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Mauro Beschi: “Ferrari, un uomo di grandi qualità”

Ferrari: “Un uomo di grandi qualità”

Mauro Beschi

Sergio è stato un uomo di grandi qualità, di vivace intelligenza e cultura, socialista con grande rigore e passione, di specchiata moralità. Ho avuto modo di incrociarlo spesso sia per i rapporti con Fausto Vigevani, sia per il mio lavoro in Cgil (faceva parte con autorevolezza del Forum dell’economia CGIL), e infine nei numerosi incontri che avevamo, da ultimo, con Paolo Leon. Ovviamente ha dato un grande contributo anche alla attività politica di Labour.

Sergio è stato un importante dirigente dell’Enea nella quale ha sviluppato riflessioni e ricerche sulle dinamiche dello sviluppo italiano, della ricerca e del loro rapporto.

La sua visione e il suo impegno possono essere riassunti in una sua frase: “Per noi la sola valenza scientifica non era sufficiente perché dietro a qualunque conoscenza scientifica ci sembrava che esistesse comunque, prima o poi, anche una dimensione pratica, economica o sociale che fosse.”

Linea guida che avrebbero orientato il lavoro dell’Osservatorio su L’Italia nella Competizione Tecnologica Internazionale che lui dirigeva e attraverso il quale aveva intessuto rapporti con personaggi di grande livello come Alessandro Roncaglia, Paolo Sylos Labini e Paolo Leon (cui era legato dall’appartenenza alla corrente Lombardiana del PSI).

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Daniela Palma: “In ricordo di Sergio Ferrari”

In ricordo di Sergio Ferrari

di Daniela Palma

Non è facile trovare le parole più giuste per ricordare oggi, qui, tra di noi, Sergio Ferrari, che ci ha lasciato da poco. Non è facile perché dopo un lungo cammino percorso insieme a lui dobbiamo inevitabilmente riannodare i fili di una storia in cui la dimensione personale si intreccia con quella dell’impegno politico e della riflessione intellettuale, attraversando i tanti passaggi cruciali che hanno pure segnato la storia del Paese. Potremmo dire (per semplificare) che in tutto questo era un uomo del Novecento, ma non ci basta; non tanto perché ci sembra che questa sia una formula un po’ logora, attualmente in voga per liquidare in modo sbrigativo quel mondo di ideali e di grandi conquiste sociali che in quel secolo si sono affermati. Non ci basta perché Sergio era un uomo costantemente teso a innovare il presente, a “costruire” idee per il futuro, spesso con formidabili fughe in avanti. Il suo era un tempo continuo lungo il quale fare avanzare un ideale di progresso con al centro la dignità della persona e il benessere collettivo. Accadeva così che il fermento politico che accompagnava la rinascita dell’Italia dopo il secondo conflitto mondiale lo trascinasse in quella direzione, ma al tempo stesso lo portasse anche a considerare che gli sforzi da compiere dovessero essere sostenuti dalla capacità di progettare quella realtà, facendo ricorso alla produzione di nuove conoscenze.

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Sanders: “Dobbiamo reagire in ogni modo”

“La disperazione non è un’opzione. Dobbiamo reagire in ogni modo possibile”

 di: Bernie Sanders

 

Non mi capita spesso di ringraziare Elon Musk, ma ha fatto un lavoro eccezionale nel rendere evidente un punto che sosteniamo da anni: viviamo in una società oligarchica in cui i miliardari dominano non solo la politica e le informazioni che consumiamo, ma anche l’amministrazione e la vita economica. Questo non è mai stato così chiaro come oggi. Ma date le notizie e l’attenzione che il signor Musk ha ricevuto nelle ultime settimane mentre smantellava illegalmente e incostituzionalmente le agenzie governative, ho pensato che fosse il momento giusto per porre la domanda che i media e la maggior parte dei politici non sembrano porsi: cosa vogliono davvero lui e gli altri multimiliardari? Qual è il loro obiettivo finale?

