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Tronti: “Economia della conoscenza e sindacato”

L’algoritmo e la partecipazione. Economia della conoscenza e sindacato – di Leonello Tronti (Università degli Studi Roma Tre), in “Industri@moci”, n. 33 (luglio-agosto 2018).

L’economia della conoscenza sottopone il lavoro a notevoli tensioni, che impongono profonde e crescenti diseguaglianze e nuove segmentazioni. Per quanto l’economia della conoscenza sia un fenomeno che data solo pochi decenni, già si possono intravedere diversi paradigmi di trasformazione del lavoro.
Le differenze si producono, anzitutto, a seconda che il lavoro si collochi dentro o fuori della filiera di produzione della conoscenza, ben sintetizzata dall’educatore Nicholas Henry nella piramide DICS (Dato, Informazione, Conoscenza, Sapienza).
In secondo luogo, in una situazione in cui la gran parte delle attività tende a collocarsi almeno in certa misura all’interno della piramide, il lavoro si caratterizza a seconda del livello della piramide in cui si colloca, che schematizza anche, in termini di rarità e complessità crescenti, la catena del valore che la conoscenza produce.

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Penna: “Gli Immigrati Delinquono di più? Falso”

immigrati no criminaliRenzo Penna – Per fortuna a Roma c’è un Presidente della Repubblica che non ha timore del conformismo. Quella abitudine acritica e deferente che, mentre pare tutti la pensino allo stesso modo, ti induce a stare zitto, a seguire la maggioranza, a far finta di nulla anche se hai una opinione opposta. Ad esempio nei confronti di un ministro dell’Interno che, con il crocefisso e il rosario in mano, si vanta di chiudere i porti a chi scappa dalla fame e dalla guerra. E fa ogni giorno della presenza degli stranieri il problema principale di questo Paese, perché non sa, o non vuole risolvere quelli veri: la mancanza di lavoro, specie tra i giovani e il mezzogiorno, l’aumento della povertà e delle diseguaglianze. O semplicemente perché è più facile e redditizio indicare un nemico e alimentare i sospetti e le paure nei confronti di chi è diverso, non parla la nostra lingua e ha la pelle più scura.

Ha fatto bene il Presidente Mattarella a ricordare ai giornalisti, in occasione della cerimonia del Ventaglio, che l’Italia “non può somigliare al Far West” dove, come è successo a Roma, un tale, ex impiegato del Senato, “compra un fucile e per ‘provarlo’ spara dal balcone verso un campo di nomadi, ferendo una bambina di un anno”, rovinandole la salute e il futuro. E ad affermare che “questa è barbarie, deve suscitare indignazione”. Ha fatto bene perché analoghi episodi di razzismo e xenofobia si stanno ripetendo con preoccupante frequenza in un Paese, ricordiamolo, dove nel 1938, non mille anni fa, il regime fascista promulgò “le leggi per la difesa della razza” e scatenò una violenta campagna contro gli ebrei. Una persecuzione che colpì e smembrò anche la comunità israelitica alessandrina e, anche qui, molti che magari non condividevano preferirono, per timore delle conseguenze, tacere e far finta di nulla. Ed è sempre il capo dello Stato ad aver scritto, in occasione degli ottanta anni del “Manifesto della razza”, che il regime non si fermò agli ebrei, ma allo stesso modo “si accanì contro Rom e Sinti, e anche quelle mostruose discriminazioni sfociarono, come l’Olocausto, nello sterminio, il porrajmos, degli zingari”.[1]

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Ferrari: “La ricostruzione della sinistra”

sinistradi Sergio FERRARIE’ ormai da molti mesi che a sinistra va crescendo la convinzione che sia necessario una fase di forte riflessione critica da parte di tutti i componenti: fallimenti come quelli evidenziati non solo dalle perdite elettorali, ma anche dagli abbandoni degli iscritti, sembrano abbiano convinto in maniera diffusa a percorrere una fase non breve e non convenzionale di ricostruzione di una forza di sinistra.

