CONSEGUENZE DEL FEDERALISMO: PIU’ TASSE E MENO SERVIZI

di Renzo Penna

I rappresentanti della Lega Nord hanno esultato in Parlamento dopo l’approvazione del decreto sul federalismo municipale. Ma a parte l’elemento emblematico e di bandiera sul quale il partito di Bossi punta per giustificare la sua permanenza al governo e il sostegno ad un presidente del Consiglio inquisito, il merito e le conseguenze di questo avvio di federalismo, insieme alla riduzione dei trasferimenti agli Enti Locali, prospetta ai cittadini dei comuni più tasse e meno servizi.

A lanciare l’allarme sugli effetti  legati all’entrata in vigore del decreto del governo – approvato con l’ennesimo voto di fiducia – è uno studio del dipartimento Politiche economiche della Cgil che evidenzia le ragioni dello sciopero generale del 6 maggio, incentrato sui temi del fisco e del lavoro.[1] Nella ricerca viene previsto un aumento delle tasse per oltre 16 milioni di cittadini. E ad essere colpiti saranno, ancora una volta, i lavoratori dipendenti e i pensionati dei circa 3.500 comuni che dovranno, soffocati dai tagli, aumentare le addizionali Irpef. Il federalismo municipale prevede infatti la possibilità per i comuni di aumentare l’imposta sul reddito delle persone fisiche. Una possibilità che è concessa agli enti che attualmente applicano un’aliquota addizionale inferiore allo 0,4%. A questi infatti il decreto dà una possibilità di incremento annuo dello 0,2% sino a raggiungere lo 0,4%. Una eventualità concessa ai soli comuni che non hanno sforato già tale tetto perché in tanti hanno già deliberato addizionali superiori allo 0,4% e non hanno la possibilità di incremento né tantomeno l’obbligo della riduzione. Tale situazione nei fatti si tradurrà, prevede la Cgil: “in un ovvio consolidamento delle addizionali comunali in ogni comune d’Italia senza nessuna prospettiva di risparmio fiscale per i cittadini e, soprattutto, in modo del tutto disparato e diseguale”.

Tra aumenti e mancate riduzioni, si tratta di una misura che interessa tutti i comuni. Per effetto dei  tagli realizzati dal governo con l’ultima manovra estiva (pari a 1,5 miliardi di euro nel 2011 e 2,5 miliardi nel 2012 ) i comuni saranno costretti ad avvalersi di questa facoltà per recuperare almeno parte le minori entrate. In particolare quelli che probabilmente aumenteranno le addizionali sono stimati in 3.500: il 44% del totale. La possibilità di tali aumenti coinvolge tutte le regioni, soprattutto quelle a Statuto speciale, il Trentino Alto Adige (327 comuni coinvolti) e la Sardegna (297 comuni), mentre tra quelle a statuto ordinario, i “picchi” si registrano in Lombardia (804 comuni), Piemonte (514 comuni) e Campania (194 comuni).

Nella provincia di Alessandria la città capoluogo – insieme a Casale, Novi Ligure, Acqui Terme e Ovada –  applica già lo 0,5% di addizionale Irpef, mentre Tortona e Valenza addirittura lo 0,8%. In questi casi non sono possibili nuovi aumenti, ma è anche improbabile che ci saranno riduzioni e una discesa dell’imposta al tetto dello 0,4%.