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Lettieri: Stati Uniti e Europa in un mondo che cambia

Le relazioni internazionali saranno la caratteristica principale della nuova presidenza americana nei confronti dell’incerto futuro dell’Europa, che dovrà affrontare il mutamento di rapporti che Trump mostra di voler instaurare

di Antonio Lettieri

L’esito delle elezioni americane con la vittoria di Donald Trump indica un cambiamento della politica degli Usa sia a livello nazionale che internazionale. Trump era considerato un candidato alternativo alla corrente politica americana. Non ci sono dubbi sulla peculiarità della sua personalità. I vecchi presidenti (e Trump era già stato presidente), una volta lasciata la Casa Bianca, non si presentano per una nuova elezione. Dopo la vittoria, Trump ha enfatizzato alcuni aspetti rilevanti del suo programma. Da un lato, una politica diretta contro gli immigrati, sia quelli in arrivo che quelli già negli Stati Uniti ma non in possesso della cittadinanza americana. Un programma di esclusione in un paese storicamente composto da migranti. E, come dimostra la California, da una maggioranza di cittadini stranieri prevalentemente messicani e asiatici. Quanto alla politica interna ha ridotto le imposte in particolare per le famiglie più ricche. In sostanza, una politica di destra come ci si poteva attendere. Gli aspetti più importanti riguardano la poltica internazionale e, in particolare, i rapporti con la Palestina e, più in generale, i rapporti economici con la Cina. La sua politica presenta aspetti diversi rispetto, come vedremo, al conflitto con la Russia che implica il cambiamento dei rapporti americani con l’Europa. Ci occuperemo di questi tre aspetti.

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Giudice: “Come ricostruire una sinistra socialista”

