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Filippo Boatti: “Meloni, adesso togli quella fiamma”

La destra vince ma non sfonda nel paese, come era atteso e anche grazie alla rimonta di Conte-M5S. Certo la sua forza elettorale è moltiplicata da una legge elettorale indecente e incostituzionale che Letta e la Meloni di comune accordo non hanno voluto modificare. Ma la realtà è che gli italiani, i pochi che vanno ancora alle urne beninteso, non sanno più letteralmente a che santo votarsi e i voti della Meloni vengono principalmente dai suoi alleati di destra che li perdono per la senescenza di Berlusconi da un lato e per le comiche disavventure della Lega dall’altro. Gli operai e le classi popolari abbandonate dal falso centrosinistra neoliberale italiano, i cui riferimenti sono gli imprenditori e i mercati (e si vede numericamente, infatti non vince mai un’elezione pur essendo sempre al governo) erano già passati alla concorrenza da molto tempo da quando Berlusconi sconfisse Chiamparino all’uninominale nel collegio di Mirafiori, e da quando i ricchi borghesi milanesi eleggono il sindaco di Milano mentre il resto della regione è tutto “verde”.

Non che la denominazione di “centrodestra” abbia alcun riferimento con la realtà in una coalizione dove di moderato c’è ben poco. L’addolcimento della durezza dell’acqua della “destra” con gli ioni del “-centro” deriva un po’ dall’ipocrisia dei giornali dell’establishment che più di venti anni fa hanno rapidamente accolto Berlusconi e i suoi accoliti nel “salotto buono”; e un po’ dalla natura borghese e salottiera di questa destra, che se dovesse pensare di marciare su Roma non saprebbe neppure da che parte cominciare. Sono i sogni che fa La Russa di notte ma che, quando si sveglia al mattino, sa di non poter realizzare anche perché la prospettiva della discoteca è giustamente più attrattiva.

In realtà abbiamo a che fare col solito centrodestra, coi soliti protagonisti di sempre, da Tremonti a La Russa alla Santanché, con Nordio, Sgarbi, Marcello Pera ecc. che rimane elettoralmente compatto (anche se non politicamente) mentre i poveri elettori, ormai anche loro disperati come quelli del PD, passano da una lista all’altra della coalizione a seconda delle condizioni del momento. Questa volta era il turno della “Giorgia” nazionale la cui discendenza diretta dal partito post-fascista per eccellenza ne fa all’estero una osservata speciale con tutte le conseguenze negative per la nostra già ridotta autonomia di scelta e di governo che si possono immaginare.

Certo Giorgia Meloni si è dannata tanti anni alla ricerca di una identità conservatrice “moderna”, rendendosi benissimo conto che la nostalgia del Duce è un residuato bellico completamente inservibile, utile a tener buono uno zoccolo duro elettorale dove ancora l’idea che Mussolini “ha fatto anche cose buone” alligna con qualche radicata nostalgia. Ma stavolta accade l’imprevisto alla stessa Meloni: ha vinto lei le elezioni ed essere la prima donna virtualmente presidente del Consiglio è solo la minore delle novità, la cosa che più la terrorizza (come ha notato perfidamente Crozza) è che adesso le tocca veramente governare, e qui non si scappa, servono idee e programmi mentre a disposizione ha solo un mucchio di slogan consumati e vecchie parole d’ordine, come il presidenzialismo, del tutto inservibile se si pensa che la vera grande sfida contemporanea è quella di riportare l’economia sotto il controllo della politica, sottraendola alla sovranità assoluta e ai capricci autoritari dei Mercati.

