Intervento di Sergio Negri a Volpedo il 24 settembre 2012
Riflettendo sulla storia delle lotte contadine, dalla conquista delle 8 ore a Vercelli, di cui Modesto Cugnolio è stato un protagonista assoluto, a quelle dell’occupazione delle terre in molte regioni del sud Italia, mi sono chiesto spesso se questa che noi consideriamo una importante affermazione di un diritto di civiltà, che ha un rapporto molto stretto con la democrazia, non sia un contributo, fra i più alti, che il mondo del lavoro ha dato al nostro paese e ai suoi abitanti. Il primo accordo sulle otto ore, che fu firmato a Vercelli il primo giugno 1906, segna infatti la fine di un sistema ancora feudale, almeno nei rapporti di lavoro; un sistema ancorato ad un legame servile dei lavoratori con i loro datori di lavoro, perpetuato sull’uso spesso crudele delle braccia e del corpo dei salariati, affidato a propositi di sfruttamento della mano d’opera alla quale si riconosceva appena una retribuzione inadeguata e addirittura insufficiente per vivere e scrive l’inizio dell’era moderna, nella quale, per la prima volta, sono finalmente riconosciuti alcuni diritti fondamentali e con essi la dignità di chi lavora.
Questa straordinaria affermazione del principio umanista è ottenuta grazie a uomini di immenso valore appunto come Modesto Cugnolio, Bruno Buozzi e molti altri.
Uomini di assoluta grandezza che tuttavia non avrebbero ottenuto questi risultati senza l’esercito dei contadini e delle mondariso, senza il coraggio di quelle donne che hanno sfidato per parecchi anni l’intemperanza di molti agrari, la prepotenza della regia cavalleria e spesso l’arroganza di una classe politica senza scrupoli.
Un risultato ottenuto con la tenacia, con la pazienza, con la forza che in certe occasioni solo le donne sanno avere.
Una conquista voluta, ricercata, costruita con determinazione, grazie anche ad una solida rete di relazioni, alla partecipazione dei contadini e delle mondariso ma anche a quella dei cittadini e dei lavoratori delle manifatture, dei cantieri, delle costruzioni.
Una moderna prova di democrazia, una straordinaria circostanza per migliaia di uomini e di donne per sentirsi protagonisti, per essere parte di un progetto ambizioso che offriva l’occasione per migliorare la loro qualità di vita e di lavoro.
Fu una battaglia di civiltà che raggiunse il più alto risultato mai conseguito in tutta Europa.
Se noi osserviamo la storia utilizzando lo specchio del mondo del lavoro, guardando da dove sono partite le prime rivendicazioni fino ad oggi, il tema della democrazia e della libertà sono i punti che unificano.
Se leggiamo gli statuti con i quali sono nate le Camere del Lavoro osserviamo che al primo punto contengono importanti principi di solidarietà: “tutti i lavoratori possono far parte della Camera del Lavoro senza distinzione di fede religiosa, di rappresentanza politica, di colore della pelle”. E al secondo punto la democrazia: “solo ai lavoratori spetta il compito di decidere le sorti delle loro condizioni di vita e di lavoro”.
La democrazia intesa come partecipazione, diritto di cittadinanza e in questa visione come fattore di giustizia sociale.
Questo è il contributo più alto che generazione dopo generazione, lavoratore dopo lavoratore, sciopero dopo sciopero, il mondo del lavoro ha offerto al nostro paese.
Nel 1906 la coltivazione del riso è concentrata in prevalenza nella pianura vercellese e novarese e in alcune aree dell’alessandrino e del pavese.
Sono anni difficili per chi offre le braccia.
Le condizioni dei lavoratori e dei contadini in particolare, sono disumane. Servitù della gleba, orari dall’alba al tramonto, fanciulli piegati dalla fatica, nessun accordo sindacale, nessuna legge protettiva. I salari sono fissati dal padrone a sua discrezione, e sono salari di fame. La mortalità infantile è altissima, l’analfabetismo dilagante. Disperata la fuga oltre oceano alla ricerca di pane.
La crescita dell’organizzazione operaia e contadina non è affatto facile: si deve superare infatti una tenace opposizione borghese e una mentalità diffidente, egoistica abituata ad un atavico servilismo.
Le masse popolari vercellesi prendono coscienza della loro forza con lenta gradualità e si organizzano nel sindacato a mano a mano che si modificano le condizioni generali dell’Italia.
I primi scioperi a Vercelli avvengono nelle fabbriche dei bottoni nel 1879; ma qualche anno dopo anche nelle campagne si segnalano agitazioni per ottenere miglioramenti di salario. Nel 1882 in alcuni centri del vercellese le mondariso scioperano per qualche giorno.