Dalle elaborazioni del dipartimento Politiche economiche della Cgil Nazionale, l’aumento delle addizionali comunali in alcune principali città sarà particolarmente significativo. A Milano, ad esempio, con l’introduzione dell’addizionale comunale – che oggi non c’è – fino allo 0,4% nel 2012, l’aumento per i lavoratori dipendenti e per i pensionati si prospetta attorno ai 120 euro annui. A Venezia, stessa situazione di Milano: l’aumento medio, sempre per i lavoratori dipendenti e i pensionati, sarebbe di circa 85 euro annui. A Verona, dove al 2010 già si applica un’aliquota dello 0,3% (circa 64 euro medi annui), l’aumento dello 0,1% sarebbe di 24 euro per i lavoratori dipendenti e ei pensionati. A Firenze (0,3% pari a circa 67 euro medi annui) l’aumento medio sarebbe di 26 euro. In altre grandi città, come Torino, Bologna, Roma, Napoli, Bari e Palermo, si paga già un’addizionale comunale (dai 75 euro di Palermo fino ai 225 euro di Roma) più alta dello 0,4% e diventa molto difficile, in queste condizioni diminuirla, anche solo fino allo 0,4%, nei prossimi anni. Come conseguenza già a partire da quest’anno il federalismo municipale comporterà inevitabilmente più tasse, mal distribuite e che graveranno principalmente sui redditi fissi e a pagare saranno quindi ancora una volta sempre gli stessi. Più in generale lo sblocco delle addizionali comporterà un aumento della pressione fiscale sul lavoro, già particolarmente pesante nel nostro Paese, a scapito dello sviluppo economico e dell’equità. E questo perché, non volendo, da parete del governo, modificare l’assetto attuale del sistema fiscale, con l’allargamento delle basi imponibili alle grandi ricchezze e alle rendite finanziarie, diviene inevitabile aumentare la pressione fiscale a livello locale. L’opposto di un  federalismo davvero solidale, più giusto ed efficace.

In questo contesto a rischiare maggiormente per i tagli del governo sono – con la sanità e la scuola pubblica – soprattutto le politiche sociali e il welfare comunale. Come effetto dell’azzeramento dei finanziamenti nazionali, della riduzione dei trasferimenti a regioni ed enti locali e dell’esclusione delle politiche assistenziali dai decreti attuativi del federalismo, il sistema assistenziale rischia nei prossimi anni di essere cancellato in buona parte del paese. In particolare per l’erogazione di servizi: dal recupero dei tossicodipendenti, al trasporto dei disabili, dall’integrazione dei migranti ai servizi per i minori, dagli asili nido ai servizi di prevenzione e assistenza sociale, per finire ai servizi per non autosufficienti, le prospettive sono molto preoccupanti. La legge di stabilità per il2011 ha, infatti,  quasi del tutto eliminato i trasferimenti sociali alle regioni.

Il fondo per le politiche sociali, storicamente la maggiore fonte di finanziamento nazionale, è stato inizialmente quasi azzerato e solo la protesta delle regioni ha portato ad aggiungere, per il solo 2011, 200 milioni (nel 2007 il fondo trasferiva alle regioni un miliardo e ancora nel 2010, nonostante i tagli, 435 milioni).

Il fondo per le non-autosufficienze (400 milioni trasferiti alle regioni nel 2010) non è stato rifinanziato. Sorte analoga ha colpito gli altri: il fondo per la famiglia si è ridotto dai 174 milioni del 2010 a 51 milioni nel 2011; il fondo per le politiche giovanili da 81 milioni a 13 milioni, il fondo affitti da 141 milioni a 33 milioni; il fondo per il diritto allo studio, che ammontava a 264 milioni nel 2009, ridottisi a 99 milioni nel 2010, avrebbe dovuto ridursi a 25 milioni nel 2011, somma aumentata di 100 milioni, per il solo 2011. Ilfondo per la gratuità dei libri nella scuola dell’obbligo (103 milioni nel 2010) inizialmente risultava azzerato e solo successivamente si è provveduto, per il solo 2011, con 100 milioni.

Se il federalismo non si occupa delle politiche assistenziali e il finanziamento nazionale delle politiche sociali viene meno, essendo che contribuiva con una quota attorno al 20% alla spesa sociale delle regioni e dei  comuni, questo sta portando alla sostanziale paralisi dei servizi sociali e assistenziali sul territorio. Prova ne è, nella nostra provincia, il fallimento del Consorzio socio-assistenziale dei comuni del valenzano Cis e l’enorme debito maturato dal comune di Alessandria nei confronti del Cissaca: l’Ente che si dovrebbe interessare dei servizi socio-assistenziali dell’alessandrino.

Alessandria, 16 marzo 2011

 

[1] www.rassegna.it: “Federalismo, allarme della Cgil: aumenteranno le tasse”.

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