Allora la Meloni, oltre a tutta la paccottiglia di Atreju (ci scusino l’autore della “Storia infinita” Michael Ende che era un convinto antifascista e anche il povero Tolkien stupidamente politicizzati dall’estrema destra italiana) – paccottiglia utile dicevamo in qualche modo a creare un mondo fantastico dove potersi rifugiare via dalla realtà di un mondo occidentale (e non solo) sempre più democratico, e che aveva nettamente rigettato il fascismo, ha visto dunque la Meloni in Orban e soprattutto in Trump, e nella partecipazione al CPAC americano, la componente di estrema destra del partito repubblicano, l’occasione per trovare un’identità conservatrice forte, capace di ingaggiarsi in battaglie identitarie e culturali (evitando accuratamente di parlare di questioni economiche e sociali dove non si distingue dal mainstream neoliberale) che fosse trainante alle elezioni. E sicuramente lo è. Perché il fascismo di ieri è inservibile, con le sue marcette e i suoi orbaci, il fascismo di oggi è l’internazionale sovranista (*) guidata dai Trump e dai Boris Johnson a occidente, e dagli Orban e dai Putin coi suoi ideologi come Dugin a est (le cui idee ispirate a Evola hanno avuto molto successo nella destra e fra i “sovranisti” europei). Trump in particolare si è dimostrato particolarmente pericoloso, un vero e proprio genio del male, capace di inventarsi un buffo tentativo di colpo di stato guidato da un tizio con un palco di corna sulla testa ma efficace e quasi riuscito, dove sono morte molte persone per arma da fuoco, è il caso di ricordarlo, il 6 gennaio 2021 in un paese che sembrava del tutto immune da simili tentazioni o derive.

Il problema è che la Giorgia nazionale vorrebbe, anelerebbe a questa dimensione luciferina trumpiana, ma non è. Non è all’altezza. E’ piccina. Il golpe lo fa Trump capace di unire gli ultra-miliardari alla classe operaia abbandonata dai dem. Non la classe media o benestante che sostiene la Meloni (nell’ambito del centrodestra gli operai votano tuttora di più la Lega che non Berlusconi o FdI). Siamo quindi al più classico dei vorrei ma non posso. Come è piccino Salvini che vorrebbe anche lui, ma più che altro si atteggia, e finisce per collezionare sberleffi come quando in Polonia fu cacciato e deriso dal sindaco di Przemysl, Wojciech Bukan, che gli rinfacciava la t-shirt di Putin indossata da Salvini nei suoi tragicomici selfie sulla Piazza Rossa. La natura di Giorgia Meloni è quella di una ultra-destra parolaia, ma con poca sostanza nel concreto. Già la Le Pen in Francia, che ha la stessa identica “fiamma” del postfascismo nel logo del partito, è poco più che una simpatica vitellona di provincia (in senso felliniano ça va sans dire) che due ore dopo avere perso le elezioni presidenziali del 2017 era già in discoteca a ballare per consolarsi della malasuerte. Come del resto è stato molto più pericoloso Berlusconi, quando era in forma, col suo tele-populismo padronale antesignano di Trump che non qualunque reduce o nostalgico della fiamma tricolore (oltretutto stiamo parlando dei figli e nipoti dei fondatori che qualche tentazione di golpe invece ce l’avevano avuta).

Inoltre la Meloni è pur sempre una post-fascista in un paese con una Costituzione saldamente antifascista, che ha garantito anche la rappresentanza del Movimento Sociale e della destra (come dice Corrado Guzzanti: è facile essere fascisti in un paese democratico, provate a essere democratici in un paese fascista!) e dove una vasta maggioranza degli italiani è antifascista (anche se magari non condivide l’uso strumentale che la sinistra ufficiale ha fatto e fa tuttora dell’antifascismo, fino a banalizzarlo, ma di questo parleremo eventualmente un’altra volta).

Naturalmente ci sono gravi rischi di altro tipo, concernenti alcuni diritti civili importanti, come quello all’aborto (su cui occorrerà vigilare), il trattamento umano verso i migranti, ecc. Mentre per quanto riguarda menare gli studenti in piazza e mandarli a morire sul lavoro non sicuro e non pagato, questa è una specialità del PD il cui record è difficile da eguagliare anche da parte della destra. Sicuramente occorrerà da parte del parlamento e della società civile un controllo attento. Ma per quanto riguarda i diritti sociali ed economici, non vi è praticamente nessuna differenza coi governi del PD, a parte il tentativo del PD di riverniciarsi di “rosso” a 15 giorni dalle elezioni a cui però ovviamente nessuno più crede. Tanto che la famosa “agenda Draghi” smarrita dai poveri Letta e Calenda è stata miracolosamente ritrovata proprio da Giorgia!

