Contributo dell’Associazione “LABOUR Riccardo Lombardi”* per il 4° Incontro del “Gruppo di Volpedo” – 24 e 25 settembre 2011 Volpedo (AL).
Care compagne, cari compagni,
questo nostro 4° incontro si svolge in un momento di particolare e drammatica difficoltà per il nostro paese. Stanno venendo al pettine nodi irrisolti nella costruzione dell’Europa, nell’apertura delle relazioni internazionali, gestite essenzialmente dal sistema finanziario-capitalistico, ma anche antiche debolezza ed errori della nostra democrazia e del nostro sistema economico, oggi pervaso da incapacità e da ingiustizie molto gravi. Paradossalmente tutto questo si verifica sia nel nostro paese a fronte di una domanda di qualità che richiama in termini precisi i valori storici di eguaglianza e libertà del movimento socialista. In questo quadro si comprende la nuova dimensione della qualità della domanda sociale entro la quale si colloca una dimensione di rispetto e di cura dell’ambiente fortemente minacciato da uno sviluppo puramente quantitativo ma, ciò nonostante, incapace di assicurare una corretta distribuzione della ricchezza . Su queste questioni la situazione del nostro paese si distingue in negativo in tutte le statistiche internazionali.
La teoria neoliberista che, con l’esplosione delle diseguaglianze e con lo sviluppo abnorme e senza regole del sistema finanziario, rappresenta la principale responsabile dell’attuale disastrosa crisi mondiale, pone da sempre tra i suoi obiettivi la riduzione dei diritti del lavoro e nel lavoro, il ridimensionamento del ruolo autonomo dei sindacati, l’azzeramento dei servizi pubblici e dei sistemi di protezione sociale, la privatizzazione – dove ancora sono pubblici – di sanità, scuola, previdenza e pensioni e la sistematica distruzione dell’ambiente che pretende di “valorizzare”. A queste concezioni occorre aggiungere per il nostro paese una condizione di incapacità di perseguire lo sviluppo non certo per delle scelte programmate ma per una ormai pluriennale difficoltà a reggere il confronto economico internazionale tra paesi avanzati, per cui esiste un nostro particolare declino che si somma alle crisi internazionali. Un declino specifico che si intreccia, non a caso, con la crisi tutta italiana del movimento socialista.
In questo nostro appuntamento dobbiamo altresì esprimere un nostro parere sulla incresciosa vicenda del decreto per la riduzione del debito e per lo sviluppo. Dopo tutte le critiche che sono state avanzate da sedi le più diverse non intendiamo ripetere in questa occasione quei giudizi radicalmente negativi, purtroppo ampiamente meritati. Ma dobbiamo impegnarci a guardare oltre, facendoci carico di una problematica certamente superiore alle nostre forze ma che tuttavia richiede a nostro parere un apporto e un contributo di tutti. Dobbiamo tutti insieme sviluppare una serie di iniziative convergenti verso la costruzione di un progetto/programma di una nuova sinistra socialista che metta al centro la costruzione di una società al cui interno siano messe al bando le discriminazioni di qualsiasi natura, nonché le logiche capitalistiche di sfruttamento del lavoro e di emarginazione economica Dobbiamo, in sostanza, aggiungere alle costanti analisi critiche della società attuale, la capacità di costruire proposte positive corrispondenti non solo alle nuove domande sociali, ma anche alle opportunità offerte dalla crescita di una società della conoscenza, dalle nuove condizioni internazionali, da una qualità evoluta della domanda di partecipazione.
I valori di eguaglianza e libertà
Ci sono, sulla carta, tutti gli elementi per immaginare una vera e propria rivoluzione democratica , uno spostamento politico e sociale nella direzione dei valori di eguaglianza e libertà, patrimonio identitario della storia socialista. Ma se questa prospettiva sembra avere qualche fondamento per paesi come la Francia o la Germania in relazione anche alla finalmente superata – o in corso di superamento – subalternità liberista da parte dei partiti socialisti di quei paesi, non altrettanto possiamo dire nel caso del nostro paese, per cui se si va diffondendo il “dovere nazionale” di mandare a casa l’attuale Governo, le prospettive di una alternativa di riformismo socialista appaiono molto ridotte se non nulle. Stiamo pagando quell’errore storico che si è determinato con il crollo del muro e con la crisi del Partito Socialista Italiano e che una concezione provinciale e opportunistica ha ritenuto di archiviare senza analisi critiche per “scoprire” la democrazia americana e la moda liberista; per arrivare faticosamente alla eliminazione delle forze riformiste e socialiste e alla creazione di un partito “impossibile” – il Partito Democratico – senza storia e senza memoria. Un partito, proprio per questa suo errore di nascita, incapace di assumere una posizione chiara e unitaria anche su questioni essenziali, ultima la posizione sullo sciopero generale indetto lo scorso 6 settembre dalla CGIL. Purtroppo dobbiamo registrare come a tutt’oggi alla debolezza del PD non si contrappone una qualche organizzazione politica di sinistra e di matrice socialista tale da coprire il vuoto esistente. Nessuno di noi è in grado di riferirsi con piena convinzione ad una struttura politica attualmente operante a sinistra. Anche la nostra azione può registrare qualche successo solo su un piano locale, paradossalmente proprio utilizzando quei limiti del PD, come a Milano con la candidatura a sindaco di Giuliano Pisapia al cui successo hanno certamente concorso con convinzione associazioni e circoli che appartengono al Gruppo di Volpedo.