COME RICOSTRUIRE UNA SINISTRA DI ISPIRAZIONE SOCIALISTA di Giuseppe Giudice
Oggi la priorità è il mutamento dei rapporti di potere nella società, nel senso della giustizia sociale, dell’eguaglianza e di una democrazia che deve essere difesa da gente come Elon Musk.
Ho più volte messo in evidenza come abbiamo condotto una battaglia politica ed ideologica contro il neoliberismo. Soprattutto abbiamo fortemente criticato la tendenza alla mercatizzazione dei beni sociali (sanità ed istruzione), il processo di rimercificazione del lavoro, la privatizzazione dei beni pubblici (energia, telecomunicazioni, trasporti ) e dei beni ambientali. Ed abbiamo , al tempo stesso criticato l’atteggiamento subalterno di gran parte delle socialdemocrazie , nonché del postcomunismo italiano ibridato con con i postdemocristiani demitiani , il PD, rispetto ai processi sopra citati. Ma se tale ragionamento è valido da un punto di vista ideologico , meno valido lo è dal punto di vista scientifico. Forse è noioso ricordarlo, ma spesso mi sono richiamato alla grande opera di Rudolf Hilferding , uno dei maggiori esponenti del socialismo marxista democratico , “il Capitale Finanziario”, che pare una opera molto datata (è del 1909) . Una opera di cui il compagno Francesco Bochicchio ha voluto evidenziare forti elementi di attualità, dando merito al professor Emiliano Brancaccio (certo più vicino a Lenin che a Hilferding) di aver curato la ripubblicazione nel 2016 (la prima pubblicazione è del 1970) di questa importante opera. A parte il dato che Brancaccio ammette che Hilferding seppe vedere più lontano di Lenin, questa opera nel tempo del capitalismo finanziarizzato acquista un notevole significato. Come ho più volte detto Hilferding ritiene che il capitalismo liberale rappresenta solo una fase transitoria iniziale del capitalismo stesso. Insomma quello descritto da Adamo Smith e David Ricardo. Economisti che Marx stimava molto (avevano posto le basi dell’economia politica come scienza) e ne criticava i limiti. Il limite era quello di analizzare il processo economico dal punto di vista del capitale. Di qui il sottotitolo del Capitale – Critica all’economia politica. Rudolf Hilferding sostiene che con lo sviluppo del capitale finanziario, strumento eccezionale di concentrazione e centralizzazione del capitale, il modello concorrenziale di Smith e Ricardo saltava . Del resto Marx aveva previsto che il capitalismo aveva una tendenza intrinseca alla concentrazione del capitale , fino alla formazione dei monopoli e degli oligopoli. Hilferding questa previsione di Marx la aveva sotto i suoi occhi, e cercò di analizzarla , e comunque ritenendo che il capitalismo non sarebbe più tornato alla fase liberale. Del resto, oggi , l’idea di concorrenza , è solo una comoda costruzione ideologica, puramente apologetica del capitalismo attuale. Il finanzcapitalismo della globalizzazione si muove in ben altra direzione, quella di una concentrazione di potere economico mai vista ed in grado di possedere un enorme potere di condizionamento degli stati, ma anche della nostra vita quotidiana. Si è parlato tanto di Elon Musk e del suo monopolio sulle reti satellitari, e con un patrimonio netto di 400 miliardi di USD. E di tanti altri monopolisti o oligopolisti. E vi sono società di investimento americane (che Sanders ha citato nel suo ultimo libro: “Sfidare il capitalismo”) come Black-Rock, Vanguard, State Street , che hanno un patrimonio netto di 20.000 miliardi di USD (l’equivalente del PIL USA) e sono presenti e condizionanti nei più diversi settori di attività. Sinceramente non so a cosa servono i commissari alla concorrenza della Ue. Ma ritorniamo a Elon Musk. Un personaggio estremamente pericoloso, che è di fatto parte integrante del governo Trump, pur non essendo cittadino americano, che propugna una internazionale reazionaria, interviene costantemente, spesso con insulti e volgarità, nel dibattito politico interno di molti paesi, un genialoide, indubbiamente , ma con seri disturbi psichici , un teorico della distopia del “transumanesimo ” (i Cyberborg di Star Trek) . Ma mi chiedo come Musk sia riuscito a conquistare una posizione di monopolio in un settore delicatissimo in grado di controllare i nostri dati , di emettere fake news , oltre all’uso militare . Da quello che ho letto Musk ha approfittato dei forti tagli che le amministrazioni USA (democratiche e repubblicane) hanno fatto alla Nasa (che è una agenzia pubblica) la quale ha dovuto rivolgersi ai privati per reperire fondi. Alla fine Musk si è comprato mezza Nasa , con tutta la tecnologia ed il Know-Now che possedeva. In Europa è stato impossibile creare una alternativa pubblica , valida, probabilmente per la stupida logica austeritaria . Costruire una alternativa seria a Star-link di Musk, avrebbe richiesto fortissimi investimenti pubblici (in Cina la stanno creando così). Non mi soffermerò sull’enorme pericolo che la coppia Musk- Trump costituisce per l’intero genere umano. Certo poi ci saranno quelli che faranno i cagnolini di compagnia , e mi fermo qui. Uno potrebbe chiedersi a questo punto . In questo quadro come si fa a ricostruire una sinistra socialista (di sinistre liberal ne abbiamo piene le tasche) . Invertendo di 180 gradi la prassi e l’impostazione che finora hanno caratterizzato tutte le sinistre. Per me fu una piacevole sorpresa assistere alla elezione di Jeremy Corbyn alla presidenza del Labour nel 2015. Uno sconosciuto (ma allievo di Tony Benn) che pose con forza una netta soluzione di continuità con il social-liberismo di Blair. Che riuscì a prendere il 40% alle elezioni del 2017 su un programma di rottura. In particolare rompendo il tabù della presenza pubblica in economia. Proponendo un piano di pubblicizzazione e socializzazione delle utilies pubbliche (energia, ferrovie, gas, acqua , poste), ricostruendo ed implementando il welfare pubblico , forti investimenti pubblici per la transizione ecologica, sviluppo della democrazia economica e nuove forme di proprietà. Sappiamo tutto come Corbyn abbia pagato per essere stato un vero socialista democratico. Ma ha posto un problema vitale: l’esigenza di un forte contrasto ai monopoli ed oligopoli privati, anche nel settore dei social (sua era la proposta di un social pubblico gestito dalla BBC) alternativo e concorrenziale al monopolio privato. E di Corbyn voglio ricordare la centralità che assegna alla “working class” della quale accresce il perimetro: vi sono certamente gli operai dell’industria tradizionale; vi sono i lavoratori dei servizi (ad alto tasso di sfruttamento): Amazon, Mc Donald, Gig Economy. Vi sono gli insegnanti pubblici, il personale medico e paramedico della sanità pubblica. A questo soggetti può dare una risposta solo un nuovo socialismo democratico che si liberi della “sinistra alla moda” – i famosi “ceti medi riflessivi” in genere composti da ceti professionali generalmente benestanti e avulsi da sensibilità sociale. Questo non implica non dare spazio ai diritti civili, ma ben sapendo che oggi la priorità è il mutamento dei rapporti di potere nella società, nel senso della giustizia sociale, dell’eguaglianza e di una democrazia che deve essere difesa da gente come Elon Musk.
Potenza, 12 gennaio 2025