Ma i rischi della “fiamma” sono invece legati al danno di immagine e dunque sostanziale che l’Italia e il governo italiano – a guida auspicabilmente di Giorgia Meloni che ha il diritto-dovere di governare dopo l’esito elettorale a lei favorevole – stanno già incontrando e incontreranno nel contesto internazionale dove se si vuole recuperare peso e posizioni, occorre essere credibili se si vuole perseguire l’interesse nazionale: lo slogan preferito di Giorgia, che però non ha la benché minima idea su come attuarlo né programmi credibili di re-industrializzazione del paese ed è già costretta ad affidarsi ai magheggi finanziari di lord Draghi.

L’imbarazzante fiamma del movimento sociale dei nostalgici di Salò che ha origine, ormai lo sanno in tutto il mondo, dall’ideale braciere perenne che arde, esotericamente e lugubremente, sulla tomba del Duce a Predappio non è un bel biglietto da visita nella scena internazionale.

Questo è qualcosa che all’estero ci danneggia, siamo pur sempre il paese che il fascismo lo ha inventato ed esportato, e se vuole essere credibile Giorgia Meloni, se non vuole essere una sorvegliata speciale, con un governo destinato a non durare e a essere sostituito dall’ennesimo “tecnico” (il PD e Calenda non vedono l’ora) deve levare quel simbolo dal logo del partito. Questo stimolerebbe anche l’opposizione a uscire finalmente dal “teatrino della politica” e non limitarsi a facili attacchi strumentali, ma a inventarsi un reale percorso politico, democratico e partecipativo che porti prima o dopo a una credibile alternativa di governo. Capisco che non puoi fare un congresso della destra nazionale mentre stai pensando a formare il governo, con gli alleati che ti ritrovi, sei terrorizzata dalla situazione dei conti pubblici, devi affrontare una guerra in corso e una recessione in arrivo. Ma per quanto mi riguarda sono generoso e mi accontento di un annuncio, un intervista, ecc. che avrebbe già il suo effetto salutare nel dimostrare un minimo di serietà di intenti. Vuoi difendere l’interesse nazionale? Bene comincia col renderti presentabile, o fare almeno lo sforzo di dimostrarlo.

(*) sovranista a parere di chi scrive è chi prende sul serio (in alcuni casi troppo sul serio) le inapplicabili teorie sovraniste, che all’inizio erano una provocazione intellettuale da parte di alcuni economisti e giuristi che volevano sottolineare la scarsa legittimità di determinate istituzioni sovranazionali; e una furba e pericolosa frode da parte di altre menti diaboliche (la premiata ditta Bannon-Trump col loro emulo Bolsonaro).

(**) La rappresentazione del Duce come “grande nocchiero” è del futurista Thayaht. Che a differenza del Duce, ha fatto realmente anche cose buone, per esempio è il geniale inventore della tuta insieme al fratello Ram (nomi d’arte di Ernesto e Ruggero Michahelles).

da: www.cittafutura.al.it – 

 

 

Lettieri: La “Grande Divergenza” e i tormenti dell’euro

Antonio Lettieri (da Eguaglianza & Libertà).
Un decennio dopo la crisi il divario fra le economie di Stati Uniti e Eurozona è una condanna senza appello per le politiche che hanno fatto un feticcio del controllo dei conti pubblici a scapito della crescita e dell’occupazione. Se davvero l’Unione e l’euro si vogliono salvare quelle politiche vanno rottamate.

Mentre si avvia alla conclusione il secondo decennio del secolo è possibile tracciare un primo bilancio dopo la crisi globale che segnò l’autunno del 2008 in America. Da un lato, trova una conclusione la sfida commerciale fra stati Uniti e Cina con un compromesso. Una soluzione importante ma, probabilmente, provvisoria trattandosi di un contrasto per l’egemonia a livello globale destinato a durare e intensificarsi nei prossimi anni. Dall’altro, l’accentuarsi del divario fra le due maggiori economie capitalistiche: l’Eurozona e gli Stati Uniti. Vale la pena di soffermarsi su questo secondo aspetto che caratterizza i rapporti all’interno del mondo occidentale.
Da questo punto di vista, il decennio lascia in eredità un quadro di radicale divisione. Gli Stati Uniti si avviano a chiuderlo col più basso tasso di disoccupazione degli ultimi cinquanta anni, sia pure in un contesto di persistenti grandi diseguaglianze sociali. Al contrario, l’Eurozona chiude il decennio in un quadro di stanziale stagnazione quando non recessione.