Nel 1893 si organizza una manifestazione a Vercelli che deve svolgersi il 10 di luglio con lo scopo di rivendicare il salario di 2 lire giornaliere per le mondariso. Fino ad allora il salario giornaliero era di una lira e 10 centesimi al giorno dall’inizio della monda fino a maggio e di una lira e 80 centesimi al giorno nel mese di giugno.
In questo periodo i lavoratori, vittime ogni giorno della miseria e delle sofferenze, prendono coscienza delle loro condizioni e danno vita alle prime “Leghe di miglioramento contadino”.
Il Vercellese si dimostra subito terra fertile anche per il proselitismo politico. Il Partito Socialista è il soggetto trainante.
Nel marzo del 1895 da parte dei Presidenti della Società Cooperative di Mutuo Soccorso di Vercelli e del Monferrato viene avanzata la proposta di istituire la Camera del Lavoro di Vercelli.
Nel 1897 incominciano a divenire più organiche e politicizzate le rivendicazioni contadine. Ci sono agitazioni in alcuni paesi del vercellese, dove le autorità sciolgono il circolo socialista e ne processano i dirigenti.
Nello stesso anno, nelle elezioni politiche, i socialisti si rivelano una forza con cui presto si sarebbe dovuto fare i conti. Nonostante le difficoltà a svolgere propaganda, i candidati socialisti ottengono un discreto successo. I socialisti si erano preparati con cura alle elezioni: il circolo socialista di Vercelli aveva istituito una scuola per insegnare a leggere e a scrivere agli elettori che non possedevano certificati scolastici, per abilitarli ad affrontare l’esame richiesto dalla legge per l’iscrizione alle liste elettorali.
Anche per il Vercellese, come per l’Italia, il 1898 si rivela un anno economicamente difficile.
Il prezzo del pane sale a dismisura con gravi conseguenze per le classi più povere.
Il primo maggio a Vercelli accadono disordini, anche se senza gravi conseguenze: Ma, a causa dei gravi e sanguinosi fatti di Milano, con il massacro di ottanta dimostranti ordinato dal Generale Bava Beccaris, e per la paura di una congiura socialista, ci sono perquisizioni e arresti. A Vercelli, all’alba dell’8 maggio sono arrestati il prof. Antonio Piccarolo e l’avv. Modesto Cugnolio, che in quel tempo era presidente della Consociazione Cooperative Vercellesi, dopo la morte di Mario Guala. Sono inoltre perquisiti alloggi di appartenenti al Circolo Popolare Socialista.
Il 1° dicembre 1900 esce il primo numero del giornale “La Risaia” che, ad eccezione degli anni del periodo fascista e poche interruzioni, rappresenterà per ottant’anni il pensiero del socialismo vercellese. Il giornale “La Risaia” voluto da Modesto Cugnolio diventa uno strumento che da voce al mondo contadino e ne organizza le forze di emancipazione. Le inchieste condotte dal giornale sulle miserabili e disumane condizioni di vita e di lavoro dei braccianti e delle mondariso, la diffusione di parole d’ordine politiche, la generalizzazione di obiettivi sindacali fanno del giornale la bandiera forse più significativa della storia del movimento contadino e operaio vercellese. Cugnolio fonda anche la Federazione Agricola Piemontese, una organizzazione, malgrado l’ambizione regionale, fortemente individuata dalla sua radice vercellese, di cui diviene, non senza contrasti con altre organizzazioni sindacali, in primo luogo la Federterra, e non senza qualche punta eccessiva di personalismo e localismo, la voce più ascoltata.
Dal 1902 in poi, le leghe contadine nelle campagne e la Camera del Lavoro in città sono in grado di contrattare efficacemente con la parte padronale. Quasi sempre ogni accordo per la monda o per il taglio del riso è preceduto da agitazioni e scioperi, nei quali i lavoratori dimostrano una crescente solidarietà e una sempre maggiore capacità di resistenza.
Nel 1904, sull’onda dello sciopero generale noto come la “settimana rossa” proclamato dalle Camere del Lavoro di Milano e di Monza e dal Partito Socialista, i contadini del Vercellese si astengono dal lavoro.
Chiedono soprattutto che il padrone rispetti il “Regolamento Cantelli”. In questo documento che gli agrari nascondono perché non intendono applicarlo, c’è un capoverso che riguarda l’orario di lavoro il quale: “non può iniziarsi se non un’ora dopo il levar del sole” per cessare “un’ora prima del suo tramonto”.