Penna: DALLE POLITICHE KEYNESIANE  AL NEOLIBERISMO

DALLE POLITICHE KEYNESIANE  AL NEOLIBERISMO*

 Lo shock petrolifero e la fine di Bretton Woods

Tra gli accadimenti internazionali dei primi anni ’70 tutti ricordiamo, per i suoi effetti sulla mobilità delle nostre città, lo shock petrolifero causato, negli ultimi mesi del ’73, dal quadruplicamento del prezzo della benzina deciso dai paesi produttori dell’Opec come ritorsione nei confronti dei paesi occidentali per il sostegno fornito ad Israele nella quarta guerra arabo-israeliana. Conflitto iniziata da egiziani e siriani il 6 ottobre 1973 durante la festività religiosa ebraica dello Yom Kippur.

Dai Paesi produttori si decretò l’embargo nei confronti dell’occidente riducendo progressivamente la produzione di greggio. Come conseguenza l’economia delle nazioni occidentali dovette fare i conti con un aumento improvviso e sostenuto del prezzo della sua principale materia energetica. Lo sviluppo economico del dopoguerra, infatti, era divenuto sempre più dipendente dal petrolio come fonte privilegiata di energia per l’industria, i trasporti, il riscaldamento.

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Lettieri: In ricordo di Emilio Gabaglio

In ricordo di Emilio Gabaglio,  di Antonio Lettieri

Protagonista dell’”ipotesi socialista” delle Acli, poi alla Cisl, poi per molti anni alla guida dei sindacati europei. Emilio era tra i fondatori, insieme con Pierre Carniti, di Eguaglianza & libertà      

                                               

La sua esperienza politica aveva origini lontane. Ma l’aspetto che lo distingueva era la coerenza della sua riflessione e della sua posizione come dirigente ai diversi livelli ai quali fu chiamato. Era molto giovane quando fu eletto presidente delle ACLI. Il suo pensiero non era perfettamente ortodosso. Subì molte critiche e, in sostanza, gli chiedevano di essere ligio all’insegnamento formale ecclesiastico. La sua riflessione era considerata estranea rispetto al pensiero cattolico allora dominante. Aveva ancora poco più di trent’anni, ma il suo ruolo ne aveva distinto l’autonomia della riflessione e il modello di direzione. Durante il mandato del suo predecessore, Livio Labor, l’associazione aveva dichiarato la sua autonomia in politica (cioè la fine del collateralismo con la Dc). Sotto la guida di Gabaglio, con il convegno di Vallombrosa del 1970, le Acli si dichiararono per una “ipotesi socialista”. Quando lasciò il ruolo di dirigente delle ACLI fu, dopo qualche tempo, assunto dalla CISL, allora diretta da Bruno Storti, come responsabile della poltica internazionale. Dopo qualche anno fu eletto nella segreteria della Cisl. Era il tempo in cui Pierre Carniti dirigeva la FIM, la Federazione dei metalmeccanici, e Emilio aveva con lui un rapporto di stretta amicizia.

