Penna: “CHI HA AFFOSSATO LA POLITICA DI PREVENZIONE?”

mappa pericolosità sismicaRenzo Penna – Nella prima decade d’agosto del 2009 ero alle prese con gli appunti, raccolti nel corso degli anni, per dare sistematicità all’esperienza politico-amministrativa di Assessore all’Ambiente della Provincia di Alessandria[1]. Un lavoro di un paio d’anni che si concluderà nei primi mesi del 2011 con la pubblicazione di “Ambiente da Limite a Valore”[2]. Con tra le mani il resoconto di un interessante convegno, di qualche anno prima, dedicato al Piota “un torrente da salvare”[3], nel quale era intervenuto Giuliano Cannata, teorico dell’ambientalismo scientifico, mi ricordai di aver ascoltato la prima volta l’ingegnere in quel di Alba, poco tempo dopo la tragica alluvione del Tanaro del novembre ’94, dove aveva analizzato le cause di quel disastro.

Mentre ancora si rincorrevano generiche voci sul rilascio dell’acqua dalle dighe, la responsabilità dei fatti veniva da Cannata analiticamente addossata all’imperizia degli uomini, allo sfruttamento e alla invasiva infrastrutturazione del territorio. Dove si erano occupate aree di pertinenza del fiume, reso più rapida la sua corsa e devastante la sua forza. Un intervento accorato, pieno di dati e riscontri che mi è stato d’aiuto e che – insieme agli scritti e alle lezioni del Professor Luigi D’Alpaos – ha motivato un personale interesse e un indirizzo sui complessi e trascurati temi dell’assetto idrogeologico del territorio, dell’importanza di prevenire i disastri attraverso la costante manutenzione e il naturale rispetto nei confronti dei bacini idrografici. Una prospettiva nel nostro paese da sempre negletta perché uso ad affidare la soluzione degli eventi  alluvionali, o di altri disastri naturali, investendo nella ricostruzione di nuove opere, nuovi manufatti, spesso causa di future tragedie. Una costante di quanto accaduto negli ultimi cinquant’anni. La legge istitutiva delle Autorità di bacino (n.183/’89) che ha tradotto le risultanze della commissione De Marchi – promossa, non a caso, dopo l’alluvione di Firenze (novembre 1966) –  e conteneva una diversa filosofia nella tutela del territorio, ha incontrato, negli anni dei governi Berlusconi, forti resistenze nella sua applicazione e una vera e propria emarginazione.

Ponte Cittadella: quando l’interesse prevale sul rigore scientifico 

Proprio mentre stavo ricostruendo e ordinando l’analisi dell’intervento di Cannata e i contenuti del convegno sul Piota, ad Alessandria si stava completando, con una fretta sospetta, l’abbattimento dello storico ponte della Cittadella. E ciò nonostante che, a metà luglio, l’Aipo, in quel di Boretto (RE), avesse ufficialmente presentato il programma delle prove sperimentali sul modello fisico del fiume Tanaro nel tratto cittadino di Alessandria, con l’obiettivo di trovare le soluzioni alla messa in sicurezza della città e prospettato l’avvio delle prove che avrebbero occupato alcuni mesi.

Per non addossare tutte le colpe alla giunta comunale di centro destra va anche detto che, a fine luglio 2009, tutte le amministrazioni piemontesi, di diverso orientamento, avevano firmato a Roma, sotto la regia del responsabile della Protezione Civile, l’atto per abbattere il Cittadella. L’interesse per la costruzione di un nuovo ponte, possibile solo con la demolizione del vecchio, grazie alla politica, prevaleva e veniva anteposto al rigore di prove scientifiche che avrebbero potuto metterne in discussione l’opportunità. Nell’occasione Guido Bertolaso – in quel periodo ancora in auge – ebbe addirittura a  sostenere che l’intervento “emblematico” sul ponte rappresentava: “la soluzione a uno dei più gravi problemi idraulici della pianura Padana”.[4]

A superare lo sconforto per quelle decisioni, che continuo a ritenere superficiali e sbagliate, mi aiutò un articolo di Paolo Rumiz, il giornalista-scrittore che nel corso del suo viaggio letterario “tra abissi, vulcani, antri dove nascono i terremoti”, dedicato “all’Italia sottosopra”, si domandava: “Chi ha affossato la politica di prevenzione? Chi ha voluto che il 65 per cento dell’ arte mondiale fosse lasciato in balìa degli elementi?”[5]

Il racconto di Paolo Rumiz

Un intervento di straordinaria attualità che ci aiuta, anche oggi, a meglio comprendere le cause vere dei tanti morti e delle distruzioni del terremoto che ha di recente colpito alcuni paesi dell’Italia centrale, da sempre conosciuti per la loro alta sismicità. Riporto di seguito i passaggi più significativi dove Rumiz risponde agli interrogativi e alle domande .

