1973: La F.L.M. e il Contratto delle “150 Ore”

1973: La F.L.M. e il Contratto delle “150 Ore” – di Renzo Penna, 29 marzo 2023

Dimensioni: 13,9 cm x 10,0 cm

Martedì 3 aprile 1973, mezzo secolo fa, il quotidiano “La Stampa” dedica le prime due pagine, pressoché interamente, ai contenuti dell’accordo per il Contratto dei lavoratori metalmeccanici privati, siglato nella notte presso il ministero del Lavoro, “al termine di una maratona durata quasi ininterrottamente più di sessanta ore”.[1] L’intesa, favorita dalla mediazione del ministro del Lavoro Coppo, interessa un milione e 300 mila lavoratori e 8.000 aziende. Poche settimane prima, il 16 marzo, una bozza di accordo era stata raggiunta con l’Intersind-Asap per i 300 mila dipendenti delle aziende a partecipazione statale. Bozza esaminata e approvata dall’assemblea dei delegati di fabbrica F.L.M. riunita a Firenze il 17 e 18 marzo. Sempre sulla prima pagina del giornale di Torino e della Fiat, quasi a giustificare lo spazio dato alla notizia, un articolo di Mario Salvatorelli informa che l’industria metalmeccanica ha un fatturato pari al 33% di quello complessivo delle industrie manifatturiere e contribuisce, da sola, con il 46 per cento “a tutte le nostre esportazioni”.[2] Mentre, in generale, l’industria rappresenta il 40 per cento del reddito nazionale e occupa il 43 per cento della popolazione attiva (8 milioni e 36 mila unità su un totale di 18 milioni e 331 mila).

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Gli scioperi del ‘43/’45: ottant’anni dopo  

 di Edmondo Montali e Mattia Gambilonghi

  • 1) Gli scioperi del 1943: perché ricordarli

Ricordare oggi, a ottant’anni di distanza, gli scioperi del 1943-45, può ad un primo impatto apparire un esercizio retorico legato alla memorialistica e ai tanti anniversari che segnano e scandiscono l’attività degli enti e delle istituzioni culturali come la nostra. Riteniamo al contrario utile e necessario da un punto di vista politico e civile – conferendo cioè alla memoria storica e alla sua custodia una missione fondamentale ai fini di una cittadinanza cosciente e consapevole – ricordare gli eventi che si dispiegano in un biennio così importante per la nostra storia comune, analizzandone le cause, i motivi ispiratori, le ricadute politiche. I nessi e i punti di contatto con la realtà odierna e le vicende attuali non mancano, del resto. Tornare su quei fatti può perciò fornirci degli elementi di comparazione e delle chiavi di lettura non banali e più precise per confrontarci con temi e questione di non facile risoluzione. Il primo di questi nessi con l’oggi è forse il più evidente, vista la tragedia in corso in Ucraina, a sole poche ore di volo dall’Italia.

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Il difficile compito di Elly Schlein

Il difficile compito di Elly Schlein: cambiare identità e forma al partito.

Renzo Penna, 1 marzo 2023

I tradizionali auguri di buon lavoro alla nuova segretaria del PD, se non vogliono risultare superficiali o di maniera, devono contemperare anche le indubbie difficoltà che la neo nominata dovrà necessariamente affrontare. Soprattutto se Elly Schlein intende veramente, come ha più volte affermato, combattere le diseguaglianze economiche e sociali presenti nella società italiana, difendere l’universalità del welfare (scuola, università, ricerca, sanità e previdenza), la sua natura pubblica ed eliminare le numerose tipologie di precarietà presenti nel mondo del lavoro.

Un impegno riformatore che non può non prevedere – insieme a una severa analisi delle cause della recente e disastrosa sconfitta alle elezioni – una seria e approfondita autocritica delle politiche condivise e realizzate dalla sinistra e dal centro sinistra negli ultimi trent’anni. Non adeguatamente affrontata da nessuno degli aspiranti alla segreteria, durante i lunghi mesi che hanno caratterizzato l’ultimo  congresso del Partito democratico. Politiche che hanno fatto proprie e assorbito in maniera acritica gli indirizzi delle teorie e pratiche neoliberiste, provenienti in parte dagli Stati Uniti, in parte dall’Inghilterra della signora Thatcher e in parte dai tedeschi. Come ha analiticamente documentato il sociologo di Torino Luciano Gallino in una delle sue ultime interviste.[1] 

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