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Il commento di Tronti a “Se otto ore” di Sergio Negri

Mercoledì 9 ottobre 2019, ore 17, presso la sala CGIL Roma Lazio in via Buonarroti 12 – Roma, ci sarà la presentazione del volume SE OTTO ORE di Sergio Negri. Insieme all’autore nel corso del dibattito, moderato da Renzo Penna (presidente Associazione LABOUR “R. Lombardi”) e con i saluti introduttivi di Alessandro Mauriello (Associazione Labour), vi saranno gli interventi dei seguenti relatori: Leonello Tronti (economista del lavoro), Michele Azzola (segretario Cgil Roma Lazio),  Graziella Rogolino (segretaria Spi-Cgil Piemonte). L’iniziativa è promossa dall’Associazione LABOUR “Riccardo Lombardi”, dalla CGIL di Roma e del Lazio. 

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Lettieri: “La discutibile eredità di Mario Draghi”

Ha salvato l’euro, ma sempre sostenendo come contropartita il deleterio binomio austerità- riforme strutturali, che hanno fatto dell’Europa la zona a più bassa crescita e più alta disoccupazione del mondo sviluppato. Solo se questa politica cambierà sarà possibile risollevare l’economia

L’atteso discorso di Mario Draghi del 12 settembre non ha comportato particolari sorprese, ma può essere di stimolo al cambiamento di alcuni aspetti della poltica economica dell’eurozona. Nelle ultime settimane era stato previsto che avrebbe annunciato una ripresa del Quantitative easing (l’acquisto di titoli pubblici e, in parte delle imprese, da parte della Banca centrale). Secondo le previsioni si sarebbe potuto trattare di una cifra fra trenta e quaranta miliardi mensili. La disponibilità sarà invece solo di venti miliardi, ma in compenso la misura non ha limiti temporali predefiniti, essendo destinata a durare fin quando l’inflazione media si sarà avvicinata alla soglia del 2 per cento.

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Ricordo di Paolo LEON

Paolo LeonL’11 giugno è mancato a Roma Paolo LEON, economista keynesiano, professore emerito di Economia Pubblica alla Facoltà di Economia dell’Università Roma Tre. Una personalità competente e autonoma, un uomo di sinistra, un socialista, estimatore di Riccardo Lombardi e Fausto Vigevani. Un amico del Sindacato e un collaboratore della Cgil. L’Associazione “LABOUR R. Lombardi” nell’esprimere il proprio cordoglio ai famigliari lo ricorda come amico e compagno in alcuni dei momenti pubblici nei quali, con noi, ha partecipato fornendo sempre originali e intensi contributi. In particolare il 5 marzo 2013 in Cgil Nazionale, con la Segretaria Susanna Camusso, per ricordare Fausto Vigevani a 10 anni dalla scomparsa; il 20 ottobre 2014 al Senato della Repubblica per la presentazione del libro “Fausto Vigevani: il Sindacato, la Politica” di Edmondo Montali e Sergio Negri e, più recentemente, il 3 dicembre 2015, il suo contributo scritto alla presentazione, nella capitale, del libro di Luca Bufarale: “Riccardo Lombardi la giovinezza politica (1919-1949)”. Sul questo sito sono presenti alcuni dei suoi interventi.

Zagrebelsky: Una Costituzione per farsi obbedire

Gustavo-Zagrebelskydi Gustavo Zagrebelsky (*)

 Democrazia e lavoro sono le radici della nostra Costituzione del 1948. Una cosa è cambiare, un’altra è il come cambiare. Il superamento del bicameralismo perfetto è largamente condiviso, ma siamo di fronte a un testo incomprensibile e al ritorno a condizioni pre-costituzionali. Coloro che, la riforma costituzionale, la vedono gravida di conseguenze negative non si aggrappano alla Costituzione perché è “la più bella del mondo”. Sono gli zelatori della riforma che usano quell’espressione per farli sembrare degli stupidi conservatori e distogliere l’attenzione dalla posta in gioco. La posta in gioco è la concezione della vita politica e sociale che la Costituzione prefigura e promette, sintetizzandola nelle parole “democrazia” e “lavoro” che campeggiano nel primo comma dell’art. 1. Qui c’è la ragione del contrasto, che non riguarda né l’estetica (su cui ci sarebbe peraltro molto da dire, leggendo i testi farraginosi, incomprensibili e perfino sintatticamente traballanti che sono stati approvati) né soltanto l’ingegneria costituzionale (al cui proposito c’è da dire che nessuna questione costituzionale è mai solo tecnica, ma sempre politica).