Per ora questa convinzione sembra molto diffusa, ma non tale da comprendere le necessarie e condivise premesse di questa ricostruzione: ormai le differenziazioni colpiscono anche gruppi che si ritenevano sufficientemente omogenei: anche l’abbinata Renzi-Gentiloni sembra non essere più tale. Tutto questo evidenzia la dimensione di una crisi che mette in discussione le ragioni d’essere di una unità politica, quella del PD, incominciando dalle origini.

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Lombardi: “Orgoglio socialista e alternativa”

Lombardi28 Giu 2018 by fondazione nenni

In una fase in cui l’unica alternativa che sembra prevalere in Italia e in Europa è costituita dallo scivolamento a destra sotto forme diverse e con diverso tasso di pericolosità, ci sembra utile riproporre questo scritto di Riccardo Lombardi (pubblicato il16 ottobre 1975, ”Il Mondo”) sostenitore ai tempi solitario, dell’alternativa di sinistra (i comunisti lavoravano per il compromesso storico trovando sponde solide nelle aperture di Aldo Moro). In questo testo, il dirigente socialista non ha problemi a puntare il dito contro il centralismo democratico che diventa centralismo burocratico, ma soprattutto con orgoglio rivendicava l’egemonia politico culturale di una idea socialista con solide fondamenta democratiche.

-di RICCARDO LOMBARDI*-

La svolta a sinistra, con la connessa corresposabilizzazione comunista e senza l’esclusione pregiudiziale, anche se obiettivamente non ipotizzabile della Dc, riguarda la congiuntura, l’immediato, i tempi brevissimi; obiettivi limitati e temporanei, anche se oggi importanti e urgentissimi ivi compresi dell’ordine democratico. La svolta a sinistra non contraddice, anzi può essere un punto di passaggio obbligatorio sia per l’una sia per l’altra delle strategie di fondo, quella comunista del compromesso storico e quella socialista dell’alternativa. L’alternativa di sinistra, difatti, non è una strategia di soli schieramenti né un semplice espediente di alternanza al potere (anche se il diritto all’alternanza deve essere rigorosamente garantito), l’alternativa di sinistra significa l’accesso a un governo da cui parta il processo di transizione graduale verso una organizzazione socialista della società e dello stato. Naturalmente, le due strategie riposano su analisi differenti della crisi del capitalismo; analisi che sarà, io spero, al centro del dibattito congressuale del Psi. È dal convincimento dell’impossibilità di uscire “durevolmente” dalla crisi del sistema (ciò che non significa che il capitalismo sia pronto a morire) che deriva la posizione socialista di una transizione al socialismo e non soltanto di una alternativa “democratica con elementi di socialismo” dell’ipotesi comunista. C’è campo per un franco e utile confronto che non implica affatto l’accantonamento o l’indebolimento del processo di sempre maggiore unità dei due partiti della sinistra, unità che non viene indebolita anzi che trae alimento dalla originalità dell’apporto differenziato delle due componenti.

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Ferrari: “Intervista a Vigevani”

Sergio FerrariIntervento di Sergio FERRARI svolto in occasione del Convegno: “Fausto Vigevani: l’innovazione nel Sindacato e nella politica”, Roma, Cgil Nazionale, 11 giugno 2018

Quando, con i compagni dell’Associazione LABOUR, abbiamo deciso di ricordare Fausto Vigevani a quindici anni dalla sua uscita di scena, non ho avuto perplessità nel confermare un mio intervento, un mio ricordo di una persona, di un compagno come Fausto. Devo precisare che nel momento concreto di immaginare questo mio impegno, mi sono reso conto che non era affatto vero che avrei voluto parlare di Fausto. Avevo piuttosto un forte desiderio di parlare con Fausto, di domandargli tante cose della realtà, della nostra attuale situazione politica…avevo la netta sensazione che se avessi incontrato Fausto sarei rimasto ad ascoltarlo, a chiacchierare con lui per un tempo indefinito… E mi rendevo conto che se questo era vero ieri, lo è, maggiormente, oggi, pur troppo.

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Sateriale: “Fausto Vigevani, un sindacalista anomalo, di grande spessore umano”

FVigevani CGIL Nazionale 11 giugno 2018 (2)Intervento di Gaetano Sateriale al Convegno: “Fausto Vigevani: l’innovazione nel sindacato e nella politica” – 11 giugno 2018, Sala F. Santi, CGIL Nazionale, Roma. 

