PIEMONTE: QUALCHE RAGIONE PER LA SCONFITTA

di Renzo Penna

Alessandria, 8 aprile 2010

Una sconfitta che brucia quella del centro sinistra in Piemonte, imprevista perché non messa in conto, ma temuta nell’incertezza degli ultimi giorni di una campagna elettorale distante dai problemi, meno coinvolgente e partecipata che mai. Con il tradizionale e ancor più incontrastato dilagare di Berlusconi su tutti i media, e gli altri leader messi a tacere. Tanto, come viene autorevolmente ripetuto, anche a sinistra, la televisione non influisce sull’orientamento del voto…

Il nostro è, notoriamente, un paese dove non esiste la crisi dell’editoria, si legge moltissimo e i giornali vanno letteralmente a ruba. Questo, nonostante che i risultati di recenti e, per alcuni, stravaganti ricerche testimonino la preoccupante tendenza di una parte maggioritaria di cittadini verso un analfabetismo di ritorno. Ma perché preoccuparsi. Ci salveranno le storiche attitudini degli italiani abituati a superare le difficoltà con l’estro e la fantasia!

Stando cosi le cose, per cercare di capire le ragioni della sconfitta sabauda non mi resta che affidarmi a qualche parziale sensazione personale sui limiti della compagine della presidente Bresso. Prima ancora che sui meriti del più giovane contendente. Questo anche alla luce del fatto che la Lega ha guadagnato voti in Veneto, in Emilia, in Toscana, nelle Marche, ma ne ha persi in Piemonte, in Lombardia e in Liguria. In totale, rispetto alle europee, ha avuto meno 147 mila voti. Non è quindi affatto aumentata, ma ha però perso considerevolmente meno di tutti gli altri.[1]

Mercoledì 24 marzo, verso mezzogiorno, sono alla stazione di Alessandria per prendere l’unico treno rimasto che collega la città, che è stata per tanto tempo un importante nodo ferroviario, con la capitale. Il treno che arriva da Torino è in perfetto orario, ma sui video sono segnalati come sospesi tutti i collegamenti regionali e l’annunciatrice si scusa con l’utenza per il disagio arrecato a causa di uno sciopero proclamato dai sindacati dei ferrovieri del Piemonte. Siamo a meno di quattro giorni dal voto e la decisione della giunta, presa a fine legislatura e unica nel novero delle regioni, di non fare un accordo con Trenitalia, ma di mettere in gara il trasporto ferroviario, non sembra essere stata apprezzata dai ferrovieri, che hanno scioperato compatti contro la Regione, e, neppure, dai pendolari. E’ lecito pensare che anche la recente esclusione della direttrice Torino-Asti-Alessandria dai principali collegamenti nazionali sia stata una rivalsa della Ferrovia nei confronti della posizione assunta dalla Regione. Certo è che, per questa parte del Piemonte, ha rappresentato il primo passo di un declassamento a succursale della Lombardia. Accettato e subito in silenzio.  I disservizi di Trenitalia, soprattutto per quanto riguarda i collegamenti dei pendolari, sono noti e da condannare, ma è stato scelto il momento più opportuno per regolare i conti con la direzione delle ferrovie?

Qualche settimana fa, Bairati, uno degli assessori considerati più autorevoli della giunta Bresso, in una intervista[2] ha pronunciato una dura critica nei confronti di coloro che, a suo dire, hanno impedito la costruzione di un impianto per la produzione di bioetanolo nel comune di Tortona, favorendone l’insediamento nella zona di Crescentino. Senza entrare nel merito di una vicenda complessa che, nella fase iniziale, ho seguito direttamente, mi chiedo chi può aver consigliato l’Assessore ad una presa di posizione così poco felice, connaturata da un generico antiecologismo, nei confronti della maggioranza degli abitanti di Rivalta Scrivia. I quali, nell’occasione, hanno sostenuto una posizione argomentata, che può essere certo discussa e contestata, ma che è stata portata avanti in modo serio e civile, ricercando con l’azienda e le istituzioni un confronto sul merito.

Nel momento della sconfitta e della comprensibile amarezza la presidente ha assegnato la responsabilità della vittoria – ottenuta di misura dall’esponente della Lega – al risultato, inatteso, conseguito dalla lista Piemonte 5 stelle. Il movimento ispirato da Beppe Grillo. E ha espresso una valutazione sconsolata sullo stato del suo partito, il PD, giungendo a ritenere migliore la situazione nella quale i DS e la Margherita erano due formazioni distinte.

E’ evidente che, sul primo aspetto, i responsabili del centro sinistra regionale, esclusivamente impegnati a consolidare il rapporto con l’UDC di Casini e il presunto e agognato elettorato di centro, mentre quasi il 40% decideva di non votare, hanno sottovalutato le possibilità dei grillini. Nonostante che in Piemonte il dissenso sulle grandi opere, dalla Valle Susa, alla Valle Scrivia, oltre a costituire una presenza radicata e conosciuta, rappresentasse anche una delle principali questioni sostenute dal movimento del comico genovese.

Errore non commesso dal presidente Burlando in Liguria che, nelle alleanze, ha attuato una strategia inclusiva e ha costruito una coalizione ampia, tanto da comprendere anche il sostegno di Grillo.