Dovremo ragionare su questa esperienza perché probabilmente da un lato indica uno spazio e una possibile presenza di posizioni come le nostre, ma dall’altro, evidenzia limiti che sono anche nostri. Più in generale dovremmo alimentare, pur con i vincoli delle nostre forze, una riflessione capace di recuperare coerenza di proposte e di comportamenti e, insieme, di riprendere un cammino di sviluppo fondato sul progressivo superamento delle forme di emarginazione e di sfruttamento del lavoro, sulla preminenza delle forme di partecipazione e di responsabilità diffusa, sulla capacità di utilizzare la società della conoscenza ai fini di una qualità civile, sociale e ambientale dello sviluppo. Dall’altra la necessità do una Europa come riferimento politico per una azione riformatrice capace di inserire anche gli sviluppi delle aree sino a ieri marginali o subalterne dello scenario internazionale. Dovrebbe questo rappresentare una nostra seconda linea di iniziativa puntando sul recupero culturale del movimento socialista in Europa e sulla sua influenza anche nel nostro paese.
In questo quadro ci sembra doveroso segnalare la posizione della CGIL la cui elaborazione è l’unica che affronta congiuntamente e coerentemente la questione del reperimento delle risorse per ridurre il debito ma anche per una ripresa dello sviluppo qualificato sul fronte della programmazione dell’innovazione tecnologica, ambientale e sociale. Una questione che dovremo riprendere in quanto centrale per un programma alternativo di Governo. In questa direzione non dobbiamo temere dei passaggi intermedi necessari per il superamento dell’attuale impresentabile maggioranza parlamentare e per la riforma della legge elettorale.
Occorre un passo avanti significativo in materia di superamento o modificazione dell’attuale sistema di sviluppo. Ma dobbiamo anche rilevare come nel confuso dibattito che ha accompagnato l’elaborazione della manovra economica del governo non sono emerse posizioni da parte delle forze di opposizione che segnassero una proposta pienamente alternativa. Se si ricorda la titubanza se non l’esclusione della parola “ patrimoniale” si colgono anche i limiti di una posizione che non ha fatto della correzione della cattiva distribuzione della ricchezza nel nostro paese, l’occasione per un riequilibrio strutturale capace di agevolare la ripresa della domanda e di contribuire ad una maggiore qualità civile della nostra società. Abbiamo prima evidenziato le cause di questi limiti del PD ma dobbiamo confermare anche la modestia delle elaborazioni delle altre forze di sinistra.
Una sinistra alternativa al neoliberismo
Le risorse pubbliche degli stati e di tutti noi tornano ad essere utili, come è accaduto dopo il 2007, quando si tratta di salvare dal fallimento istituzioni finanziarie, grandi banche e compagnie di assicurazione private, cresciute in maniera patologica. Per citare un dato, dal 2008 al 2010, i soli governi dell’Unione Europea, hanno impegnato per salvare la finanza globale dai suoi errori la bellezza di 4,6 trilioni di euro! Soldi pubblici che potevano essere, con ogni probabilità, più utilmente impiegati per ridurre le conseguenze della crisi e contrastarne gli effetti.
E senza che ciò abbia provocato turbamento o scalfito le certezze dell’ideologia neoliberista, nonostante questa non abbia, come promesso, risanato i conti dello Stato, ridotto la pressione fiscale alle famiglie e aumentato l’occupazione, ma, al contrario, prodotto una ingiustizia sociale intollerabile, allargato a dismisura le distanze fra ricchi e poveri, sia nei singoli paesi che a livello globale, sfruttato sistematicamente i beni della natura e causato crisi sempre più catastrofiche. A quest’ultimo proposito nel 2007 si contavano nel mondo oltre un miliardo di persone affamate e altri due miliardi che non avevano acqua e cibo in quantità adeguata per condurre una vita normale. Mentre i 1000 individui più ricchi del mondo possiedono un patrimonio netto di poco inferiore al doppio del patrimonio totale dei 2,5 miliardi di individui più poveri. E l’Italia, con il Regno Unito e gli Stati Uniti, fa parte del gruppo dei paesi sviluppati che presentano gli indici più elevati di diseguaglianza economica: nel 2008 al 10% delle famiglie più ricche apparteneva il 44,7 per cento della ricchezza totale delle famiglie italiane. Ma il sistema finanziario internazionale è pronto a riproporre le medesime ricette del risanamento quando un Paese – in questo caso il nostro – è chiamato a sistemare i propri conti e ad attivarsi per una ripresa dell’economia. Sono le convinzioni, ad esempio, della destra repubblicana che negli Stati Uniti ha, di recente, imposto di tagliare l’assistenza ai poveri e si è opposta nel tassare i super-ricchi, sostenendo che, in questo modo, si creano nuovi posti di lavoro. Posizioni che il governo Berlusconi, pur nell’attuale fase di evidente confusione e totale inadeguatezza, ha dimostrato in più occasioni di condividere.
