Negri: “Ventitré anni fa moriva LUCIANO LAMA”

Sergio Negri – Alle 16,55 di venerdì 31 maggio del 1996 si spegneva LUCIANO LAMA. Qualche ora prima, in quello stesso giorno, il Governo Prodi otteneva nell’aula di Montecitorio la fiducia definitiva del Parlamento.
Forse per la prima volta nelle vicende umane conosciute, il destino si era piegato alla volontà di un uomo.
Sì perché Luciano Lama aveva scelto, nel corso della sua vita straordinaria, di lavorare alla “missione” riformista la quale prevedeva il riscatto dei lavoratori dall’antico servaggio riconoscen-do a loro però anche il diritto e il dovere di aspirare al Governo del Paese. In un libro intervista dal titolo “Cari Compagni” Luciano Lama diceva di sé: <<Direi che sono un riformista unitario, o, se si vuole, un riformatore unitario. Unitario nel senso pieno del termine – unità dei lavoratori, unità delle forze politiche che si riconoscono nella causa di emancipazione del mondo del lavoro – perché si raccolgano tutte le energie disponibili attorno agli obiettivi che vogliamo realizzare. Obiettivi che oggi sono quelli di un programma riformatore, per cambiare questa società democraticamente, dando concretezza ai valori storici del socialismo: l’uguaglianza, la libertà, lo sviluppo, la conoscenza, la giustizia, la salute, la pace>>
Aveva inseguito a lungo il sogno di vedere affidare ai “suoi amici e compagni” il compito di go-vernare l’Italia.


E in quel venerdì 31 maggio dopo che il voto definitivo della Camera aveva assegnato l’incarico a Romano Prodi “il vecchio combattente”, consumato nel corpo dalla malattia ma ancora vigoroso e attivo nella mente, poteva lasciare che il destino concludesse il suo percorso.

Luciano Lama aveva guidato la CGIL per sedici anni dal 1970 al 1986.
I suoi erano stati anni incredibilmente intensi.
Questo esempio di coerenza e di saggezza, quest’uomo sobrio e schivo, che non ha mai nascosto i suoi sentimenti e che non si è mai vergognato di gioire o di piangere, ha percorso quel lungo tratto di storia che è transitato attraverso gli angoli cupi del terrorismo e delle stragi di Stato, i lanci dei bulloni ai sindacalisti durante le assemblee in alcune università. E poi attraverso la svolta dell’EUR, la sconfitta alla FIAT, fino a giungere alla rottura con CISL e UIL e con una parte della sua stessa Confederazione nel febbraio 1984, quando si rifiutò di firmare l’accordo che aboliva tre punti di contingenza; quello conosciuto come l’accordo di S. Valentino.
Ma per quale ragione un padre del riformismo come Luciano Lama si spinse fino a rompere l’unità del sindacato?
<<Nessun motivo di opportunità consentiva – ebbe a dire a questo proposito nel libro intervista – di scavalcare la questione di un atto d’autorità su una materia – la contingenza, appunto – che è sempre appartenuta alla libera contrattazione delle parti. Non si trattava solo di tre o quattro punti di scala mobile: entravano in gioco la natura stessa del sindacato e la sorte futura delle relazioni industriali>>.
La rottura avvenne dunque per una questione di principio che per lui appariva fondamentale per la sopravvivenza stessa del sindacato: la difesa dell’autonomia contrattuale.
Eppure anche in quei momenti inquieti Luciano Lama non smise un solo istante di rammendare le maglie recise dell’unità.
L’idea dell’unità del sindacato e dei lavoratori Luciano Lama la conservava e la coltivava nella testa e nel cuore.
<<L’unità – dice ancora al suo intervistatore – non può essere una gabbia per nessuno, siamo diversi e non c’è ragione di nascondere questa diversità, se si pratica l’unità non come rinuncia al-le proprie idee, bensì con il rispetto del pluralismo e dell’autonomia. Il pericolo, invece, è in una concezione che crede di poter fare a meno di una o dell’altra parte del movimento sindacale. E’ questa che fa violenza al principio e alla pratica dell’autonomia>>.
<<La riconquista dell’unità, l’autonomia piena, la coerenza, il coraggio di riconoscere i propri errori per correggerli, il rifiuto delle due verità>> Questo è il messaggio più limpido che Lama ha lasciato a tutto il movimento sindacale.

Sono trascorsi ventitré anni da quell’infelice 31 maggio.
Tanti anni nei quali ci sono stati molti cambiamenti nella società e nelle vicende politiche.
Le elezioni hanno consegnato il governo del paese alle destre, alla parte politica che Luciano Lama ha avversato con risolutezza e con tenacia.
La sinistra divisa e litigiosa non ha saputo scongiurare l’ascesa di forze che Lui avrebbe contra-stato con tutte le sue forze.
Ripensare a Luciano Lama oggi, alla sua vita e alla sua esperienza, può essere utile per cercare di riflettere anche sulle ragioni della sconfitta.
A una domanda del suo intervistatore che gli chiedeva di esprimere il suo pensiero sella sinistra nel Paese, rispondeva: Se la sinistra tutta intera non si fa avanti, se alle soluzioni anche integrate preferirà i sapienti dosaggi, sarà la destra, trasformista o meno (…) ad approfittarne…>>.
La sinistra unita, dunque ma :<<Io non ho mai creduto che l’unità della sinistra dovesse essere una semplice sommatoria di organizzazioni…>>.
Occorre allora privilegiare il programma e pensare alle cose da fare. E’ in questo senso che il la-voro, nella sua accezione generale, con il suo riconoscimento come valore fondante di una società evoluta, può diventare la parte costituente di un moderno partito riformista ed europeo.
Qualsiasi movimento che voglia oggi ricostruire una rappresentanza di tante forze che guardino idealmente a sinistra non può che avere il “lavoro come fondamento nella sua idea di società” per dirla con Sergio Cofferati quando era Segretario Generale della Cgil.
Invece una formazione politica che affronti una discussione costruita esclusivamente sulla base di possibili rese dei conti tra i leader, concentrata solo sugli eventuali indici di gradimento dei diri-genti, e non sui progetti e sul programma fondativo, porterà inevitabilmente al fallimento e ad altre future sconfitte.

Anche a questo progetto Luciano lama aveva lavorato a lungo nel corso della sua intensa e stra-ordinaria esperienza politica.

Poi quando ormai la malattia aveva preso il sopravvento e Luciano Lama era già da tempo co-stretto a letto lasciò una sorta di testimone che l’intervistatore annotò con accurata diligenza: <<Sai, quando arriva l’autunno della propria esistenza bisogna riuscire a non cedere al rimpianto del passato, a non chiudersi nella malinconia, per vivere con dignità anche l’avversa condizione del fisico. Non puoi fare niente contro la crudeltà della malattia. Ma l’autunno del destino sa rega-larti ancora qualche raggio di sole per guardare con fiducia al frutto del seme coltivato per una vi-ta e finalmente scoprire che matura un bel raccolto. In quel tepore ritrovi la serenità di affrontare il domani con la coscienza di non aver seminato invano. Anche se da domani toccherà ad altri>>.

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