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Daniela Palma: Altro che dazi sulle auto elettriche

Altro che dazi sulle auto elettriche, per competere con la Cina servono politiche industriali

Dobbiamo allentare le maglie del Patto di stabilità, per scorporare gli investimenti dal disavanzo di bilancio pubblico
Di Daniela Palma, 

Nelle acque agitate della difficile situazione dell’economia europea, l’incombente concorrenza dell’industria cinese rappresenta un punto di massima attenzione, e le recenti vicende che riguardano la contesa sul mercato dell’auto elettrica ne sono un segno evidente. Lo scorso luglio la Commissione europea è ricorsa infatti all’introduzione di dazi molto elevati sui veicoli elettrici a batteria importati dalla Cina, ritenendo di tutelare in questo modo i produttori della Ue, altrimenti danneggiati dal vantaggio di prezzo di cui godono quelli cinesi grazie alle speciali sovvenzioni elargite a questo settore nel loro Paese. Ma per capire se l’orientamento intrapreso dall’Europa sia il più opportuno è necessario comprendere in che misura la competitività dei veicoli elettrici prodotti in Cina sia davvero ascrivibile alla sola esistenza di sovvenzioni, o se si inserisca in una più ampia strategia pensata per lo sviluppo del sistema produttivo nazionale. Ed è da questo interrogativo che bisogna prendere le mosse per fare luce sulle reali difficoltà che sta attraversando l’industria europea (e di qui tutta l’economia dell’area), a meno che non ci si voglia illudere che il protezionismo sia la panacea di tutti i mali.

Ad oggi non poche sono le voci convergenti nel riconoscere che le incursioni della Cina sui mercati occidentali sono il frutto ormai maturo di politiche economiche tese a promuovere lo sviluppo del Paese all’insegna dell’autonomia della sua base produttiva, sostenendo in particolare l’espansione delle filiere industriali nei settori delle tecnologie avanzate, che presentano più dinamiche prospettive di crescita. Da paese che ospitava gli investimenti produttivi delle maggiori economie industrializzate, la Cina, forte di un approccio che aveva caratterizzato una prima importante fase del suo lungo processo di modernizzazione, ha saputo sfruttare in tempi relativamente rapidi la leva della globalizzazione, capitalizzando l’acquisizione del know-how estero e dando successivamente luogo a ingenti piani di investimento pubblico su base pluriennale, con l’obiettivo di munirsi di una propria capacità di ricerca e innovazione.

In tale contesto la Cina ha saputo inoltre cogliere l’enorme rilevanza delle tecnologie per la mitigazione climatica (tanto da inserirle già agli inizi degli anni duemila tra quelle strategiche), arrivando a destinare alla ricerca in questo campo finanziamenti pubblici sempre più ingenti (tali da portarla già dal 2017 ad essere su questo fronte il primo investitore a livello mondiale) e conquistando infine posizioni di leadership anche nella produzione di brevetti.

La storia dell’auto elettrica s’inquadra dunque in questo scenario e ha in qualche modo il merito di aver riportato alla ribalta l’attuale ritardo tecnologico dell’industria occidentale e la conseguente crisi di competitività che ha investito quest’ultima.

La posizione dell’Europa appare peraltro oltremodo critica se confrontata con quella degli Stati Uniti, che nel 2022 con l’Inflation reduction act hanno almeno iniziato ad avviare un cambiamento di rotta, intervenendo nel settore delle energie pulite con un sostanzioso finanziamento pubblico volto anche a stimolare la ricerca e a sostenere lo sviluppo industriale delle nuove tecnologie (Iea, World energy investment 2023).

La crisi dell’auto elettrica europea finisce così per essere un po’ come la punta di un iceberg di una perdita di competitività che l’Ue ha accumulato da tempo nei settori più rilevanti delle tecnologie pulite, vedendo crescere a ritmi incalzanti il proprio debito estero nei confronti della Cina. Basti solo citare il deficit di fine 2023 di più di 19 miliardi di euro riportato rispetto a quest’ultima nel fotovoltaico e, parallelamente quello di oltre 17 miliardi di euro conseguito negli accumulatori agli ioni di litio, che rivestono un’importanza cruciale per lo sviluppo dei processi di elettrificazione. Cifre ben più consistenti del passivo commerciale registrato nel settore dei veicoli elettrici, pari a oltre 8 miliardi di euro sempre a fine 2023, che però sottende un più accentuato peggioramento dell’interscambio con la Cina nell’ultimo periodo (come rilevato in un recente approfondimento sul commercio internazionale di tecnologie per la decarbonizzazione condotto nell’ambito dell’Analisi trimestrale del sistema energetico italiano curata dall’Enea).

