CRISI ECONOMICA: LA QUESTIONE AMBIENTALE PRESENTA IL CONTO

“Dalla Crescita Insostenibile alla Cultura della Sobrietà”

di Renzo Penna

La generale e difficile crisi economica – la cui natura prevalente è finanziaria e speculativa – induce a riflettere sulle possibili soluzioni che non potranno venire dalla sola riproposizione di un modello basato sul rilancio e il sostegno ai consumi.

In discussione una crescita senza limiti

A questo proposito l’arcivescovo di Milano Dionigi Tettamanzi invita a non dimenticare la sobrietà che costituisce la via maestra alla solidarietà e a ragionare sulla dimensione della crescita economica. Se la stessa sia sempre giustificata, anche quando risulta in palese contrasto con la condizione ecologica del pianeta ed incapace di garantire a tutti i popoli una esistenza dignitosa, non segnata da fame e malattie. Una sollecitazione alla politica e all’economia a cambiare indirizzo, a ripensare un modello di sviluppo meno condizionato e succube del mercato, più attento e rispettoso delle risorse ambientali, orientato non alla sola accumulazione quantitativa, ma alla soddisfazione qualitativa dei bisogni della gente, per superare una crisi che non è solo materiale ma culturale, morale e di incertezza sul futuro. Un richiamo da cogliere per mettere in discussione un modello basato sulla teoria di una crescita senza limiti, che ripone incondizionata fiducia nelle risorse della tecnica e nel funzionamento dei mercati. Una cultura basata sulla promozione del consumo per il consumo, come elemento indispensabile per sostenere la  produzione, l’occupazione ed i redditi. Consumo di beni spesso indotti e inutili, da eliminare rapidamente e trasformare in rifiuti, mentre miliardi di persone, a noi sempre più vicine, mancano del minimo necessario a vivere, e i paesi più poveri rischiano di pagare per primi e in misura maggiore la crisi dei paesi ricchi. I cultori della crescita continuano infatti a negare in radice il principio di precauzione nei confronti dello sfruttamento delle risorse naturali e, se mai, pensano di utilizzare proprio la crisi per rinviare gli impegni a ridurre l’inquinamento e le emissioni dei gas serra che stanno riscaldando la terra e mutandone il clima. Impegni considerati nel nostro paese un disturbo all’uso, che non deve essere frenato, dei combustibili fossili, per non ostacolare la crescita sottovalutando, in questo modo, l’importanza strategica per l’Italia dello sviluppo delle fonti rinnovabili. 

La questione ambientale presenta il conto

Sono però oggi le dimensioni della crisi che pretendono nuove risposte e rendono improponibile un modello di sviluppo drogato e insostenibile che in pochi decenni ha saccheggiato l’ambiente, consumato risorse fondamentali come l’acqua, non risolto il problema della fame, aumentato le disuguaglianze e indebitato le future generazioni. La questione ambientale, ignorata e nascosta per l’interesse mercantile legato allo sfruttamento delle risorse naturali, oggi presenta il conto.

Insieme ad altre autorevoli voci l’arcivescovo ci propone così di correggere la rotta, di pensare ad un nuovo progresso più assennato e giusto, più attento alle esigenze del pianeta e alla distribuzione delle risorse. Con un minor consumo di cose e beni superflui, che non migliorano la qualità della vita e non danno la felicità ai singoli, e una maggiore attenzione e più risorse allo sviluppo dei beni sociali fondamentali della ricerca scientifica, di cultura, sanità, sicurezza sociale, educazione e ai troppo spesso inadeguati servizi alle persone. Di fronte agli  evidenti limiti di sostenibilità – ecologica, sociale e finanziaria – di una crescita solo quantitativa, si tratta di promuovere il valore di uno sviluppo equilibrato, basato sulla qualità e indirizzato al benessere collettivo. 

La cultura della sobrietà

E’ la risposta di una cultura fondata sulla sobrietà, sulla rivalutazione dei beni sociali, dove si constata che non è la rincorsa senza fine all’acquisto che appaga e fa stare bene, ma che questo si trova nella ricerca di una sintonia con un ambiente naturale meno inquinato e in relazioni e scambi con gli altri che accrescono le conoscenze e i saperi.