“C’è una data fondamentale per capire: il 1980, terremoto dell’Irpinia. Una giorno preciso, il 10 dicembre; quando Franco Bàrberi e Peppino Grandori, geologi del Cnr, tengono una sconvolgente relazione al Senato, davanti al presidente della Repubblica Pertini. Ho con me quel documento. Bàrberi e Grandori dicono: signori, difendersi dai terremoti o intervenire dopo costa più o meno uguale. La differenza sta nel numero delle vittime. Il costo sociale delle mancata prevenzione è immenso, non considerarlo è un crimine. Ora è tempo di riparare al danno. Così parte l’ idea di un mega-piano di messa in sicurezza dell’ Italia: il Progetto finalizzato geodinamica. Non c’è scienziato che non parli con nostalgia di quegli anni. Si mobilitano risorse, scendono in campo geologi, ingegneri, storici. Cadono steccati, baronìe. L’ interazione di cervelli dà frutto, il patrimonio edilizio del Paese comincia a essere monitorato. La protezione civile si mette agli ordini della scienza.

L’ Italia diventa avanguardia, compie un balzo di vent’ anni. Il seguito lo sappiamo. La politica si mette di mezzo. Prevenire non paga, meglio i favori ai costruttori, meglio la politica-spettacolo dell’ intervento a sismi avvenuti, meglio l’amnesia di Stato sui disastri passati. L’idea di calare l’ antisismica nell’ edilizia e nelle assicurazioni viene affossata prima di nascere. Intanto si consuma una lotta per la supremazia fra il Cnr e l’ astro nascente della geofisica italiana, l’Ingv[6]. Il risultato è lo scacco della scienza, che diventa gregaria della Protezione civile e rifluisce in nicchie accademiche. È il trionfo della monocultura emergenziale militarizzata, fatta di pieni poteri centrali e comunità esautorate. Il modello dell’ Aquila. L’ ostentazione mediatica delle macerie. I campi con i reticolati. La fine dei territori.”

Difficile dire più e meglio.

Alessandria, 1 settembre 2016

[1] Luglio 2004/maggio 2008

[2] R. Penna: “Ambiente da Limite a Valore Un’esperienza politico-amministrativa”, Editori Riuniti university press – Roma, marzo 2011

[3] 23 ottobre 2004, Silvano d’Orba, Convegno promosso dalla Provincia di Alessandria: “Il Piota un torrente da salvare”

[4] Il Piccolo, 3 agosto ’09: “Un atto responsabile, consapevole e condiviso”.

[5] Paolo Rumiz, “la Repubblica” del 26 agosto 2009: “I miracoli di Sant’Emidio”

[6] Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia

CHI HA AFFOSSATO LA POLITICA DI PREVENZIONE?

 

Renzo Penna

 

Nella prima decade d’agosto del 2009 ero alle prese con gli appunti, raccolti nel corso degli anni, per dare sistematicità all’esperienza politico-amministrativa di Assessore all’Ambiente della Provincia di Alessandria[1]. Un lavoro di un paio d’anni che si concluderà nei primi mesi del 2011 con la pubblicazione di “Ambiente da Limite a Valore”[2]. Con tra le mani il resoconto di un interessante convegno, di qualche anno prima, dedicato al Piota “un torrente da salvare”[3], nel quale era intervenuto Giuliano Cannata, teorico dell’ambientalismo scientifico, mi ricordai di aver ascoltato la prima volta l’ingegnere in quel di Alba, poco tempo dopo la tragica alluvione del Tanaro del novembre ’94, dove aveva analizzato le cause di quel disastro. Mentre ancora si rincorrevano generiche voci sul rilascio dell’acqua dalle dighe, la responsabilità dei fatti veniva da Cannata analiticamente addossata all’imperizia degli uomini, allo sfruttamento e alla invasiva infrastrutturazione del territorio. Dove si erano occupate aree di pertinenza del fiume, reso più rapida la sua corsa e devastante la sua forza. Un intervento accorato, pieno di dati e riscontri che mi è stato d’aiuto e che – insieme agli scritti e alle lezioni del Professor Luigi D’Alpaos – ha motivato un personale interesse e un indirizzo sui complessi e trascurati temi dell’assetto idrogeologico del territorio, dell’importanza di prevenire i disastri attraverso la costante manutenzione e il naturale rispetto nei confronti dei bacini idrografici. Una prospettiva nel nostro paese da sempre negletta perché uso ad affidare la soluzione degli eventi  alluvionali, o di altri disastri naturali, investendo nella ricostruzione di nuove opere, nuovi manufatti, spesso causa di future tragedie. Una costante di quanto accaduto negli ultimi cinquant’anni. La legge istitutiva delle Autorità di bacino (n.183/’89) che ha tradotto le risultanze della commissione De Marchi – promossa, non a caso, dopo l’alluvione di Firenze (novembre 1966) –  e conteneva una diversa filosofia nella tutela del territorio, ha incontrato, negli anni dei governi Berlusconi, forti resistenze nella sua applicazione e una vera e propria emarginazione.

