intervista a Fabio Mussi pubblicata da Il Manifesto venerdì 15 giugno 2007
di Loris Campetti
“Scudo spaziale: D’Alema, Italia non è contraria”. Quando gli viene consegnato l’ultimo lancio dell’Ansa, datato 14 giugno ore 12,31, il ministro Fabio Mussi sbotta: “E invece io sì che sono contrario”. E ne spiega le ragioni: “Hai voglia a parlare di sistema di sicurezza, ma sicurezza contro chi? E perché in Polonia e in Repubblica Ceca? In realtà è soltanto uno strumento di accelerazione della corsa al riarmo. Oggi nel mondo si bruciano in armamenti molte più risorse di quante non se ne spendessero negli anni della guerra fredda”. Ma non è di politica estera che parliamo con Mussi, se non a commento delle agenzie di stampa che gli vengono recapitate nel corso dell’intervista (“In Palestina c’è il primo colpo di stato senza stato”). Parliamo della sinistra e della sua multiforme crisi, parliamo del progetto del suo “movimento” di ricostruire un soggetto di sinistra senza aggettivi. Gli aggettivi non servono, dal momento che il nascente partito democratico neanche pretende di essere di sinistra. Insieme a Valentino Parlato incontriamo Mussi nel suo ufficio all’Eur, al ministero dell’Università e della Ricerca.
Partiamo dalla crisi della politica e dei suoi linguaggi. Girando come una trottola l’Italia per incontrare i militanti di Sinistra democratica, aprire sedi, dibattere con le altre forze della sinistra, hai ripetuto che non andrai a “Porta a Porta”, sottintendendo che non è quella la forma della politica che ti interessa.
E’ dal ’98 che non ci vado e penso che dovremmo tutti ridurre le apparizioni televisive che sembrano gratificanti perché la gente ti ferma per strada per dirti che ti ha visto, ma mentre fanno crescere il leaderismo abbassano la qualità della politica. I leader sono ridotti a telepredicatori e i militanti a spettatori. Non esiste un altro paese al mondo in cui i leader politici accettino di essere ridotti ad attori di uno spettacolo circense, sempre con la stessa compagnia di giro. Non è spettacolo – e non penso soltanto a “Porta a Porta” – è avanspettacolo.
Nostalgia delle rarissime conferenze stampa di Togliatti in abito scuro e stile sobrio?
Di Togliatti e anche di Berlinguer. Nostalgia degli articoli di Giorgio Amendola. La politica deve avere solennità, mistero, carisma, altro che questo circolo mediatico. Qualche decennio fa fece scandalo a sinistra Milovan Gilas che, parlando del socialismo reale e della Jugoslavia, denunciò la nascita di una “nuova classe” dei politici. Anche qui è nata una nuova classe che va ben oltre la ovvia necessità, nel tempo in cui viviamo, di una professionalità della politica. Qui siamo alla politica come moltiplicatore di posti di lavoro. Una volta chiesi a un giovane ricercatore che cosa avrebbe voluto fare nella vita, mi ha risposto “il consigliere di circoscrizione”. E sai perché? Perché un consigliere di circostrizione guadagna più di un ricercatore. Quando gli ho chiesto per quale partito avrebbe voluto farlo mi ha guardato con aria interrogativa e ha risposto “per chi mi prende”.
Al tempo della svolta della Bolognina ti rivolgesti a chi difendeva le ragioni del Pci parlando di attaccamento all’orsacchiotto di peluche. Ora, alle riunioni di Sinistra democratica non mancano i nostalgici del Pci.
Avevo parlato della paura di perdere il bambolotto di pezza. Ciò di cui oggi si sente la mancanza è la scuola politica di allora, la sua qualità. Nessuna nostalgia invece per i vecchi riti. Il Pci era un luogo di democrazia, persino il vituperato centralismo democratico era migliore dei metodi attuali di formazione delle decisioni politiche.
La nascita di Sd si vuole finalizzata alla ricostruzione di una sinistra, unendo in un processo i frammenti esistenti. Come pensi di riuscirci?