Appare evidentemente, un “miglioramento” alle condizioni disumane imposte alle mondariso. Nonostante le precauzioni dei padroni, l’avv. Modesto Cugnolio, segretario della Federazione Agricola, ne viene in possesso. Il rispetto del “Regolamento Cantelli” diventa un obiettivo di lotta. I lavoratori incominciano a battersi per ottenere condizioni di lavoro più umane: otto ore di lavoro giornaliero.
Ma la reale situazione è ben lontana da quanto indicato dal “Regolamento Cantelli”. In molte frazioni è vecchia usanza iniziare il lavoro alle quattro e mezzo e terminare alle diciotto, dopo dodici ore.
In alcune cascine la campana del Comune suona, per dare il segnale dell’inizio del lavoro, addirittura alle quattro meno un quarto.
Il 1° maggio del 1906 “La Risaia” proclama: “Il nostro programma è tutto nelle tre otto: otto ore di lavoro, otto ore di svago e otto ore di riposo. Questa è la battaglia dei socialisti!”.
L’articolo che segue è firmato dall’avv. Modesto Cugnolio.
Il 1906 è l’anno della lotta più dura.
Già nel febbraio, prima che inizi la campagna agricola, si parla sui giornali della legge sul lavoro nelle risaie che dovrebbe ridurre l’orario di lavoro. Le preoccupazioni degli agricoltori di Novara e di Vercelli hanno il potere di non far fare passi avanti al provvedimento legislativo.
Allora, negli ultimi giorni di maggio scoppiano le prime agitazioni. In molte località i lavoratori delle risaie incrociarono le braccia.
La situazione è molto tesa. Uno degli animatori di queste battaglie è l’avvocato Modesto Cugnolio. Nato da una ricca famiglia borghese, dopo aver studiato giurisprudenza, si avvicina all’ideale socialista. Difende i militanti del partito e i contadini finiti sul banco degli accusati per aver “attentato alla libertà del lavoro”, in altre parole per aver scioperato e aver convinto altri ad astenersi dal lavoro.
Il 24 maggio si registrano le prime manifestazioni di lotta: colonne di scioperanti, preceduti da numerose donne con bandiere rosse, percorrono le strade dei paesi e della città gridando: “Vogliamo le otto ore!”
Un accordo fra le parti sembra irraggiungibile. La protesta si estende. Alla fine di maggio tutto il territorio è paralizzato dalle agitazioni.
L’Associazione Agricoltori esamina la situazione ma dichiara di non essere disposta a cedere. Non essendoci possibilità di accordi, gli scioperi riprendono con maggior vigore e accadono i primi incidenti.
Il 1° giugno a Vercelli scoppiano gravi incidenti. La città è presidiata militarmente.
Fin dalle 5 del mattino una colonna di scioperanti ferma gli operai che si recano al lavoro. Si chiudono subito tutte le fabbriche della città.
I tumulti del 1° giugno sono forse i più gravi e violenti di tutta la lotta per la conquista delle otto ore.
Si forma un corteo che fa il giro delle fabbriche per invitare gli operai ad abbandonare il lavoro. Le officine si svuotano, i negozi chiudono: è lo sciopero generale.
Iniziano tafferugli, si fanno barricate. Ci sono degli arresti, si spargono persino false voci che danno per morti due lavoratori.
Modesto Cugnolio riesce, però, a riprendere in mano la situazione e forma una commissione che si reca in municipio per trattare. Alle 17 vengono comunicati i risultati dell’incontro: “La giornata è fissata in 8 ore di lavoro”.
Da quel momento in risaia le mondariso finalmente non saranno più costrette a lavorare senza interruzione dall’alba al tramonto.
Questo, però, è stato anche un successo personale dell’avvocato Modesto Cugnolio che ha saputo mantenere unito un fronte che, molto frammentato e attraversato da tante contraddizioni, avrebbe potuto sfaldarsi sotto la pressione e il ricatto degli agrari. Il successo ne fece uno dei dirigenti sindacali e politici più amati. In effetti una felice combinazione di determinazione nella lotta, di attenzione alle diverse esigenze dei lavoratori e di abilità nella trattativa avevano consentito di raggiungere un risultato in netto anticipo sui tempi.
La conquista dei contadini vercellesi sarà così un punto di riferimento per l’intero movimento operaio e contadino italiano, che otterrà finalmente nel 1919 la regolamentazione per legge del tempo di lavoro su tutto il territorio nazionale. Un risultato straordinario che nella circostanza generata dagli sconvolgimenti della guerra non troverà il modo di dispiegare interamente i suoi effetti; tuttavia una conquista di democrazia, che rimarrà scolpita negli annali del movimento operaio anche se potrà realizzarsi solo dopo molti anni e dopo altre prove drammatiche.
Volpedo, 22 Settembre 2012