Ho conosciuto Fausto Vigevani quando era segretario generale dei chimici Filcea Cgil e io stavo nella Filcea di Ferrara, i primi anni 80. Quando iniziava il periodo delle grandi ristrutturazioni della chimica italiana, con perdite di migliaia di posti di lavoro e di impianti (2.000 esuberi solo a Ferrara). Fu una grande scuola, almeno per me, che ha sempre caratterizzato il mio modo di intendere il mestiere del sindacalista: l’idea che la tutela del lavoro può anche non essere in grado di cambiare la realtà e le tendenze in atto, ma la devi fare lo stesso… oppure, se si preferisce, al contrario: se vuoi incidere sulla realtà non puoi arroccarti nella sola difesa dei tuoi diritti e chiamarti fuori dal resto. Un po’ come il mare (un esempio che a Fausto non sarebbe piaciuto visto che in tanti anni di amicizia non ha mai voluto metter piede sulla mia barca…). A navigare – specie su una barca a vela, ma anche su grandi navi – si impara che fino a certe “forze” del vento (3, 4, 5…) si può piegare a proprio uso la spinta dell’aria e delle onde, e fare quello che si vuole, anche andargli contro. Oltre forza 5 no, devi cambiare rotta per arrivare dove vuoi, non puoi sbattere sulle onde o la corrente… (anche perché, se gli vai direttamente contro, le due forze si sommano, quella tua e quella del mare, e l’impatto per la tua barca e l’equipaggio è ancora più devastante).

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Carniti: “Se il sindacato vuole avere un futuro”

Pierre-CarnitiPierre Carniti da “Eguaglianza & Libertà” –  In molti paesi, tra cui il nostro, le adesioni sono in calo. Ma il declino non è ineluttabile, se si torna a riflettere sul perché si è ridotta la capacità di incidere. Bisogna anzitutto ritrovare un’identità: se ci si limita a quella rivendicativa ci si espone a una inevitabile frantumazione corporativa. Ma se invece si vuole contare nelle scelte politiche generali non si può prescindere da una forte ripresa del percorso unitario

Ha un futuro il sindacalismo confederale? Intorno a questo domanda è apparsa negli ultimi anni una consistente letteratura, sia nazionale che internazionale. Dipinti spesso in passato come forti e minacciosi, i sindacati dei paesi avanzati vengono attualmente considerati in declino. Secondo numerosi analisti, il declino sarebbe causato dalla aggressività delle politiche neo-liberiste, dalla integrazione globale dei mercati, dalla frantumazione del mercato del lavoro. Nulla autorizza però a ritenere che il destino del sindacato sia segnato in modo chiaro ed ineluttabile. Certo, in alcuni paesi (specialmente negli Stati Uniti, Gran Bretagna, Germania, Francia, Italia) si è già verificata una significativa diminuzione delle adesioni. In Italia la Cgil ha ammesso un calo degli iscritti: secondo un rapporto interno, ad abbandonare la confederazione sarebbero soprattutto i giovani ed i precari. Per la Cisl e la Uil non sono stati resi disponili dati. Ma si può presumere che anche per loro si stiano verificando le tendenze in atto nella Cgil. Questo indicatore negativo è un segnale di perdita di influenza del sindacato e di un decadimento al quale si dovrebbe cercare di porre rimedio con l’attivazione di strategie appropriate ed efficaci. Purtroppo per ora non ci sono segni di una evoluzione in questo senso. La prima misura che dovrebbe essere presa in considerazione (ed anche la più ovvia) consiste in un sindacalismo più inclusivo. Capace cioè di rivolgersi concretamente a tutti i segmenti del lavoro che cambia e di rappresentare quindi anche i lavoratori temporanei ed atipici. Vale a dire quella quota del mondo del lavoro (sempre molto consistente) che non rientra nelle tradizionali modalità d’impiego ed a cui il sindacato ha storicamente dato voce.
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Penna: “Caos politico e difesa delle Istituzioni”