L’introduzione di dazi particolarmente onerosi sui veicoli elettrici importati dalla Cina ha dunque a questo punto per l’Europa lo stesso senso di chiudere la stalla quando i buoi sono scappati da un bel po’ di tempo. Scoraggiare eccessivamente la domanda in un settore che non è ancora decollato implica oltretutto mettere un freno agli investimenti necessari per raggiungere come minimo una scala ottimale di produzione, con effetti immediatamente non trascurabili sul rispetto dei più stringenti obiettivi di decarbonizzazione fissati dalle politiche climatiche. I dati recentemente riportati sulle pesanti flessioni delle vendite di auto elettriche in Europa non risultano d’altra parte in contraddizione con questo quadro, ma evidenziano semmai come l’espansione del settore debba essere sostenuta inizialmente anche da opportune politiche di incentivazione, tenuto conto dell’evoluzione della normativa ambientale (come dimostra l’impatto negativo sull’intero mercato europeo della contrazione delle vendite di auto elettriche in Germania, seguita alla fine degli incentivi nel 2023).

L’Europa farebbe bene pertanto a ritornare sui suoi passi e a considerare seriamente la questione di dotarsi di politiche industriali che coniughino il rilancio del sistema produttivo dell’area con gli ambiziosi obiettivi di tutela del clima di cui si è fatta tra i primi portavoce. E non è un caso che il recente rapporto Draghi sulla competitività dell’Europa vada proprio in questa direzione, individuando nella capacità di innovazione di cui dovrebbe disporre l’Unione la chiave di volta per affrontare il difficile trilemma della crescita economica, della decarbonizzazione e di una sufficiente autonomia dalla produzione estera.

La strada da percorrere è ancora lunga, ma ricca di opportunità: stando a quanto riportato dall’Agenzia internazionale per l’energia (Iea), una larga parte delle tecnologie necessarie per raggiungere gli obiettivi della decarbonizzazione al 2050 è ancora allo stato dimostrativo o prototipale (in alcuni casi anche per più del 50%) e un’accelerazione della transizione energetica si fa sempre più urgente. Volendo ragionare dei maggiori ostacoli che l’Europa si trova a dover affrontare per rilanciare la sua competitività, sarebbe allora quanto mai necessario tornare a riflettere sulle regole in cui si inscrive la governance delle politiche economiche dell’Unione, certamente carente in materia di interventi per l’industria quanto a coordinamento e flessibilità nell’uso degli strumenti disponibili, ma a monte di tutto costretta dentro il ristretto spazio di azione concesso alla politica fiscale dalle regole del Patto di stabilità, che pone tuttora un forte limite al finanziamento pubblico.

Da troppo tempo si discute (invano) di pensare quantomeno a un qualche scorporo delle spese d’investimento dal computo del disavanzo di bilancio pubblico, introducendo così una flessibilità realmente funzionale al perseguimento di uno sviluppo economico sostenibile. L’occasione è d’oro per iniziare a farlo.

Da greenreport.it
Daniela Palma ha conseguito laurea e dottorato di ricerca in discipline statistiche ed economiche presso l’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”. È stata Visiting Research Fellow presso il National Center for Geographic Information and Analysis del National Science Foundation degli Stati Uniti. Dirigente di ricerca presso l’Enea nelle aree dell’economia dell’innovazione e dello sviluppo e dell’analisi della sostenibilità ambientale ed economica, è autrice di diversi articoli pubblicati in riviste e libri sia a livello nazionale che internazionale.

