Fassina: “Fermare l’offensiva tedesca della Commissione Europea”

Germania e UE Stefano FASSINA – 10 dicembre 2017. “La posizione del governo Gentiloni sul pacchetto di proposte di “riforma” dell’Unione europea e dell’eurozona, presentata nei giorni scorsi alla Commissione Juncker, è estremamente preoccupante per l’interesse nazionale dell’Italia declinato dalla parte del lavoro. Il nostro Ministero dell’Economia e delle Finanze (Mef) considera “un passo avanti”: la possibilità di finanziamenti in cambio di riforme strutturali (i vecchi “contractual arrangements“); la trasformazione del Meccanismo Europeo di Stabilità in un Fondo Monetario Europeo; il Ministro del Tesoro dell’Unione europea, Vice Presidente della Commissione e Presidente di Ecofin e Eurogruppo. In realtà, il pacchetto è un passo avanti soltanto per gli interessi più forti legati all’export e alla grande finanza, nutriti dalla svalutazione del lavoro. Viene, infatti, consolidato l’impianto mercantilista dei Trattati e, per tentare di nasconderlo, incartato in un virtuale foglio intergovernativo. In sintesi, si rafforza l’ordine tedesco della UE e della zona euro. La domanda interna, quindi tre quarti della nostra economia reale fatta da micro e piccole imprese, commercio, artigianato, servizi professionali e connesso lavoro subordinato e autonomo, continua a essere sacrificata. Certo, ricordano gli esperti di cose europee, il “non-paper” presentato da Wolfgang Schauble all’ultimo Euro-gruppo conteneva proposte devastanti. Certo, non è scontato che il Fiscal Compact finisca nei Trattati: nell’interpretazione Italiana dell’ambigua formulazione della Commissione (“integrate the substance of the Treaty on Stability, Coordination and Governance into the Union legal framework, ….”) potrebbe finire in una direttiva europea accompagnato da una qualche dose di “flessibilità” sugli obiettivi di bilancio pubblico. Ma rimarrebbe comunque in vigore. Come rimarrebbe nella nostra Costituzione la formulazione liberista dell’Art 81 scritta nel 2012.

Certo, poteva andare peggio. Ma l’Italia può soltanto ambire a minimizzare i danni? Per chi si candida a promuovere una comunità di “Liberi e Eguali” e una “Repubblica democratica fondata sul lavoro”, il pacchetto della Commissione è pericoloso nel quadro, di fatto immutabile, dei Trattati e delle normative comunitarie vigenti. Va fermato e messo in coda o, quantomeno, insieme ad alcune misure essenziali alla sostenibilità sociale e democratica dell’eurozona. Senza modificare i Trattati e senza ricorrere a mutualizzazione dei debiti pubblici, strade impercorribili, quali azioni?

  1. Va cancellato il Fiscal Compact dalla legislazione comunitaria. Perché? Perché dannoso, a causa della sua natura pro-ciclica, per la sostenibilità dei debiti pubblici e intimamente contraddittorio con gli obiettivi costituzionali di dignità del lavoro e welfare.
  2. Va introdotta, nel mandato del previsto Fondo Monetario Europeo, affianco alla vigilanza sul vincolo del 3% nel rapporto tra deficit di bilancio pubblico e Pil, la vigilanza su una variabile di pari rilevanza economica e politica: il saldo commerciale (esportazioni meno importazioni). Gli aggiustamenti devono essere a carico del Paese “deviante” anche quando il saldo è positivo e supera il 3% del Pil. Vuol dire che la Germania deve innalzare le retribuzioni dei suoi lavoratori e lavoratrici, invece di imporre il taglio alle retribuzioni degli altri. Perché? Perché, come aveva già motivato (inutilmente) Keynes nel 1943 a Bretton Woods durante le trattative per il varo di FMI e Banca Mondiale, diffusi avanzi eccessivi di bilancia commerciale determinano un deficit cronico di domanda aggregata e disoccupazione elevata. Le ragioni keynesiane sono ancora più rilevanti quando l’agenda mercantilista è seguita ostinatamente dal Paese leader di un’area monetaria segnata da profonde differenze economiche e sociali. In altri termini, i surplus commerciali tedeschi dell’8-9% del Pil sono colpi devastanti sulle prospettive dell’eurozona e sulle condizioni del lavoro e del welfare, di gran lunga più gravi degli sconfinamenti del deficit dei bilanci pubblici.
  3. Va attribuita al Fondo Monetario Europeo la funzione di allineamento e stabilizzazione degli spread sui titoli di Stato attraverso un meccanismo di assicurazione di mercato contro i default e contestuale utilizzo delle risorse raccolte per finanziare selezionati investimenti pubblici (in sintesi, il progetto tratteggiato da Marcello Minenna, da ultimo sul Corriere Economia di fine Novembre). Perché? Perché altrimenti le divergenze si aggravano e il terreno della competizione tra imprese diventa ancora più impervio per i Paesi periferici.
  4. Va ampliato il mandato della Bce, in analogia a quanto scritto nello statuto della Federal Reserve degli Stati Uniti, al fine di includere l’obiettivo di un tasso di occupazione qualificato, a pari rilevanza con l’obiettivo di inflazione. Perché? Perché il diritto al lavoro è un diritto fondamentale. Non può essere sotto-ordinato all’inflation target. Come scritto nella nostra Costituzione, “È compito della Repubblica rimuove gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.”
  5. Vanno cancellate o radicalmente riscritte alcune Direttive come, ad esempio, la Direttiva Bolkestein e quella sui cosiddetti “lavoratori dislocati” al fine di arginare il dumping sociale determinato dal principio della concorrenza e del “Paese di origine”. Perché? Perché, un mercato unico senza standard sociali, irresponsabilmente allargato a Est nel 2004, determina fisiologicamente svalutazione del lavoro e alimenta le disuguaglianze e depressione della domanda interna.

Sono evidenti le difficoltà politiche delle cinque “modeste proposte” sintetizzate sopra: la Germania non acconsentirà a correggere il suo “naturale” ordoliberismo scolpito nei Trattati europei, a partire dal celebrato “Trattato di Roma”, e nelle istituzioni dell’eurozona. Tanto più nel quadro politico paralizzato dalle elezioni del 24 Settembre scorso. Allora, piuttosto che riconoscere “passi avanti” e aggravare le prospettive per il lavoro e la giustizia sociale in omaggio alla retorica autolesionistica del “più Europa”, è necessario fermare il pacchetto di “riforme” della Commissione Juncker e impegnarsi a costruire, con paziente e adeguata tessitura di alleanze europee, rapporti di forza meno sfavorevoli.”

10 dicembre 2017

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