Il difficile compito di Elly Schlein

Il difficile compito di Elly Schlein: cambiare identità e forma al partito.

Renzo Penna, 1 marzo 2023

I tradizionali auguri di buon lavoro alla nuova segretaria del PD, se non vogliono risultare superficiali o di maniera, devono contemperare anche le indubbie difficoltà che la neo nominata dovrà necessariamente affrontare. Soprattutto se Elly Schlein intende veramente, come ha più volte affermato, combattere le diseguaglianze economiche e sociali presenti nella società italiana, difendere l’universalità del welfare (scuola, università, ricerca, sanità e previdenza), la sua natura pubblica ed eliminare le numerose tipologie di precarietà presenti nel mondo del lavoro.

Un impegno riformatore che non può non prevedere – insieme a una severa analisi delle cause della recente e disastrosa sconfitta alle elezioni – una seria e approfondita autocritica delle politiche condivise e realizzate dalla sinistra e dal centro sinistra negli ultimi trent’anni. Non adeguatamente affrontata da nessuno degli aspiranti alla segreteria, durante i lunghi mesi che hanno caratterizzato l’ultimo  congresso del Partito democratico. Politiche che hanno fatto proprie e assorbito in maniera acritica gli indirizzi delle teorie e pratiche neoliberiste, provenienti in parte dagli Stati Uniti, in parte dall’Inghilterra della signora Thatcher e in parte dai tedeschi. Come ha analiticamente documentato il sociologo di Torino Luciano Gallino in una delle sue ultime interviste.[1] 

Un’adesione alle ideologie neoliberiste che ha preceduto la stessa costituzione del Pd ed è stata, se mai, rafforzata dalla decisione di Walter Veltroni al Lingotto[2] di assumere a riferimento per la nuova formazione politica il modello del partito democratico americano e l’azione del presidente degli Stati Uniti Bill Clinton.

Diversamente sarebbe difficile comprendere l’assoluta obbedienza e disciplina dei nostri governi, compresi quelli di centro sinistra, ai dettami di Bruxelles, alle politiche di austerity imposte dalla Ue, senza che si sia levata alcuna voce a contrastare tali scelte, nonostante i loro esiti catastrofici.

Politiche e decisioni dell’Unione derivate da un indirizzo presente nei trattati e nelle regole europee che, in coerenza con una impostazione neoliberista, non privilegia certo il lavoro, i diritti e la piena occupazione, ma, in primis, il raggiungimento del profitto per le imprese e la finanza. Un obiettivo emblematicamente rappresentato dalla regola del “Nairu”[3], ossia dal fatto che è necessario e va perseguito un certo tasso di disoccupazione – almeno il 6% – per evitare che i lavoratori con le loro rivendicazioni salariali alimentino la spirale dei prezzi facendo crescere l’inflazione. Cosa che non avviene, o succede di meno, se i lavoratori possono essere licenziati e facilmente sostituiti.

Una riflessione autocritica che oggi dovrebbe risultare più semplice alla luce di ciò che è successo nell’economia globale con la devastante crisi finanziaria del 2007-’08 che non è stata prevista e neppure adeguatamente spiegata da alcuno. Mentre la pandemia da covid ha drammaticamente evidenziato i limiti e le contraddizioni della globalizzazione, così come, dopo il 1989, l’annunciata “fine della storia”[4] che avrebbe dovuto estendere su l’intero globo l’adesione al modello capitalistico occidentale e garantire un mondo pacificato ha, addirittura, visto scoppiare una sanguinosa guerra nel cuore dell’Europa.

Nel perseguire le politiche e gli obiettivi più volte annunciati la nuova segretaria non potrà infatti ignorare che i settori nei quali la presenza delle politiche liberiste è risultata più evidente, caratterizzando l’azione dei governi negli ultimi decenni, ha riguardato proprio l’attacco allo stato sociale, dalla sanità alle pensioni, e la sfera delle politiche formative e del diritto del lavoro. Su quest’ultimo aspetto le leggi che hanno accresciuto la precarietà sono state già approvate nei primi anni ’90, seguite nel 1997 dal “pacchetto Treu”, nel 2003 dalla legge Biagi, dalle deprecabili deroghe a norme contrattuali e di legge del “socialista” Sacconi nel 2011[5], dalla legge Fornero nel 2012, per finire, nel 2015, con la cancellazione dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori e il cosiddetto Jobs Act ad opera del  governo Renzi.

Un fenomeno, quello della precarizzazione e dell’impoverimento della popolazione lavoratrice, inclusa la classe media, che non è solo italiano. Ad esempio nella ricca Germania le riforme del lavoro neoliberali, volute nel 2003 dal socialdemocratico Gerhard Schroeder, con le leggi del “piano Hartz” che colpevolizzano chi non riesce a trovare lavoro, hanno avuto analoghe conseguenze.