Non si tratta di tornare indietro e non è nostalgia del passato, ma il saper utilizzare le nuove conoscenze per usare con cognizione e ragionevolezza le risorse non infinite del pianeta che ci ospita. Inascoltati negli anni del secondo dopoguerra non erano mancati studi approfonditi e denunce autorevoli.  Straordinario per idealità e preveggenza il discorso di Robert kennedy del 1967 a Detroit che evidenzia le storture del Pil come supposto indice di misurazione del benessere; di qualche anno più tardi il rapporto promosso da un gruppo di personalità del Club di Roma, presieduto da Aurelio Peccei, e basato sui limiti e l’esaurimento delle risorse naturali. Quel rapporto fu seguito nel 1987 dalla ricerca Bruntland che coniò per prima il termine “insostenibilità” e, nel 1989, dal primo studio dell’Ipcc per conto dell’Onu sul fenomeno del riscaldamento del pianeta.

A livello internazionale il tema ambientale era stato affrontato nel 1972 a Stoccolma dalla prima Conferenza mondiale sull’ambiente e lo sviluppo, seguita venti anni dopo da quella di Rio de Janeiro. Nel nostro paese importante è stato il lavoro di divulgazione scientifica sui limiti allo sviluppo di Giorgio Ruffolo, economista e ministro dell’Ambiente. Ma sulla ragionevolezza hanno sin qui prevalso i sostenitori della crescita incondizionata, della superiorità del mercato e della indispensabilità dei consumi, considerati i principali fattori della ricchezza.

L’ambiente parte fondamentale di un nuovo progetto

L’attuale crisi globale può rappresentare l’occasione per far pesare l’ecologia e l’ambiente nella strategia di un nuovo modello di sviluppo sostenibile, facendone integralmente parte. Avendo la possibilità di intervenire “a monte”, all’origine dei processi e non, come è sempre avvenuto, “in coda” e alla fine. Con l’inevitabile conseguenza, nel secondo caso, di apparire come chi blocca, pone ostacoli, si oppone al lavoro ed è portatore di una politica del “no”. Occorre cambiare.  L’ambiente deve essere parte fondamentale di un nuovo progetto di riconversione della produzione e del tipo di società e, soprattutto in questo campo, deve tornare il primato e l’autonomia della politica non isolando, ma sostenendo chi, contro gli interessi costituiti e i poteri economici, fa valere l’interesse generale rappresentato dalla tutela del territorio.

I veri sostenitori delle politiche del “no”

Diventerà a quel punto evidente che sono altri i veri sostenitori delle politiche del “no”: i poteri privati e le grandi corporazioni, le associazioni e i governi che li assecondano. No alle clausole sociali e ambientali, no alla pianificazione urbanistica, no alle valutazioni di impatto ambientale, no alla penalizzazione delle emissioni inquinanti, no alla limitazione de traffico privato nelle città, no alle zone pedonali dei centri storici…

La crisi mondiale segnala, in maniera drammatica e con pesanti conseguenze sociali, l’insostenibilità e la fine di un modello. La sfida del cambiamento non è purtroppo nelle corde degli attuali governanti del nostro Paese. La speranza questa volta viene dalla nazione più ricca e con le maggiori responsabilità nello sfruttamento delle risorse della terra. Una novità, quella della politica del nuovo presidente degli Stati Uniti che, se confermata, potrà trovare nella vecchia Europa un alleato interessato a riprendere e aggiornare contenuti e valori del proprio modello sociale e a creare le condizioni per una nuova sostenibilità dello sviluppo. Auguriamoci che questo accada.

Alessandria, 30 gennaio 2009

 

Bibliografia:

– “La sobrietà dimenticata” discorso tenuto a Varese il 15 gennaio ’09 dall’arcivescovo di Milano Dionigi Tettamanzi;

– “Il capitalismo ha i secoli contati” di Giorgio Ruffolo;

– “Azzerare i rifiuti. Vecchie e nuove soluzioni per una produzione e un consumo sostenibili” di Guido Viale;

– “Il sogno spezzato” le idee di Robert Kennedy.

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