Giudice: “IL RIFORMISMO RIVOLUZIONARIO DI LOMBARDI”

di Giuseppe Giudice, 19 settembre 2020

Nell’anniversario della scomparsa di Riccardo Lombardi (18 settembre 1984).

“Diverse volte ho scritto sull’argomento. Oggi lo riprendo. Gaetano Arfè scriveva che Turati, Treves e soprattutto Matteotti, rifiutarono sempre l’attribuzione della pubblicistica rivolta a loro di essere riformisti. Pochi sanno che questi tre esponenti importanti del socialismo italiano, furono critici con il “revisionismo” di Bernstein . Non so neanche se Bernstein si definisse o meno riformista, ma questo è un altro discorso. In realtà la pubblicistica confondeva il riformismo con il gradualismo. Vale a dire l’ipotesi del superamento graduale del capitalismo verso il socialismo.

Il limite di Turati (che resta comunque una grande figura) , ma non di Matteotti, è la sua idea derivante dalla sua cultura positivista di una sviluppo lineare , che comunque include la lotta di classe politica e sindacale, verso l’obbiettivo socialista. Matteotti , aveva una formazione antipositivista (c’è una mescolanza forse di Marx e Bergson nel suo pensiero) rifiutava l’idea della linearità del processo, che è fatto di rotture e forti reazioni del capitalismo e degli agrari contro l’avanzamento del movimento operaio. Così legge la reazione fascista che punta a liquidare la democrazia ed il movimento operaio contemporaneamente. Di qui il suo assassinio da parte di sicari fascisti (c’è anche l’ipotesi di una sinergia tra Mussolini ed il Re nell’atto). A cui si aggiunge il dato della grandi battaglie condotte nel suo Polesine contro gli agrari.

E del resto Matteotti fu un critico severo del parlamentarismo , non certo perchè fosse contro la democrazia parlamentare, anzi, ma per le sue degenerazioni (in cui rimasero invischiati diversi suoi compagni). E perché , pur essendo essenziale la forma rappresentativa, la democrazia non si limitava ad essa e la battaglia socialista aveva bisogno di un forte movimento dal basso.

Ma ora facciamo un grosso salto storico. Riccardo Lombardi fece propria la tesi del “riformismo rivoluzionario (un ossimoro apparente) del socialista francese Gilles Martinet (in un opuscolo del ‘68). Un termine che lui attribuiva sia a socialisti italiani (Lombardi, Basso, Foa) che comunisti (Ingrao, Trentin). Lombardi fu l’unico a farlo proprio. Per Lombardi non si trattava affatto di giustapporre riformismo e rivoluzione, ma di operare una decostruzione di entrambi i termini. Nell’ambito del capitalismo maturo. Rifiuto netto della concezione leninista del partito e della transizione al socialismo. Allo stesso modo fortemente critico verso la socialdemocrazia di Bad Godesberg. A differenza di Basso, comunque, egli intravedeva le forti articolazioni interne alle socialdemocrazie (che comunque rappresentavano la grande maggioranza dei lavoratori e delle classi popolari in Europa) che includevano posizioni di sinistra socialista democratiche, vedi la sinistra laburista in GB e gli Jusos in Germania. E l’importanza di avere un dialogo positivo con queste forze. Il riformismo rivoluzionario di Lombardi si fondava , come è noto, sul concetto di “riforme di struttura”. Che immaginava un processo riformatore che spostasse incessantemente gli equilibri di potere nell’economia e nella società. Importante la differenza che lui fa, nel 1959, tra proprietà pubblica e proprietà statale. Le partecipazioni statali avrebbero dovuto essere uno strumento di un processo di pianificazione democratica che incidesse strutturalmente sugli equilibri esistenti, modificandoli profondamente verso una “società diversamente ricca”.

Dopo il 1967 Lombardi integra nel suo schema, elementi della tematica dei “contropoteri” di Foa e Basso. Pur essendo un difensore della democrazia costituzionale rappresentativa, egli ritiene che il socialismo (che per lui non è mai un ideale pienamente compiuto, ma un processo asintotico) aveva bisogno di forme di democrazia dal basso, tendenzialmente autogestite. Ma allo stesso tempo (e forse c’è qui una distinzione da Basso) la sottolineatura della grande importanza del sindacato confederale, come concepito da Di Vittorio, Santi e Foa.

Certo pensava ad un sindacato diverso da quello odierno. E poi il rifiuto del socialismo secondo il teorema leninista “del capitalismo monopolistico di stato” come anticamera del socialismo e delle illusioni Tayloristiche. Il tema della non neutralità del progresso tecnologico e il rifiuto di una visione economicistica e produttivistica del socialismo. Tema di grande attualità. Certo oggi il termine “riformismo” ha subito un “rovesciamento semantico” (Giorgio Ruffolo). Bad Godesberg potrebbe essere un progetto rivoluzionario rispetto al capitalismo realmente esistente. Con “riformismo” ormai si intende la precarizzazione del lavoro, la privatizzazione dei beni pubblici e sociali, l’eliminazione dei corpi intermedi, la demonizzazione dell’intervento pubblico . E ciò accomuna le false sinistre (leggi PD) e le destre. Ricordare Riccardo Lombardi significa anche porre le basi di un nuovo progetto socialista.”

Giuseppe Giudice

19 settembre 2020

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