Nel campo culturale l’università e la ricerca, oltre a subire tagli pesantissimi, hanno visto, in nome di una missione sempre più aziendalista, comprimere ed emarginare il pensiero critico. Anche per quanto riguarda la scuola primaria e secondaria si sta affermando un indirizzo volto a organizzarla e pensarla come un’azienda. Non casualmente la cosiddetta “buona scuola” del governo Renzi è stata, nella sostanza, scritta da una fondazione privata e recepita sia dal governo che dal parlamento.

Così come nel campo della formazione l’alternanza “scuola-lavoro” (L. 107/2015) si è sovente trasformata in un pessimo esercizio speculativo che invece di favorire il percorso formativo degli allievi ha finito con lo sfruttare i giovani studenti integrandoli, senza tutele, nel ciclo produttivo. I troppi infortuni di questi ultimi mesi, alcuni dei quali addirittura mortali, sono il triste esito di questa pratica inumana. Ma la scuola, non può e non deve produrre beni di consumo, ma sapienza, cultura, conoscenza.

Per la lotta alle diseguaglianze, infine, non si può, prioritariamente, non prendere atto che le politiche neoliberiste sono sistematicamente orientate a colpire i più deboli, a colpevolizzare i poveri, a rendere povero il lavoro. Oltretutto risultando in piena sintonia con le posizioni dell’attuale governo di destra della Meloni.

Per il neoliberismo l’ineguaglianza e la concentrazione della ricchezza non rappresenta, però, un elemento negativo, ma, al contrario, l’aspetto di una economia ben funzionante. Infatti se ci sono molti ricchi, in base alla teoria, del tutto inverosimile,  del “gocciolamento” questi investono di più, consumano di più e trasferiscono gli effetti benefici sui ceti meno abbienti finendo per produrre maggiore occupazione. In realtà oggi chi ha ingenti ricchezze non investe in infrastrutture, stabilimenti, impianti e aziende di servizi, ma in finanza per moltiplicare più agevolmente le risorse che già possiede. E non è un caso se l’enorme aumento della diseguaglianza che si è verificato negli ultimi venti-trenta anni sia dovuto alla finanziarizzazione dell’economia, al taglio delle tasse ai ricchi e, nel nostro Paese, a politiche che hanno, nei fatti, favorito l’evasione e l’elusione fiscale. Finanziarizzazione, tra l’altro, agevolata negli Stati Uniti dalla decisione del presidente Clinton di abrogare, nel 1999, la storica legge sulla divisione tra banche commerciali e banche di investimento[6].

Come risultato in Italia abbiamo ormai, tra poveri relativi e assoluti, oltre dieci milioni di persone che non possono permettersi livelli di vita ai quali in precedenza tutti ci eravamo abituati, oppure non possono neppure procurarsi le risorse per far fronte a una vita dignitosa. In particolare i continui tagli al sistema sanitario pubblico e le sue crescenti inefficienze stanno, già oggi, costringendo una fascia stimabile nel 25-30% della popolazione a curarsi di meno o a non curarsi affatto. Una parte considerevole di concittadini che avrebbe bisogno di sostegno, di politiche attive del lavoro e della protezione sociale adeguate a questa situazione di emergenza. Non certo della soppressione del “Reddito e della pensione di cittadinanza”, una delle poche misure introdotte di recente per contrastare la povertà e l’esclusione sociale, come ha decretato l’attuale governo, confermando il suo atteggiamento punitivo nei confronti dei poveri e di disconoscimento della povertà.

Per concludere, le contestazioni e rivendicazioni politiche, in gran parte condivisibili, sostenute in più occasioni dalla Schlein, per risultare maggiormente credibili ed efficaci avrebbero avuto bisogno di far parte di un nuovo, rinnovato e alternativo impianto programmatico, un programma fondamentale scaturito da una impegnativa e vasta discussione di natura congressuale. Invece il Partito democratico ha optato per una dibattito non breve, ma esclusivamente volto alla ricerca del nuovo leader, dando pochissimo rilievo ai contenuti programmatici, oltretutto tra loro molto simili, dei quattro aspiranti la segreteria. In questo modo non si è però affrontato il tema decisivo della natura del partito e di una sua approfondita e aggiornata identità politica. Una mancanza che, ritengo, costituirà il problema e la difficoltà maggiore con il quale dovrà fare i conti la nuova segretaria.

In ogni caso, buon lavoro!

Alessandria, 1 marzo 2023  

[1] Luciano Gallino: “Come il neoliberismo arrivò in Italia”, 26 marzo 2022 – JacobinItalia.it

[2] Walter Veltroni: discorso tenuto il 27 giugno 2007 al Lingotto di Torino

[3] Nairu sta per: Non Accelerating Inflation Rate of Unemployment

[4] Concetto dell’analisi filosofica del politologo Francias Fukuyama

[5] Articolo 8, legge 148 del 2011 – Prevede che accordi aziendali possano peggiorare le norme previste dai contratti di lavoro e anche dalle leggi con le uniche esclusioni di quelle Costituzionali o Comunitarie

[6] La legge bancaria del 1933 nota come Glass-Steagall Act

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