Penna: “LA SINISTRA SENZA POPOLO”

di Renzo Penna – A fine agosto l’ex segretario del PD Walter Veltroni, con un lungo articolo pubblicato con rilievo da “la Repubblica”, è intervenuto nel dibattito politico denunciando la pericolosità del momento e i rischi che corre la democrazia. “Non chiamiamoli populisti – ha affermato – contro questa destra estrema è l’ora di una nuova sinistra”. L’intervento, come era prevedibile, ha suscitato diversi commenti. Il più entusiasta Eugenio Scalfari per il quale “Veltroni ha scritto uno splendido articolo fondato su tre punti capitali: la democrazia, la sinistra italiana, l’Europa”. Nel lungo pezzo alcuni hanno, in particolare, evidenziato le parti che sono suonate maggiormente critiche nei confronti di Matteo Renzi: la denuncia del partito liquido, l’uso del termine rottamazione che “non è una nostra parola, figlia della nostra cultura” e, soprattutto, il giudizio verso il M5S nei cui confronti “la sinistra ha compiuto gravi errori. Ha cambiato mille volte atteggiamento, ha demonizzato… senza capire che molti dei voti andati il 4 marzo ai cinque stelle erano di elettori della sinistra”. Su quest’ultimo aspetto, considerando ineccepibile l’analisi sul movimento di Grillo e la fuga di massa dal Pd, Antonio Padellaro, però, si domanda se davvero Veltroni “può pensare che a quei tanti ex elettori, per ravvedersi e tornare a casa, sarà sufficiente una bella riverniciata al partito di cui egli è stato il fondatore, magari cambiando nome all’insegna? O rimanendo solo in fervida attesa di una ipotetica dissoluzione dei Cinquestelle?”

Ad una medesima frase del lungo articolo hanno fatto entrambi riferimento nei loro commenti il filosofo Massimo Cacciari e il professore Piero Ignazi; quella dove Veltroni, parlando di sinistra, sostiene, con la sua prosa accattivante, che “la sinistra o accende un sogno o non è. Perché la sinistra o è popolo o non è”. Mentre il primo, più sbrigativamente nel corso di una intervista, ha sostenuto che: “di sogni non ne posso più, dobbiamo evitare di ripetere gli stessi errori. Alle europee è necessario un fronte progressista, da Macron a Tsipras”. E, più avanti, “dobbiamo ripartire dal lavoro dipendente che si sta proletarizzando. Rifondare un partito non liquido ma di massa, non centralista, ma radicato nei territori, non affascinato dai capitani d’industria, ma attento ai bisogni dei nuovi lavoratori, sempre più precari. Serve un partito federale e transnazionale e un leader che nasca dal basso”.
Il secondo, nel corso di un articolo, ha svolto un ragionamento più approfondito e analitico sul principale elemento della crisi della sinistra, in Italia come in Europa. Per il docente dell’Università di Bologna: “di fronte al neoliberismo e alla globalizzazione, la sinistra ha pensato di poter ancora essere protagonista, sostituendosi alle élite moderate e conservatrici per gestire meglio i processi. Così facendo è rimasta invischiata tra le domande di protezionismo del suo mondo di riferimento – le classi sottoprivilegiate – e le richieste di ‘affidabilità’ da parte della business community. Ha cercato di ammansire e gestire gli spiriti belluini del capitalismo senza confini. E invece è stata contaminata dall’ideologia e dalla cultura politica di quello che un tempo veniva definito l’avversario di classe”. Più avanti la critica di Ignazi diviene ancora più netta dove afferma che “quando tra Marchionne e il sindacato si sta con Marchionne vuol dire che si è perso il legame con il popolo, si è reciso il cordone ombelicale con la propria storia; vuol dire che è stata assorbita in toto la logica neocapitalistica, fino all’ultima stilla. La sinistra, cioè il PD, perché altro non è rimasto… non ha nemmeno visto il disagio che invadeva milioni di cittadini in questi anni. E chi lo faceva notare era, al meglio, un grillo parlante, al peggio, un disfattista, un sabotatore, un gufo”.
Non tutte le colpe sono, però, attribuibili a Matteo Renzi, la sinistra, infatti, ha cominciato a smarrirsi ben prima, ai tempi del Pds-Ds, “quando cercava di togliersi addosso lo stigma di uno statalismo senza logica economica e di una ostilità sorda all’impresa privata”. La differenza con il più recente periodo sta nel fatto che il PD ha governato praticamente da solo quasi tutta l’ultima legislatura con un controllo pressoché esclusivo del parlamento e del governo. “Di conseguenza – conclude Piero Ignazi – la responsabilità della parabola negativa dei consensi, passati dagli undici milioni del 2014 ai sei del 2018, ricade sulle sue spalle”.
A dire il vero un accenno critico sui ritardi della sinistra nei confronti di quella che Veltroni chiama “la gigantesca riorganizzazione della intera struttura sociale avvenuta in questi anni, qualcosa di paragonabile agli effetti della rivoluzione industriale” è presente nel suo scritto. Così come sulle conseguenze indotte da tale rivoluzione quando sostiene: “la società è segnata da una sensazione di precarietà che la domina, che ne mina la fiducia sociale nel futuro. Non si può pensare che un tempo in cui le famiglie italiane hanno perso undici punti di reddito rispetto alla fase precedente alla crisi, in cui la differenza tra ricchi e poveri è aumentata, non sia carico di un drammatico disagio”.