La capacità di attribuire ad altri le cause della crisi, rappresenta – per dirla con Luciano Gallino – il “capolavoro” del finanzcapitalismo: far dipendere il crescente debito pubblico degli stati, non dagli errori, i vizi e le sregolatezze della finanza, ma dalle condizioni di lavoro e di uno stato sociale considerati troppo generosi. Facendo in questo modo pagare il costo della crisi a coloro che ne stanno già sopportando le conseguenze. In primis: lavoratori dipendenti pubblici e privati, pensionati, giovani e disoccupati. Stupisce, se mai, che tali proposte continuino a trovare ascolto, se non condivisione, tra esponenti del centro sinistra italiano. L’area politica naturalmente chiamata, nell’attuale sistema bipolare, ad avanzare un programma di riforme capaci di incidere sulle responsabilità reali della crisi, credibilmente alternativo a quello dell’esecutivo in carica.
Le quali stanno provocando, con l’andata a regime del sistema contributivo, il rapido abbassamento dell’ammontare delle future pensioni verso la metà e, per i lavoratori “flessibili” e a bassa qualificazione, un terzo dell’ultimo salario. Un salario, così come le pensioni, il cui potere d’acquisto è fermo a quello di metà degli anni ’90, mentre ad aumentare, in particolare da noi, sono stati i profitti e le rendite. Questioni strutturali che reclamano il manifestarsi – e non solo a livello nazionale – di una sinistra vera, capace di rappresentare gli interessi del lavoro e presentare al paese un programma economico, sociale ed ambientale alternativo al neoliberismo rovinoso degli ultimi due decenni. Prendendo, finalmente, atto delle caratteristiche strutturali di una crisi dovuta a un modello di sviluppo non più sostenibile in quanto incentrato sulla crescita continua dei consumi e la quantità dei prodotti. Una sinistra finalmente liberata dalle suggestioni liberiste, quelle che, dalla metà degli anni ’80, raccontano e praticano che bisogna siano ridotti i salari e i diritti dei lavoratori, allungati gli orari, precarizzato il lavoro, tagliate le pensioni, ridotte le prestazioni sanitarie, abbassate le ore e gli anni dell’istruzione pubblica e privatizzati a prezzi stracciati i servizi pubblici. Una sinistra capace di una nuova elaborazione critica che sappia prendere atto dei rischi dell’attuale situazione e affrontare con decisione le vere questioni: la tassazione delle grandi ricchezze, la ridistribuzione del reddito dalle rendite finanziarie e speculative al lavoro, la riduzione delle imposte sul lavoro, il sostegno alla lotta all’evasione e all’elusione fiscale e contributiva, gli incentivi alla ricerca e all’innovazione, la definizione di una nuova politica industriale, l’avvio di un piano di investimenti pubblici nei settori strategici, lo sviluppo dell’economia verde, il risparmio energetico e le fonti rinnovabili.
Un compito difficile o, addirittura, impossibile? Secondo Curzio Maltese è, purtroppo, più verosimile la seconda evenienza visto il profondo pessimismo ch’egli manifesta – in questo in consonanza con Gallino – sulla capacità dei partiti della sinistra, in tutto l’occidente, non di praticare, ma solo di immaginare il cambiamento che sarebbe necessario. Quello di rappresentare gli interessi dei lavoratori e dei soggetti più deboli, rimanendo collegati a sindacati forti e capace di fornire una ricetta economica alternativa al neoliberismo. Come dargli torto se, da noi, la formazione più consistente dell’opposizione, il Partito Democratico, non trova niente di meglio che dividersi sullo sciopero generale opportunamente e tempestivamente deciso dalla Cgil contro una manovra-pasticcio del governo, oltretutto, giudicata, da tutto il centro sinistra, come iniqua ed inefficace.
Tutte considerazioni che rendono evidente l’urgente bisogno di ridare visibilità e forza alla visione del socialismo.
Se non ora, quando?
*per l’Associazione:
Renzo Penna, Mauro Beschi, Sergio Ferrari
Roma, 20 settembre 2011
www.labour.it