Ora, sui temi dell’ecologia, dell’ambiente e di una prospettiva di sviluppo sostenibile, è difficile ritenere, in generale, le politiche dell’ex presidente del Piemonte meno attente di quelle sin qui praticate dal collega della Liguria. Anche se, lo scorso anno, alla Bresso non ha certamente giovato l’essersi accodata, in maniera acritica, alla presa di posizione improvvisata e generica di Bertolaso e della protezione civile sul tema dell’assetto idrogeologico e  del nodo idraulico di Alessandria. Posizione che ha permesso e comportato l’affrettato abbattimento del ponte della Cittadella, ad opera del Comune, senza che sia stata messa in sicurezza la città.

O, più di recente, l’aver assunto nei confronti dei no Tav, un atteggiamento critico eccessivo. Su temi difficili e dibattuti come sono quelli ambientali, specie quando investono le prospettive di un  intero territorio e, dove, non è quasi mai dato che la ragione si trovi tutta da una sola parte, una persona esperta e competente come la presidente, dovrebbe sapere che, pur sostenendo e considerando giusta una posizione, l’ascolto e il rispetto nei confronti di chi la pensa in maniera opposta,. non deve mai venir meno.

Per quanto riguarda, invece, la condizione e la presenza del Partito Democratico in questa campagna elettorale non si può che convenire: vi è stata una totale assenza di guida e di indirizzo. E questo mentre per paradosso – come ha notato Tito Boeri – le prime elezioni con campagna elettorale sul web hanno mostrato come non si possa competere in politica facendo a meno di un partito.[3] In Piemonte, un partito degno di questo nome, dopo l’esito delle ultime elezioni provinciali che avevano sancito la perdita delle province di Biella, Novara e Verbania, le quali, così, si erano aggiunte a quelle di Asti, Cuneo e Vercelli – già stabilmente governate dalla destra – avrebbe dovuto, da subito, dispiegare presenza e iniziativa politica al di fuori di Torino. Supportando e sostenendo gli esponenti della giunta regionale nel rapporto e nel confronto con i problemi e le difficoltà dei diversi territori. Invece si è pensato che, ancora una volta, bastasse il risultato del capoluogo e, per il resto della regione, la consueta toccata e fuga delle ultime settimane di campagna elettorale. Un comportamento che, ormai, molti considerano inutile se non controproducente.  Ma per questo, appunto, servirebbe un partito.

Non un soggetto, come l’attuale PD, poco coeso al proprio interno, incerto nella strategia e carente nell’azione che, pur essendo la principale forza del centro sinistra, non è in grado di assumersi l’onere e la responsabilità di coordinare la coalizione. Continua a comportarsi come fosse autosufficiente e quando, come nel Lazio e in Puglia, è costretto sulla difensiva, per non fare i conti con le proprie contraddizioni, sa solo prospettare delle ipotesi di annessione. Così la campagna elettorale, dove sono presenti, è lasciata alla autonoma decisione e alle  possibilità, anche economiche, dei consiglieri, che si sfidano nelle preferenze per essere eletti. Ma se manca la comunità e viene meno la condivisione del progetto, scema anche l’impegno disinteressato, tipico della militanza. Che risulta, però, essenziale per superare i momenti di difficoltà e di debolezza. Quelli che il professionismo della politica non è in grado di colmare. Almeno, e per fortuna, nella sinistra. Naturalmente, parlo della realtà che conosco, ma nella mia città, per assistere ad un comizio in piazza mi sono dovuto adattare a riascoltare, in una discretamente affollata piazza Marconi, le sempre divertenti, ma conosciute invettive di Grillo. A ulteriore riprova di questo andazzo, in un giro fatto nelle Langhe, una settimana dopo il voto, a cavallo delle Province di Asti e Cuneo, mi è capitato sovente di incontrare cartelloni elettorali pieni di manifesti a sostegno di Cota e quasi nessuno per la Bresso.

Ciò che, poi, rende ancor più difficile da accettare questa sconfitta, è che avviene in una fase di evidente difficoltà politica del Governo nazionale e di crisi del berlusconismo. La qual cosa evidenzia ancor di più i limiti e le carenze dell’opposizione e premia il partito, la Lega Nord, che più di altri si è assunto la responsabilità di coprire e sostenere una destra impresentabile, ispirata, per dirla con Giorgio Ruffolo, all’edonismo privatistico delle tre esse: soldi, sesso, spettacolo.[4] Un tipo di populismo che costituisce il terreno più adatto all’inquinamento del malaffare.

E, in aggiunta, adesso ci toccherà di sorbire anche la lezione su  quanto è brava la Lega a stare sul territorio. Senza sapere che cosa significa, in che cosa si sostanzia questa presenza della Lega. In particolare qui da noi, proprio ad Alessandria dove, per effetto della vittoria di Cota, farà il suo ingresso in  Parlamento uno che, leghista doc, da presidente del Consiglio Comunale è accusato di aver indebitamente intascato oltre 700 mila euro dalle risorse dell’Ente. Cioè da quelle che appartengono a tutti i cittadini.

 

[1] La Repubblica del 4 aprile 2010: “Il vento vandeano da Torino a Treviso” di Eugenio Scalfari.

[2] La Stampa del 4 marzo 2010.

[3] la Repubblica del 4 aprile 2010: “Così il Carroccio conquista il nord” di Tito Boeri.

[4] la Repubblica del 1 marzo 2010: “Peggio di tangentopoli” di Giorgio Ruffolo.

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