 

Ponte Cittadella: quando l’interesse prevale sul rigore scientifico 

Proprio mentre stavo ricostruendo e ordinando l’analisi dell’intervento di Cannata e i contenuti del convegno sul Piota, ad Alessandria si stava completando, con una fretta sospetta, l’abbattimento dello storico ponte della Cittadella. E ciò nonostante che, a metà luglio, l’Aipo, in quel di Boretto (RE), avesse ufficialmente presentato il programma delle prove sperimentali sul modello fisico del fiume Tanaro nel tratto cittadino di Alessandria, con l’obiettivo di trovare le soluzioni alla messa in sicurezza della città e prospettato l’avvio delle prove che avrebbero occupato alcuni mesi.

Per non addossare tutte le colpe alla giunta comunale di centro destra va anche detto che, a fine luglio 2009, tutte le amministrazioni piemontesi, di diverso orientamento, avevano firmato a Roma, sotto la regia del responsabile della Protezione Civile, l’atto per abbattere il Cittadella. L’interesse per la costruzione di un nuovo ponte, possibile solo con la demolizione del vecchio, grazie alla politica, prevaleva e veniva anteposto al rigore di prove scientifiche che avrebbero potuto metterne in discussione l’opportunità. Nell’occasione Guido Bertolaso – in quel periodo ancora in auge – ebbe addirittura a  sostenere che l’intervento “emblematico” sul ponte rappresentava: “la soluzione a uno dei più gravi problemi idraulici della pianura Padana”.[4]

 

A superare lo sconforto per quelle decisioni, che continuo a ritenere superficiali e sbagliate, mi aiutò un articolo di Paolo Rumiz, il giornalista-scrittore che nel corso del suo viaggio letterario “tra abissi, vulcani, antri dove nascono i terremoti”, dedicato “all’Italia sottosopra”, si domandava: “Chi ha affossato la politica di prevenzione? Chi ha voluto che il 65 per cento dell’ arte mondiale fosse lasciato in balìa degli elementi?”[5]

 

Il racconto di Paolo Rumiz

Un intervento di straordinaria attualità che ci aiuta, anche oggi, a meglio comprendere le cause vere dei tanti morti e delle distruzioni del terremoto che ha di recente colpito alcuni paesi dell’Italia centrale, da sempre conosciuti per la loro alta sismicità. Riporto di seguito i passaggi più significativi dove Rumiz risponde agli interrogativi e alle domande .

“C’è una data fondamentale per capire: il 1980, terremoto dell’Irpinia. Una giorno preciso, il 10 dicembre; quando Franco Bàrberi e Peppino Grandori, geologi del Cnr, tengono una sconvolgente relazione al Senato, davanti al presidente della Repubblica Pertini. Ho con me quel documento. Bàrberi e Grandori dicono: signori, difendersi dai terremoti o intervenire dopo costa più o meno uguale. La differenza sta nel numero delle vittime. Il costo sociale delle mancata prevenzione è immenso, non considerarlo è un crimine. Ora è tempo di riparare al danno. Così parte l’ idea di un mega-piano di messa in sicurezza dell’ Italia: il Progetto finalizzato geodinamica. Non c’è scienziato che non parli con nostalgia di quegli anni. Si mobilitano risorse, scendono in campo geologi, ingegneri, storici. Cadono steccati, baronìe. L’ interazione di cervelli dà frutto, il patrimonio edilizio del Paese comincia a essere monitorato. La protezione civile si mette agli ordini della scienza.

L’ Italia diventa avanguardia, compie un balzo di vent’ anni. Il seguito lo sappiamo. La politica si mette di mezzo. Prevenire non paga, meglio i favori ai costruttori, meglio la politica-spettacolo dell’ intervento a sismi avvenuti, meglio l’amnesia di Stato sui disastri passati. L’idea di calare l’ antisismica nell’ edilizia e nelle assicurazioni viene affossata prima di nascere. Intanto si consuma una lotta per la supremazia fra il Cnr e l’ astro nascente della geofisica italiana, l’Ingv[6]. Il risultato è lo scacco della scienza, che diventa gregaria della Protezione civile e rifluisce in nicchie accademiche. È il trionfo della monocultura emergenziale militarizzata, fatta di pieni poteri centrali e comunità esautorate. Il modello dell’ Aquila. L’ ostentazione mediatica delle macerie. I campi con i reticolati. La fine dei territori.”

 

Difficile dire più e meglio.

 

Alessandria, 1 settembre 2016

[1] Luglio 2004/maggio 2008

[2] R. Penna: “Ambiente da Limite a Valore Un’esperienza politico-amministrativa”, Editori Riuniti university press – Roma, marzo 2011

[3] 23 ottobre 2004, Silvano d’Orba, Convegno promosso dalla Provincia di Alessandria: “Il Piota un torrente da salvare”

[4] Il Piccolo, 3 agosto ’09: “Un atto responsabile, consapevole e condiviso”.

[5] Paolo Rumiz, “la Repubblica” del 26 agosto 2009: “I miracoli di Sant’Emidio”

[6] Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia

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