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Gallino: «Tsipras ha respinto un colpo di stato della Troika»

OXIIntervista a Luciano Gallino di Roberto Ciccarelli, 07 luglio 2015 da “Nuovatlantide”.
Luciano Gallino: «Il referendum greco potrebbe far crescere il numero delle persone che vogliono farsi sentire sull’euro o sul funzionamento dell’Unione Europea»
«Il referendum contro l’austerità in Grecia è stato politicamente importante per l’intera Europa — sostiene Luciano Gallino, autore di Finanz Capitalismo e Il Colpo di stato di banche e governi (Einaudi) — Se un popolo ridotto in miseria, che conta 11 milioni di abitanti, riesce a creare seri problemi ai paesi più importanti d’Europa, con un peso economico e politico come la Germania, ad un certo numero di persone potrebbero venire delle idee.”

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Rodotà: “non c’è democrazia senza società”

Costituzione: Rodotà, ritrovare via maestra ora abbandonatada”Rassegna.it” – La Costituzione italiana è una Costituzione di relazioni e di legami: tra individui, certamente, ma anche e soprattutto tra i corpi sociali. Non esiste democrazia senza società e senza la forza della rappresentanza e del lavoro. E’ stato un intervento lucido e appassionato – preoccupato ma non pessimista – quello di Stefano Rodotà, invitato a tenere una lectio magistralis (“Democrazia e società”) nel corso delle Giornate del lavoro della Cgil che si stanno svolgendo a Firenze. Una democrazia malata e sotto pressione, ha detto il professore, ma che ha ancora la forza e gli anticorpi per reagire soprattutto nella società organizzata.

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Il 6/7 giugno a Roma: per la Coalizione Sociale

coalizione socialeIl documento di convocazione della Coalizione Sociale a Roma il 6 e 7 giugno 2015, presso il Centro Congressi Frentani – Associazioni, movimenti, sindacati, donne e uomini che in questi anni si sono battuti contro le molteplici forme d’ingiustizia, di discriminazione e di progressivo deterioramento dei diritti, decidono oggi di promuovere un cammino comune. In una società fondata sull’individualismo e sulla competizione tra le persone è necessario unirsi, fare rete, coalizzarsi. Dopo anni di crisi economica, sociale e ambientale, di politiche di austerità, sappiamo che nulla può tornare a essere come prima, ma proprio per questo pensiamo sia possibile immaginare un futuro di solidarietà e giustizia. Consapevoli che nessuno di noi può farcela da solo a cambiare il corso degli eventi, che per evitare scelte individualistiche o corporative sia necessario unire le forze e l’impegno.

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Sinistra masochista e sinistra truffaldina

destra-e-syriza-sinistradi Carlo Clericetti da “Eguaglianza & Libertà on-line”. Davvero, come dice Matteo Renzi, con un programma di sinistra inevitabilmente si perde? Non solo non è vero, ma anche l’esito delle elezioni inglesi dev’essere esaminato con un po’ più di attenzione. Se comunque per vincere si dovesse proporre una politica di destra, cosa c’entra più la sinistra? “Dalla Liguria a tutta Europa c’e’ un solo Pd, ma ci sono due sinistre, una a cui piace cambiare e una a cui piace perdere”. Così Matteo Renzi a Genova in un intervento per appoggiare la candidatura della fedelissina Lella Paita alla presidenza della Regione. Concetti poi ripetuti in una video-intervista a “Repubblica.it”, dove “quella” sinistra diventa “masochista”. E non manca una rivendicazione sul Jobs act: ” Abolire l’articolo 18 è di sinistra.  Assolutamente sì, perché si danno tutele a chi ne era privo. E’ una rivoluzione assolutamente di sinistra, per me. Quello che stiamo facendo sul mercato del lavoro in Italia lo hanno già fatto Schroeder in Germania e Clinton negli Usa. E’ di sinistra riformista”.

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