amministrazione italiana non abbiano ricordato che chi occupa, bene o male, posti nello Stato, lo ha fatto e lo fa per concorso, e il bando di concorso, che ha un valore impegnativo per il datore di lavoro Stato, oltreché per il personale assunto, precisa ogni dettaglio su trattamento, funzioni, doveri e garanzie

    Ma allarghiamo un po’ lo sguardo su ciò che ci dicono della riforma anche dopo lo storico Consiglio dei ministri del dopo Vietnam, e che è quasi niente, solo un decreto legge. Il resto è (sarà) delega.Dunque saltano i 100 km. Ma si insiste che la grande novità è lo spostamento. Chiunque può essere messo in mobilità e te lo annunciano e ripetono in modo da farti sapere che non puoi star tranquillo. Chiunque voglia vendicarsi di te, nel tuo ufficio, d’ora in poi ha il suo strumento per farlo. Ah, poi c’è l’idea, molto giovanile, da London School of Economics, di stabilire che lo stipendio dei dirigenti dipende dall’andamento del Pil. Serve a cancellare ogni traccia del premio per chi lavora e produce. Ma che legame ci può essere fra una persona e il Pil? Tanto vale, allora, decidere uno scatto tutte le volte che escono, su ruote prestabilite, da uno a cinque numeri indicati dal dipendente che aspira al premio. Poi c’è il ricambio generazionale . Puoi credergli se ti dicono che, abolendo l’abitudine di trattenere in servizio (di solito per due anni) dei pensionandi utili nel lavoro che fanno, si sbloccano di colpo 15 mila posti per i giovani? Si sbloccano come? Sono già lì sui gradini e poi entrano come a scuola, oppure bisognerà mettere su un concorsino che porta sempre via un paio d’anni? Non dimenticate la “semplificazione”. Hanno deciso che, di tre uffici di registro automobilistico ne faranno uno solo. È giusto, è poco, non conta niente, non incide su nulla. Risparmio del personale: da tre a cinque persone. Certo, in momenti di crisi tutto conta.

    E qui viene la seconda parte del discorso. La Pubblica amministrazione è la macchina che fa funzionare lo Stato. Persino nell’America che viene continuamente descritta come liberista e fai da te, la macchina dello Stato è immensa e tende a essere rapida e perfetta. Ripeto un esempio che ho fatto altre volte, quando si parla di scardinare la burocrazia col bulldozer. A New York nessuna ristrutturazione può iniziare in case private (neppure una cucina o un bagno) senza verifica e permesso del comune, la presentazione, la firma il progetto, e assicurazioni anti infortunio individuali per ciascuno dei prestatori d’opera, anche se sono imbianchini di interni. Se i documenti mancano, stop immediato e multa, a cura di una burocrazia implacabile.

    È la stessa, competente, efficiente, rapidissima, che ha reso rischiosissima l’evasione fiscale. Abbiamo, credo, chiarito una cosa su cui volentieri si fa confusione: la Pubblica amministrazione di cui è riformatrice la giovane ministro Madia, è la burocrazia, la stessa contro cui il suo giovane primo ministro Renzi voleva buttarsi con il bulldozer. È dunque una macchina grande e complessa che richiede conoscenza di ciò che è adesso, e progetto di ciò che dovrebbe essere dopo. Richiede ancheuna visione politica: Ronald Reagan sosteneva che bisognava chiudere tutta la baracca perché “è lo Stato il problema”. Roosevelt, Kennedy, Carter, Clinton e Obama dicono “È lo Stato che deve intervenire, a cominciare dalla scuola pubblica e dalla salute”. Prima di spostare i piccoli pezzi del loro gioco, Madia e Renzi devono prendere posizione su queste due visioni dello Stato, della vita, della politica. Devono scegliere e farlo sapere.

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