Ma, a mio avviso, ciò che manca nell’analisi di Veltroni è una riflessione autocritica, dolorosa, ma necessaria, sulle cause economiche e sociali che hanno portato alla sconfitta del PD il 4 marzo e al successo dell’attuale coalizione di governo. Parla di precarietà, sfiducia e povertà, ma non cita le leggi e i provvedimenti dei governi di centrosinistra che hanno determinato tale situazione: gli errori e i limiti della “Fornero” (esodati, blocco assunzioni giovani, allungamento età anche per lavori faticosi e usuranti…); il Jobs act che ha reso possibili i licenziamenti senza giusta causa e giustificato motivo (cancellando l’art.18 dello Statuto dei Lavoratori), favorito quelli collettivi, facilitato il demansionamento (art.13 dello Statuto), aumentato la precarietà nel lavoro e i bassi salari; lo smantellamento delle tutele sociali e l’eliminazione della Cassa integrazione operato dal ministro del Lavoro Poletti che sta determinando migliaia di licenziamenti nell’industria; la privatizzazione a senso unico di beni e servizi pubblici; l’essersi affidati su un tema cruciale come l’ecologia e l’ambiente a un ministro modesto come Galletti. Veltroni è giustamente preoccupato per le sorti dell’Europa, ripropone gli ‘Stati Uniti d’Europa’, ma non si pone in maniera critica nei confronti delle politiche di austerity che hanno causato tagli drammatici allo stato sociale (sanità, scuola, ricerca, Università, sicurezza…), non si pronuncia nei confronti di una UE che assegna priorità al mercato e non al lavoro, ai diritti, alla piena occupazione. Che fa delle teorie liberiste la propria fede. Tutti aspetti che oggi inducono la maggioranza dei cittadini ad essere preoccupati per le decisioni europee e disillusi nei confronti dell’Unione.

Insomma, e concludendo, l’articolo di Veltroni sembra più volto a favorire un nuovo assetto e una nuova maggioranza all’interno del Partito democratico che ad avviare una fase si vera rigenerazione e ripresa della sinistra, la quale per essere credibile deve mettere in discussione gli indirizzi, le politiche e i provvedimenti non solo degli ultimi governi. Liberandosi del contagio e della pratica delle ideologie liberiste, del mito delle liberalizzazioni, trovando un nuovo equilibrio nei rapporti tra pubblico e privato, riaffermando, come sostiene Mariana Mazzucato, nel campo dei beni e dei servizi collettivi una prevalenza nel controllo e nella gestione da parte dello Stato. Superando “i vecchi pregiudizi ideologici sull’inefficienza del pubblico rispetto al privato”. Affidarsi a terze vie macroniane, sperare in economia nello spread e nel giudizio delle agenzie di rating, o tifare, dopo la tragedia di Genova, per le ragione di Atlanta, non porta, ritengo, da nessuna parte e, soprattutto, non induce i cittadini che hanno votato il M5S ad alcun ripensamento.

Alessandria, 4 settembre 2018

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