SE RENZI SI ISPIRA A SCHROEDER E BLAIR

di Luciano Gallino – la Repubblica, 28 giugno 2014

Luciano GallinoNEL discorso volto a illustrare in Parlamento le linee programmatiche del semestre di presidenza italiano della Ue il presidente del Consiglio Matteo Renzi, riportano i giornali, ha detto che “la Germania di Schroeder nel 2003 ha scelto un pacchetto di riforme molto importanti, che oggi consentono a quel paese di essere più degli altri fuori dalla crisi”. Alcuni giorni prima, a Bruxelles, Renzi aveva dichiarato di voler ispirare il suddetto programma al manifesto rilasciato da Schroeder e Blair nel 1999 allo scopo di modernizzare sia la socialdemocrazia che lo stato sociale. Ambedue le dichiarazioni di Renzi sono preoccupanti per il futuro del lavoro e dello stato sociale nel nostro paese. Vediamo perché. Il manifesto Schroeder-Blair del 1999, che s’intitolava La strada in avanti per i socialdemocratici d’Europa , conteneva una serie di propositi che parevano scritti non da politici di sinistra, bensì da avversari storici della socialdemocrazia, quelli per cui lo stato sociale è sempre stato soltanto un intralcio sulla via della prosperità economica.

 Tra i tanti: “La strada della giustizia sociale era lastricata con spese pubbliche sempre più alte… [ma essa] non si può misurare dal livello delle spese sociali”; “Un unico posto di lavoro per tutta la vita appartiene al passato. I socialdemocratici debbono accogliere le crescenti richieste di flessibilità”; “Le riduzioni d’imposta alle società rafforzano la redditività e creano stimoli all’investimento”; “La riduzione dei costi addizionali del lavoro per mezzo di riforme strutturali della sicurezza sociale… ha un particolare significato.”
In Germania, i propositi del manifesto del ‘99 divennero la base della cosiddetta Agenda 2010 varata dal cancelliere Schroeder nel 2003. È appunto il pacchetto di leggi, emanate nel giro di alcuni anni, cui si riferiva Renzi nel suo discorso alla Camera. Esso ha dato origine a peggioramenti delle condizioni di lavoro per milioni di lavoratori tedeschi ed a tagli della spesa sociale (in specie indennità di disoccupazione, pensioni e sanità) quali non si erano mai visti dalla fondazione della repubblica federale. L’anno scorso, in occasione del decennale dell’Agenda 2010, sono stati pubblicati in Germania numerosi rapporti ricchi di dati. C’è solo da scegliere. Sul fronte del lavoro, i risultati principali sono stati un forte aumento delle occupazioni precarie e della quota di lavoratori che percepiscono un basso salario. Dal 2003 al 2012 il numero dei lavoratori in affitto è triplicato, passando da poco più di 300.000 a 900.000. I contratti a tem- po determinato, la maggior parte di breve durata, hanno conosciuto un incremento esplosivo. Più della metà degli occupati fino a 35 anni ha soltanto un contratto di tal genere. Il numero dei lavoratori a basso salario ha raggiunto nel 2012 gli 8 milioni, quasi un quarto degli occupati. In Germania “basso salario” (Niedriglohn) non è un modo di dire. Corrisponde a due terzi della media della paga oraria lorda. Nel 2013 il basso salario ammontava nella Germania ovest a 10 euro e qualcosa, pari a poco più di 6 euro netti. Mentre nella Germania est era ancora più basso, di circa due euro.
Altri effetti dell’Agenda 2010 sono stati un forte incremento delle disuguaglianze di reddito e di ricchezza. Al vistoso aumento dei lavoratori a basso salario ha fatto riscontro un analogo aumento dei lavoratori a salario elevato. Mentre la concentrazione di ricchezza nella mani di poche migliaia di famiglie ha toccato livelli inauditi, tali da collocare la Germania nel gruppo di testa dei paesi più disuguali del mondo.
Sul fronte della spesa sociale è stata fortemente ridotta l’indennità di disoccupazione, in parallelo con un forte inasprimento delle condizioni per ottenerla. Tra di esse rientra anche l’impegno ad accettare qualsiasi occupazione venga offerta, anche se questa risulti al disotto della propria qualifica professionale, pagata meno della precedente, e lontana da casa. È stato aumentato il contributo dei lavoratori al sistema sanitario e diminuito quello delle imprese. L’assegno per i neo-pensionati è stato ridotto del 5 per cento circa, anche quando si tratta di poche centinaia di euro al mese, mentre le pensioni in vigore hanno subito un taglio di quasi il 7 per cento. Dinanzi a questi risultati negativi delle riforme di Schroeder, che hanno messo in atto i precetti del manifesto del 1999, il presidente Renzi potrebbe obiettare, per citare ancora il suo discorso alla Camera, che esse consentono oggi “a quel paese di essere fuori, più degli altri, dalla crisi”. Il fatto è che dette riforme non c’entrano nulla con il successo della Germania nel fronteggiare la crisi. Lo dicono anzitutto i dati. L’occupazione totale, misurata dal numero di ore lavorate, non è affatto aumentata dal 2000 in poi, e rispetto ai primi anni 90 è addirittura diminuita. Nel 1991 il volume di ore lavorate in Germania toccava i 60 miliardi. Nel 2000 era sceso a 58 miliardi, e tale è rimasto fino al 2012. Il numero degli occupati in tale anno — 41,5 milioni — era tenuto alto dal cospicuo aumento di precari e di occupati a tempo parziale. In altre parole lo stesso volume di lavoro era suddiviso tra un maggior numero di persone, le quali grazie alle statistiche che non distinguono tra chi lavora 40 ore la settimana e chi ne lavora 15, figurano tutte come occupate. In secondo luogo studi recenti hanno posto in luce come il rilancio dell’economia tedesca sia cominciato assai prima delle riforme di Schroeder. Il suo motore principale è stata la stagnazione dei salari reali, imposta dalle imprese già alla fine degli anni 90 in accordo con i sindacati, accoppiata a un forte aumento della produttività. È questa la dissociazione che ha permesso alla Germania di conquistare il primato dell’export sull’import, che ha toccato negli ultimi tempi i 200 miliardi l’anno.
D’altra parte non conta poi molto se il presidente Renzi si sbaglia nel collegare l’Agenda 2010 al successo tedesco nel gestire la crisi. Ciò che preoccupa è che i suoi ripetuti richiami a un manifesto politico e a riforme concepite quindici anni fa, che nell’insieme hanno compendiato il peggio delle politiche di austerità imposte via via alle popolazioni europee non solo dalla Troika di Bruxelles, ma pure dai loro governi, prefigurino davvero le politiche economiche e sociali che Matteo Renzi intende attuare in Italia nel prossimo futuro, sia lungo o no mille giorni.
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