Mattarelladi Renzo Penna

Dalla complessa e difficile formazione del governo e dopo giorni di caos politico l’istituzione del Presidente della Repubblica, le sue prerogative costituzionali e chi la presiede, ne escono, tutto sommato, bene. Persino con più autorevolezza e forza. Questo, a mio avviso, per come si erano messe le cose, rappresenta l’elemento più’ importante in quanto attiene alla tenuta democratica di una fondamentale Istituzione repubblicana. Inoltre, con il varo del nuovo esecutivo, non si torna a votare – almeno non a luglio o a settembre –  il governo non è “tecnico”, ma “politico”, anche se zeppo di tecnici, presieduto da un professore non eletto e, comunque, nessuno si potrà lamentare perché non si è tenuto conto del voto dei cittadini del 4 marzo. L’alleanza giallo verde, detta “del cambiamento”, adesso si vedrà all’opera, si dovrà confrontare con i problemi reali e potremo valutare in che direzione si muove il “cambiamento” e, naturalmente, sottoporlo a critica.

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Penna: Qualche ragione per l’insuccesso di “Liberi e Uguali”

grasso-leu_-prendiamo-atto-del-cattivo-risultato_videostill_1Renzo Penna – 14 aprile 2018

Alle recenti elezioni politiche del 4 marzo il risultato di “Liberi e Uguali” non può che essere definito deludente. Appena 6 mila voti in più di quanto raccolto dalla sola SEL (Sinistra Ecologia e Libertà) nel 2013, quando Vendola e Bersani si accordarono per “Italia Bene Comune”. Da allora,  però, molte cose sono cambiate e va riconosciuto che la nascita di “Sinistra Italiana” non è stata pari alle attese. Invece di ampliare le adesioni e i consensi ha subito distacchi nei gruppi parlamentari e manifestato incertezze programmatiche e ambiguità nella leadership. Anche per questo le attese per i risultati di “LeU” erano più contenute tra i militanti di “SI” rispetto a quelle presenti in “Mdp-Articolo 1”, dove ci si era spinti a ipotizzare le due cifre. La buona riuscita dell’assemblea del 2 dicembre a Roma e l’investitura di Pietro Grasso a leader della formazione avevano alimentato un certo ottimismo. Che l’andamento della campagna elettorale – con l’oscuramento dei media, l’accusa agli “scissionisti” e la riproposizione del voto utile da parte del PD, unite alle polemiche sulla definizione delle candidature e le poco brillanti prestazioni televisive di Grasso – si era già incaricata di ridimensionare.

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Lettieri : “L’Euro di Ionesco”

crisi eurozonaAntonio Lettieri (da Eguaglianza e Libertà) La crisi dell’eurozona è il segreto meglio nascosto della campagna elettorale. Macron tenta di riconquistare un ruolo di parità nei confronti della Germania e contratta con Merkel la riforma dell’Ue, che però non toccherà il punto fondamentale, cioè le regole tecnocratiche che anche autorevoli economisti internazionali giudicano severamente

1.   Nel 2018 ricorre il decimo anniversario dall’inizio della crisi con il collasso della Lehman Brothers, la grande banca d’investimenti americana. Da allora l’economia mondiate è completamente mutata. L’eurozona è l’unica area del pianeta che, considerata nel suo insieme, stenta a uscire dalla crisi, facendo segnare i minori tassi di crescita e i più alti tassi di disoccupazione. L’Italia ne è stata, nel 2017, un tipico esempio con uno dei più bassi tassi di crescita e uno dei più alti tassi di disoccupazione dell’eurozona. Il paradosso è che l’euro doveva rappresentare all’inizio del secolo, quando fu istituito, un paracadute rispetto alle possibili crisi sulla scena internazionale. Le cose sono andate in senso contrario. Gli Stati Uniti hanno ritrovato un ritmo di crescita sufficiente, e ridotto la disoccupazione al 4 per cento, il livello più basso da due decenni. Il Giappone soffre di una mancanza di mano d’opera che rischia di bloccarne la crescita. Al contrario, nell’eurozona la disoccupazione oscilla intorno al dieci per cento, in Italia all’11, in Spagna al 16, per non citare la Grecia ridotta in brandelli.

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