Lo so che è un’impresa difficilissima, ma vedo il bisogno diffuso, ascolto le domande di tantissime persone: abbiamo il dovere politico di tentare una risposta positiva. Se alla fine della fiera, dopo 15 anni di stallo, l’edificio politico dovesse essere costituito da un Partito democratico al 20-25%, più un arcipelago alla sua sinistra fatto di forze dell’1-2 o magari 6% e tutti insieme 20 punti sotto la destra, avremmo fatto una bella frittata. E penso a Gramsci e alla tragedia della democrazia liberale: è possibile che da una bilancia che da troppo tempo non pende da una parte escano soluzioni autoritarie, bonapartiste. Vogliamo provare a non farla, questa frittata? Penso non a un partito ma a un’aggregazione politica pesante, di massa, per tornare dentro la società. Ci rendiamo conto che ormai anche a sinistra si parla degli operai come fanno gli antropologi con le tribù amazzoniche?
Ma gli operai esistono ancora? Forse volevi dire i precari…
Non c’è soltanto il precariato, il nodo centrale è la svalorizzazione del lavoro, pagato a prezzi orientali e rivenduto a prezzi occidentali. Mai come oggi sono stati tanto numerosi i lavoratori salariati classici, milioni in Italia, miliardi nel mondo. E’ in atto poi un processo – avremmo detto un tempo – di proletarizzazione, con i ricercatori che guadagnano meno di 1000 euro. La scommessa è come rimettere insieme queste figure. Come, se non con un’idea politica forte e semplice? Dobbiamo muoverci in fretta…
Anche perché il degrado della politica e il suo sradicamento dalla società produce anche degrado sociale.
Un operaio di Piombino, già dirigente della Fiom, mi ha scritto una lettera che mi ha tolto il fiato: non vi seguo più, dice, ormai vi occupate solo di carcerati, di finocchi e di negri. Il radicamento sociale, però, non lo ricostruisci con una risposta economico-corporativa ma ridandoci un progetto. Si è straparlato di fine delle ideologie, ma solo la nostra è introvabile, sono fallite le macroideologie. Ma in un mondo che si vuole secolarizzato trionfa la potenza delle idee, per quanto misere e di seconda mano possano essere. Berlusconi non ha vinto soprattutto grazie ai mezzi di comunicazione ma grazie alle idee. Idee medievali, se lui è ricco può far diventare ricchi anche noi, hanno pensato in tanti. E’ attualissima la lezione di Adorno sulle semi-ideologie di seconda mano. Si vince con le idee semplici.
Ti aspettavi la rapidità con cui si stanno liquefacendo i Ds?
Mi colpisce ma, purtroppo, non mi sorprende. Quando c’è un cedimento strutturale viene giù tutto. I centri veri di potere che detengono banche, imprese, gruppi editoriali, dove c’è gente che ancora studia Gramsci e il concetto di egomonia, hanno costruito un arco di trionfo allo scioglimento dei Ds. Come hanno ottenuto il risultato voluto, scomparso il maggior partito della sinistra, è arrivata la stangata, persino il dileggio. Ciò aumenta le nostre responsabilità. Noi abbiamo fatto un movimento, non siamo interessati al ventitreesimo partitino. Stiamo raccogliendo un insperato consenso, moltissimi giovani si avvicinano, moltissime donne. Arrivano anche molti eletti nelle istituzioni, e sanno di fare una scelta a loro rischio e pericolo. Oggi Sd è il terzo gruppo dell’Unione e ovunque ci siamo presentati è andata molto bene. Pur in un contesto politico ed elettorale preoccupantissimo.
I tempi sono stretti, dici, ma smantellare strutture, partiti, persino rendite di posizione non è la cosa più semplice del mondo. Come vanno i rapporti con Prc, Pdci e Verdi?
Per costruire un nuovo soggetto della sinistra ciascuno di noi deve cambiare profondamente, rimettersi in discussione, abbandonando nicchie e trincee combattendo in campo aperto. Se resti sempre in trincea, prima o poi chi combatti viene a prenderti. Attenzione però, la sinistra è in crisi in tutt’Europa, bisogna cercarne le cause.