 

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Bufarale: Riccardo Lombardi e il centro-sinistra

Nel 40° anniversario della scomparsa di Riccardo Lombardi (18 settembre 1984) pubblichiamo il saggio dell’amico professore Luca Bufarale dedicato al ruolo e all’azione di Lombardi nei confronti del primo centro-sinistra

Riccardo Lombardi da fautore a critico del centro-sinistra

Luca Bufarale

Nato nel 1962 dall’intesa tra la Democrazia cristiana, i suoi tradizionali alleati socialdemocratici e repubblicani e il Partito socialista, all’opposizione dal 1948, il centro-sinistra esprime, tra alterne vicende, pressoché tutti i governi italiani almeno sino al 1972 ed è visto quasi unanimemente come uno snodo centrale nella storia della “prima repubblica”. La maggior parte degli studiosi ha sottolineato la contraddizione tra il lungo dibattito che ha preceduto il varo di questa formula politica (e le grandi speranze suscitate) da un lato, e la scarsità dei risultati ottenuti, in termini sia di riforme che di modifica degli equilibri politici, dall’altro. «Come mai – si chiede ad esempio Silvio Lanaro nella sua Storia dell’Italia repubblicana – un’alleanza preparata per quasi dieci anni, negoziata con estrema prudenza e uscita vittoriosa da scaramucce piccole e meno piccole, si rivela poi singolarmente avara di frutti concreti?» (Lanaro 1992, p. 327).

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Firma contro l’Autonomia differenziata

Contro l’Autonomia differenziata. Si all’Italia unita, libera, giusta

La Legge Calderoli va abrogata perché aumenterà i divari territoriali e peggiorerà le già insopportabili diseguaglianze sociali, a danno di tutta la collettività e, in particolare, di lavoratrici e lavoratori, pensionate e pensionati, giovani e donne.

► DIVIDE IL PAESE

L’autonomia differenziata spacca l’Italia in tante piccole patrie, condannando il Paese all’irrilevanza politica ed economica, anche a livello europeo. E questo non è un problema solo del Mezzogiorno, ma anche del sistema produttivo del centro-nord.

► IMPOVERISCE IL LAVORO

Mette in discussione il contratto collettivo nazionale, che rappresenta un pilastro dell’unità e della coesione del Paese, per rispolverare le gabbie salariali che determinerebbero un ulteriore impoverimento dei salari.

► COLPISCE LA SICUREZZA

Regionalizza e frammenta la legislazione in materia di salute e sicurezza sul lavoro, alimentando una competizione territoriale al ribasso sulla pelle di lavoratrici e lavoratori.

► SMANTELLA L’ISTRUZIONE PUBBLICA

Regionalizzando la scuola, infligge un colpo mortale alla stessa identità culturale dell’Italia. Difendiamo il diritto di studentesse e studenti a una scuola pubblica, nazionale, aperta al mondo.

► PRIVATIZZA LA SALUTE

Compromette definitivamente il Servizio Sanitario Nazionale: il diritto alla salute sarà riservato a chi potrà permetterselo, e le Regioni saranno ancor più libere di accelerare il processo di privatizzazione in atto.

► DEMOLISCE IL WELFARE UNIVERSALISTICO

Lasciando il “residuo fiscale” alle Regioni più ricche, priva il welfare pubblico e universalistico di risorse fondamentali per garantire i diritti sociali a tutte le cittadine e i cittadini.

► FRENA LO SVILUPPO

Sottrae totalmente allo Stato la competenza su materie strategiche: politiche energetiche; reti e infrastrutture; telecomunicazioni; porti e aeroporti; trasporti; ricerca scientifica; ambiente; cultura; rapporti con l’Ue; commercio con l’estero; protezione civile; previdenza complementare e integrativa; etc., pregiudicando le prospettive dell’intero sistema economico nazionale.

► FRAMMENTA LE POLITICHE AMBIENTALI

Rendendo impossibile un efficace contrasto al cambiamento climatico e la conversione ecologica del nostro sistema produttivo.

L’ITALIA DEVE ESSERE UNITA, LIBERA E GIUSTA

Firma CONTRO L’AUTONOMIA DIFFERENZIATA

referendumautonomiadifferenziata.com