Protocollo di Kyoto: il punto a un anno dall’entrata in vigore

di Renzo Penna

15 febbraio 2006

Il 10 dicembre 2005 si è concluso a Montreal il vertice mondiale sul clima, le cui decisioni hanno evitato che il Protocollo di Kyoto e gli impegni dei Paesi industrializzati a ridurre le emissioni di gas serra, venissero definitivamente messi in soffitta.

Rimangono così gli obiettivi volti ad abbattere le emissioni, in particolare, di anidride carbonica (C02) nella misura del 5,2% per il periodo 2008-2012 rispetto ai livelli del 1990, anche se vi è molta diffidenza al loro raggiungimento, stante i ritardi accumulati da alcune delle 130 Nazioni firmatarie del Protocollo.

Anche per questo a Montreal si è deciso che già da quest’anno i Paesi aderenti a Kyoto avvieranno i negoziati per stabilire le riduzioni dei gas da effettuare dopo il 2012: oggi possiamo quindi affermare che il Protocollo sopravvivrà oltre il 2012.

Sarà adesso fondamentale riuscire ad inserire tra i Paesi obbligati a ridurre le emissioni sia la Cina che l’India, due nuove enormi realtà sociali ed economiche in vorticosa crescita che, nei precedenti accordi, erano stati esentati dalle riduzioni in quanto considerati Paesi in Via di Sviluppo.

E’ comunque convinzione diffusa che per un effettivo avvicinamento agli obiettivi stabiliti dal Trattato salva-clima sia fondamentale il coinvolgimento degli Stati Uniti.

Sempre al vertice di Montreal si è deciso che gli USA parteciperanno al binario parallelo delle trattative, ovvero a quello delle discussioni non vincolanti.

Rappresenta un piccolo passo in avanti, anche se le posizioni rimangono distanti: infatti, i sostenitori di Kyoto, Europa e Giappone in testa, sostengono la necessità di limiti obbligatori alla produzione di gas serra, sommati alla possibilità di vendere i diritti di inquinamento da parte di chi scende sotto i suoi obblighi. Invece gli Usa continuano a preferire riduzioni volontarie, impegnandosi solo con investimenti tecnologici nell’energia pulita e intese bilaterali con i Paesi asiatici.

Il coinvolgimento degli Stati Uniti, che producono il 25% del totale delle emissioni con appena 260 milioni di abitanti, appare ancora troppo debole per conseguire i risultati sperati, ma comunque va registrato un mutamento di linea che ha evitato il fallimento della politica segnata da Kyoto.

Per quanto riguarda il nostro Paese, se è vero che l’Unione Europea, dopo diverse bocciature e richiami, ha finalmente approvato il Piano Italiano per la riduzione delle emissioni, è altrettanto vero che la stessa Unione Europea nelle proprie proiezioni sul 2012 ha previsto che l’Italia non riuscirà a raggiungere gli obiettivi di riduzione prefissati.

Dal 1990 le nostre emissioni, invece di diminuire, sono aumentate del 12%, e in questi anni non si sono viste in Italia serie politiche ambientali finalizzate al raggiungimento degli impegni sottoscritti. Per raggiungere i quali dovremmo, da oggi al 2012, ridurre le emissioni di oltre il 20%.

Sarebbe necessaria una legge “Kyoto”, con norme chiare e vincolanti, che incentivino enti pubblici e imprese private ad eliminare le proprie emissioni di anidride carbonica nei diversi settori: energetico, trasportistico, agricolo.

E’ fondamentale poi che la direzione stabilita dal Protocollo di Kyoto e il tema del risparmio energetico vengano sempre più intese dalle imprese italiane come una concreta opportunità di sviluppo.

Ma ciò che soprattutto è mancata in questi anni in Italia è stata una seria politica per lo sviluppo sostenibile. Occorre al più presto impostarla su alcuni semplici elementi:

  • Puntare sull’efficienza energetica per aumentare il risparmio energetico. Solo sostituendo le apparecchiature domestiche ed industriali con quelle più efficienti si risparmierebbe il 47% dei consumi elettrici nazionali;
  • Incrementare l’utilizzo delle fonti rinnovabili quali: l’energia solare, la geotermica, l’idroelettrica, l’eolica, le biomasse legnose e i biocombustibili;
  • Aumentare l’utilizzo del metano e ridurre quello del carbone;
  • Sostituire le grandi centrali, che sprecano molta dell’energia prodotta, con centrali di piccola e media taglia, più vicine all’utenza finale, che con la cogenerazione a metano sono in grado di sfruttare l’80% del calore prodotto, fornendo in rete locale sia elettricità che calore con il teleriscaldamento;
  • Nel settore dei trasporti spostare una quota crescente del trasporto (soprattutto delle merci) dalla gomma all’intermodalità mare-ferrovia; migliorando ed ammodernando le reti infrastrutturali e disincentivando il trasporto su gomma;
  • Accrescere l’efficienza degli edifici nella loro capacità di trattenere il calore, evitando la dispersione e risparmiando energia; con l’utilizzo di materiali già presenti sul mercato e l’impiego di nuove tecniche nella progettazione e costruzione degli edifici.

L’ultimo atto del Governo in materia ambientale, ovvero l’approvazione della Legge Delega, non si muove però in questa direzione. E’ fondamentale adesso invertire la rotta, perché anche in questo campo l’Italia può e deve svolgere un ruolo di primo piano, cogliendo nuove opportunità di eccellenza e di sviluppo compatibile con l’ambiente. Un compito che ormai compete al il futuro Governo.

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