Da dove ripartite in questa ricerca?
Rispondo con le frasi pronunciate alla nostra assemblea del 5 maggio da Massimo Salvadori: 1) non nasce una sinistra nuova senza una critica del comunismo novecentesco; 2) ciò che però sopravvive del Novecento è l’idea socialista; 3) non si esce dalla crisi senza una critica puntuale al capitalismo contemporaneo. Un capitalismo diventato incompatibile con il pianeta Terra.
Ci sono le idee e ci sono le azioni. A che punto siete nella costruzione di pratiche unitarie a sinistra?
Ci siamo incontrati con tutti. Anche con lo Sdi, con cui condividiamo le battaglie per i diritti civili ma abbiamo differenze sulla politica internazionale e sull’economia. Abbiamo stretto rapporti con Prc, Pdci e Verdi – ma non c’è solo questo a sinistra, ci sono i movimenti, ci sono tanti uomini e donne impegnate nell’associazionismo e nel volontariato verso cui dobbiamo avere uno sguardo largo – e abbiamo incontrato le confederazioni sindacali. Infine, abbiamo riunito i 150 parlamentari che si collocano a sinistra del Partito democratico e andiamo verso una collegialità delle decisioni. Oggi (ieri, ndr) portiamo un punto di vista condiviso all’incontro sul Dpef. Non siamo pentiti dei sacrifici chiesti con la Finanziaria per avviare il risanamento dei conti, cosicché oggi è possibile e doveroso ridefinire un’agenda forte e credibile per garantire un risarcimento sociale: le batterie del governo si possono ricaricare puntando su riforme sociali ed economiche efficaci.
Ma la destra dello schieramento si mette di traverso. Percorrerete questa strada anche a rischio di una crisi di governo?
Il rischio di una crisi, con i numeri che abbiamo al Senato, esiste fin dal primo giorno di governo. Il rischio di morire è connesso alla nascita. Abbiamo un governo che si regge su una coalizione molto ampia e ogni volta va trovato un punto di equilibrio. Sapendo che se salta questo governo non c’è all’orizzonte qualcosa di meglio.
Quale risarcimento, quali riforme sociali?
Bisogna guardare in giù, verso il basso, e in su, verso l’alto. In giù, nella sofferenza di ampi strati della popolazione, lavoratori precari, lavoratori dipendenti, pensionati. In su, alla scuola, alla formazione, alla ricerca, all’innovazione. L’Europa è il fanalino di coda rispetto agli Usa e all’Oriente sugli investimenti verso l’alto, e l’Italia in Europa non è certo messa bene. L’Italia è l’unico paese con gli Stati uniti in cui cresce la disuguaglianza, crescono i poveri e crescono i ricchi. In Italia i redditi si sono ulteriormente spostati dai salari ai profitti. Se si avvia questo cammino, se sapremo guardare verso il basso e verso l’alto, sarà anche meno complicato un ritorno nella società, tra gli operai che votano Lega.
Nel vostro incontro prima del Dpef, come forze di sinistra avete detto che sulle pensioni sosterrete un eventuale accordo sindacale. Non sarebbe meglio garantirvi un’atonomia politica e di giudizio?
Se si arriverà a un accordo tra le parti sociali non cavalcheremo la logica del più uno, non scavalcheremo i sindacati. Ma finalmente, usciamo dall’ossessione pensionistica. Pensiamo alla ricerca scientifica. La sinistra deve lavorare sui contenuti, sulle politiche e sui valori fondativi.
Quali sono i tempi della nascita del nuovo soggetto di sinistra?
Avremo bisogno di qualche prova elettorale, già in autunno e nella prossima primavera quando andrà al voto metà del corpo elettorale.
Sempre che non cada il governo. Quali sono i passaggi più pericolosi?
Il rischio, lo ripeto, è quotidiano. Ma le alternative – governi tecnici, governi istituzionali – sono peggiori del presente. Per questo bisogna difendere il governo Prodi. Per difenderlo, però, bisogna correggerlo.