“Sinistra Democratica entra in crisi se vengono meno le ragioni del progetto costituente”

sinistra democratica simboloAlessandria, 6 febbraio 2008 – Franco Galliani, Marco Marzi, Renzo Penna, Domenico Ravetti.
A meno di un anno di distanza dall’Assemblea Costituente del movimento – il 5 maggio ’07 alla Fiera di Roma – il bilancio per SD non si presenta positivo e i motivi che ne hanno giustificato la nascita sono stati accantonati o messi in seria discussione. La crisi del governo Prodi, decisa in maniera irresponsabile, avviene in un momento molto delicato per lo stato dell’economia internazionale e i rischi di una possibile recessione che, da noi, sarebbe pagata, soprattutto, dalle fasce sociali più deboli e dai milioni di lavoratori e pensionati che, già oggi, non godono di salari e pensioni sufficienti alle primarie necessità del vivere. In questa situazione le elezioni anticipate rappresentano un gravissimo danno per il Paese. E questo mentre si era alla vigilia di un confronto tra governo e sindacati per ridurre la pressione fiscale sul lavoro dipendente e aumentarne i redditi – grazie al risanamento dei conti pubblici e la crescita delle entrate ottenuta con la lotta all’evasione fiscale – e sono aperte drammatiche crisi, dai rifiuti in Campania alle dimissioni, perché condannato, del presidente della Regione Sicilia.
Questa situazione di crisi, nello stesso tempo, sociale, politica ed istituzionale rischia di trovare le forze del centro sinistra impreparate e con strategie che tra loro divergono: tra un Partito Democratico in formazione e voglioso di affermarsi da solo e una sinistra priva di un credibile progetto comune.
Chi scrive, nell’ultimo congresso dei Democratici di Sinistra non ha condiviso la decisione di sciogliere il partito e costituire il PD e ha sostenuto le posizioni della minoranza per alcune fondamentali ragioni: la necessità di una sinistra plurale con cultura di governo; la centralità nei programmi e nelle politiche del mondo del lavoro e il rapporto con i sindacati; la tutela dell’ambiente e la sostenibilità considerata non un limite, ma una opportunità per l’occupazione e lo sviluppo economico; la laicità dello stato come elemento indispensabile per un paese moderno; l’appartenenza e l’adesione, senza ambiguità, al Partito del Socialismo Europeo e all’Internazionale Socialista.
Con questi obiettivi abbiamo visto con favore la nascita del movimento di Sinistra Democratica per il Socialismo Europeo e auspicato, da un lato, un rapporto di confronto e collaborazione con il PD, considerato come naturale alleato e, dall’altro, l’avvio di un percorso con le altre forze della sinistra, e i verdi, insieme impegnati nella maggioranza e nel governo, con l’obiettivo di costruire una formazione nuova e plurale capace di superare, con uno sforzo collettivo, le storiche divisioni tra riformisti e radicali.
A meno di un anno di distanza dall’Assemblea Costituente del movimento – il 5 maggio ’07 alla Fiera di Roma – il bilancio per SD non si presenta, a nostro giudizio, positivo e i motivi che ne hanno giustificato la nascita sono stati accantonati o messi in seria discussione.
Il rapporto con il Sindacato
L’indispensabile relazione con i sindacati e il rispetto per il loro autonomo ruolo è entrato in crisi in occasione del protocollo sul welfare. L’aver voluto dalla sinistra disconoscere un accordo unitario sottoposto dai sindacati al voto democratico di oltre 5 milioni di lavoratori che, con una larga maggioranza, lo hanno approvato, è stato un errore che SD non ha saputo contrastare. Un errore che ha portato poi alla sconfitta in parlamento nel voto di fiducia e, ancora più grave, ha contrapposto la sinistra al sindacato e, in particolare, a gran parte della CGIL e ai milioni di lavoratori che l’accordo avevano approvato.
Dietro questo errore vi è la spia di una irrisolta questione di una sinistra che fa della opposizione e del conflitto la sua ragione d’essere. Per essa l’unità del sindacato è sempre considerata un prezzo da pagare e mai un valore. Da qui l’incapacità di accettare la mediazione e mettere in valore i risultati ottenuti con l’intesa che, come ci hanno insegnato grandi dirigenti sindacali, da Lama, a Trentin, a Vigevani, quando è unitaria rappresenta, in quella data situazione, il punto più avanzato cui attestarsi, per poi da li ripartire e ricercare nuove e più efficaci soluzioni per i lavoratori.
Questo significa una mancanza di attenzione o di rispetto nei confronti delle ragioni di chi, nel sindacato o tra i lavoratori, quell’accordo ha bocciato? Certamente no, così come pochi luoghi di lavoro deve aver frequentato chi ritiene ascrivibili sempre e solo a posizioni progressiste le opposizioni alle piattaforme o agli accordi unitari dei sindacati confederali.
Il Socialismo Europeo
La fine dei DS ha reso ancora più evidente l’anomalia della sinistra italiana, unica in Europa, a non avere un forte e plurale Partito Socialista. Questo è stato uno dei motivi di fondo della nostra critica al PD per la sua ambiguità sulla collocazione politica in Europa e il principale motivo dell’adesione a SD. Per noi, infatti, Socialismo e Socialista non rappresentano termini superati o da superare, ma l’essenza di una sinistra laica, dotata di una forte cultura di governo e che fa del valore del lavoro il centro della sua azione politica.
Ma il tema del socialismo europeo – come punto di approdo, di riferimento strategico per una sinistra che non si accontenta di opporsi e non vuole solo subire i processi indotti dalla globalizzazione, ma si pone l’ambizione di tentare di conoscerli, indirizzarli e governarli per cercare di diminuire i livelli di disuguaglianza – in questi mesi non è mai diventato patrimonio collettivo ed è stato presto sacrificato all’obiettivo di una indistinta unità della sinistra.
Unità che senza una precisa identità e in carenza di una chiara volontà di restare legata al socialismo europeo, finisce – come sostiene il professor Massimo Salvadori – per essere dominata dai partiti che non hanno sciolto i nodi del legame con la tradizione comunista e che, per questo motivo, non possono ambire ad un gran consenso politico ed elettorale.
Unità nella quale, è del tutto evidente, la prima ad essere sacrificata è la cultura di governo e a prevalere le posizioni massimaliste di una sinistra di opposizione che hanno in sé il rischio dell’isolamento e della marginalità politica.
Questo stato di cose ha già portato al distacco da SD di significative personalità, come quelle di Gavino Angius e Valdo Spini verso la Costituente Socialista, e la motivata assenza dei segretari nazionali della CGIL dalla Assemblea della sinistra arcobaleno che si è tenuta a Roma l’8 e il 9 dicembre ‘07.
Il tempo per riconoscere gli errori e cambiare rotta è certo molto stretto, per la crisi e l’incedere delle elezioni, ma dal gruppo dirigente dei DS un impegno in questa direzione deve essere fatto per tornare alle motivazioni iniziali, per scongiurare la rapida consunzione del progetto costituente e l’emarginazione della stessa Sinistra Democratica.
In caso contrario per chi, come noi, che negli obiettivi originali di SD ancora si riconosce, verrebbe meno sia l’interesse che l’adesione.
Franco Galliani, Marco Marzi, Renzo Penna, Domenico Ravetti

 

Spread the love

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *