Fiera di Roma – L’intervento di Paolo Leon –

Ormai si deve approvare la Legge finanziaria e sostenere il governo Prodi con ogni mezzo…

Ormai si deve approvare la Legge finanziaria e sostenere il governo Prodi con ogni mezzo. Tuttavia, dopo il 31 dicembre si rischia di ripetere il pasticcio cominciato con il DPEF, ed è bene evitarlo, se si vuole governare per l’intera legislatura. Il punto è che il pasticcio, a mio modo di vedere, è già un frutto avvelenato del partito democratico.Vorrei svolgere tre osservazioni.

La prima riguarda proprio la Legge Finanziaria , la cui incredibile vicenda è anche dovuta al fatto che le forze di sinistra presenti nella coalizione di maggioranza non hanno stabilito alcun raccordo tra loro, in dip endentemente dai partiti di appartenenza. E’ evidente che, in una fase di movimento come quella causata dalla vittoria elettorale e dalla proposta del partito democratico, sarebbe stato interesse principale di chi rappresenta la sinistra, pur nella varietà delle posizioni, costruire un consenso che, mentre avrebbe dovuto preservare il governo da assalti alla diligenza, avrebbe dato tuttavia un carattere progressista all’azione economica e finanziaria. Ciò che è avvenuto, invece, è stata la proposizione delle tre parole che hanno costituito il motto del governo – risanamento, sviluppo, equità – e che nascondono un a propensione moderata poco gradevole. Il risanamento è eccessivo, alla luce dell’esperienza di altri grandi paesi che, come il nostro sotto Tremonti, avevano superato il parametro del deficit pubblico; risanare in un solo anno mette in difficoltà lo sviluppo , che per essere finanziato obbliga a ridurre il reddito disponibile degli italiani, mentre non si forniscono assicurazioni sulla crescita, almeno per la parte che si esprime in detassazioni per le imprese ed incentivi agli investimenti privati. Infatti, ciò che le imprese guadagnano non ha molta probabilità di essere investito, e verrà invece utilizzato per speculazioni finanziarie. Le difficoltà per lo sviluppo si aggravano, poi, visto che il finanziamento della spesa per scuola, università e ricerca è stato tagliato senza che vi fosse una qualche razionale scelta su cosa tagliare (e cosa, invece, stimolare). Ora sembra che qualcosa verrà ripristinato, ma certo non sono questi i settori che dovranno trainare lo sviluppo. E’ anche fastidioso, in questo contesto, usare la parola “equità”. Prima di tutto, perché viene dopo il risanamento e lo sviluppo, quasi che la coalizione di governo credesse che esiste una contraddizione tra equità e sviluppo; e ciò fa pensare, logicamente, come l’equità sia vista soltanto come una forma di beneficenza. Ora, questa concezione dell’equità è tipica del partito democratico, che vuole ridurre il ruolo pubblico nel welfare. Invece, la sinistra non dovrebbe accettare il termine “equità”, perché implica una concessione da parte dello Stato, non un diritto, come avverrebbe se si fosse invece parlato di giustizia sociale. Quest’ultimo è un buon test: la giustizia sociale, per la sinistra e per il movimento socialista internazionale, è costituita da diritti, non da mance; e lo Stato è quello che garantisce i diritti, non quello populista del “conservatorismo compassionevole”. E’ invece chiaro, soprattutto nell’impostazione di Padoa Schioppa, che l’equità – che peraltro costa poco nella Legge Finanziaria – è la carta argentata che copre una pillola amara. Questo non vuol dire che molte misure della Legge finanziaria siano sbagliate, dal TFR, all’emersione o alle aliquote IRPEF: solo, sono poco pensate, mal formulate, e hanno permesso ogni sorta di ripensamento.

La seconda osservazione riguarda la posizione italiana nei confronti della Commissione Europea. E’ chiaro che se si vuole credere all’ideologia liberista, allora si deve sostenere anche una Commissione dichiaratamente conservatrice, e ci si deve accodare alle raccomandazioni del Fondo Monetario, dell’OCSE, e di tutte le “mosche cocchiere” dell’economia di mercato. Nel nostro manifesto è ben scritto che lasciar fare il mercato è causa non soltanto d’incertezza, ma di ingiustizia: sul mercato vince chi è più forte, in dip endentemente dall’idea della concorrenza, che è la coperta di Linus dei benpensanti, e una forza socialista deve continuamente illustrare come il fanatismo, il nazionalismo, il fondamentalismo, la deriva individualista ed egoista, nascano come una difesa di gruppi contro la violenza del mercato (socialismo o barbarie, si diceva una volta). Da qui deriva la necessità che il movimento socialista europeo si renda conto che il compromesso con i liberisti non funziona, e che è necessario difendere la democrazia rispetto all’universalità del mercato. Se il potere deve essere in mano al popolo, allora lo Stato è l’oggetto della democrazia, ma se tutta la realtà sociale finisce per essere affidata al mercato, allora non c’è democrazia, né il voto: c’è solo lo scambio, le merci, i prezzi, l’utilità individuale. Chi propone il partito democratico, deve capire che se parte del suo programma è la massima possibile liberalizzazione, sta anche predicando laminima possibile estensione della democrazia.

La terza osservazione riguarda il pluralismo sociale. Il futuro partito democratico – come la “terza via” – non è amico del sindacato, che considera un concorrente sul piano del consenso politico: anche se è obbligato a una qualche forma di concertazione, i suoi studiosi pensano che questo non sia altro che una corporazione, che eserciti un monopolio sulla forza lavoro, e che sia la causa della disoccupazione. Molti tra questi studiosi favoriscono la flessibilità del mercato del lavoro, e la riduzione delle sue regole e dei diritti dei lavoratori, perché pensano (come la Commissione Europea , il FMI, l’OCSE, del resto) che la disoccupazione involontaria non esiste, perché esiste sempre un lavoro disponibile, se si riduce il salario in modo opportuno: e fanno della precarietà generata in Italia la dimostrazione di quest’idea.

Dimenticano che, nel processo, si creano salari bassissimi, una pessima distribuzione del reddito, rabbia in chi ha perso il proprio status sociale, divisione tra lavoratori e che, in definitiva, si regala alla destra populista la massa di manovra reazionaria di cui ha bisogno. Senza contare che negli anni di crescita dell’occupazione precaria, il reddito nazionale ha stagnato, perché si è provocata una grande crisi di domanda di beni e servizi da parte delle famiglie. Il movimento socialista europeo non è soltanto amico del sindacato – lo considera una difesa della democrazia, e l’agente principale per l’espansione dei diritti delle persone.

Sono pochi esempi, ma forse aiutano a distinguere il modo di pensare dei socialisti da quello dei sostenitori del partito democratico.

 

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