Il commento di Tronti a “Se otto ore” di Sergio Negri

Mercoledì 9 ottobre 2019, ore 17, presso la sala CGIL Roma Lazio in via Buonarroti 12 – Roma, ci sarà la presentazione del volume SE OTTO ORE di Sergio Negri. Insieme all’autore nel corso del dibattito, moderato da Renzo Penna (presidente Associazione LABOUR “R. Lombardi”) e con i saluti introduttivi di Alessandro Mauriello (Associazione Labour), vi saranno gli interventi dei seguenti relatori: Leonello Tronti (economista del lavoro), Michele Azzola (segretario Cgil Roma Lazio),  Graziella Rogolino (segretaria Spi-Cgil Piemonte). L’iniziativa è promossa dall’Associazione LABOUR “Riccardo Lombardi”, dalla CGIL di Roma e del Lazio. 

Il commento di Leonello Tronti

L’argomento
L’argomento del libro è estremamente importante: le otto ore come limite massimo all’orario di lavoro giornaliero sono state una pietra miliare delle conquiste della classe lavoratrice, al livello della legalizzazione dei sindacati o dell’istituzione del Primo Maggio.
Ed è molto singolare che in Italia la campagna per le otto ore si sia affermata, prima di ogni altra situazione, tra le mondine della provincia di Vercelli, in una condizione di lavoro agricolo certo importante ma del tutto particolare, perché svolto quasi esclusivamente da donne, spesso immigrate da altre parti del Paese, e comunque per un periodo relativamente breve (circa 40 giorni l’anno).  Tuttavia, nonostante queste condizioni di relativa “marginalità” all’interno del mondo del lavoro, con la lotta per le otto ore condotta all’inizio del secolo scorso, le mondine si sono guadagnate una posizione di assoluta centralità nella storia del movimento operaio italiano. L’epica delle mondine, del lavoro in risaia e delle lotte per migliorare le condizioni di lavoro delle mondariso si è tramandata nelle canzoni storiche di queste lavoratrici. Canzoni importantissime, divenute fondamentali per l’accompagnamento del conflitto sociale e la sollecitazione della solidarietà di classe: da Se otto ore a Bella ciao (che divenne l’inno della Resistenza al nazifascismo e oggi fa il giro del mondo come canzone di lotta internazionale), da Sciur padrun da li belli braghi bianchi a Saluteremo il signor padrone, Amore mio non piangere ecc. Indimenticabili le interpretazioni della compianta ex mondina Giovanna Daffini. E poi, all’inizio della storia della nostra Repubblica, il film Riso amaro (1949) di Giuseppe De Santis, con la sceneggiatura di Corrado Alvaro e Carlo Lizzani e le musiche di Goffredo Petrassi, interpretato da una memorabile Silvana Mangano, da un giovanissimo Vittorio Gassman e da Raf Vallone. E scolpito in esso il tema del lavoro nero e del conflitto tra le mondine regolari e quelle irregolari, conflitto che nel film si conclude con un richiamo forte e vincente alla solidarietà di classe.

Lo stile narrativo
Se 8 ore è un romanzo storico ma scritto secondo lo stile della storia personale, quasi un’opera di microstoria, tanto che la dedica alla madre mondina fa dubitare che non si stia parlando in realtà di una gloriosa pagina della storia familiare dell’autore (nato a Casalvolone, in provincia di Novara, nel 1949), una storia che forse si è sentito raccontare o almeno accennare sin da quando era bambino. Rosa Maria, la protagonista del romanzo, ne potrebbe forse essere stata la nonna o la bisnonna. Una donna davvero speciale, Rosa Maria: forte e sensibile, umanamente e culturalmente. Una lavoratrice che per ragioni economiche non ha potuto approfondire la sua sete di cultura, ma ne comprende il ruolo emancipatore al punto da impegnarsi nell’alfabetizzazione di contadini e braccianti per consentire loro l’accesso al voto, allora precluso agli analfabeti. E parimenti impegnata con l’agitazione politico-sindacale per il riscatto delle mondine e dei lavoratori del contado di Vercelli.
Particolarmente interessante è anche il ritratto dell’avvocato Modesto Cugnolio che, senza mai nominarlo, l’autore delinea attraverso le impressioni e i sentimenti che suscita nel protagonista del romanzo – l’io narrante che si innamora di Rosa Maria fin da ragazzo ma, a differenza di lei, vive in condizioni economiche tali da consentirgli di continuare gli studi fino alla laurea in giurisprudenza. E che poi si metterà al servizio dell’avvocato (Cugnolio) nell’arduo impegno della difesa legale dei lavoratori e, in particolare, degli arrestati per il grande e vittorioso sciopero del 1° giugno 1906, accusati di violazione della libertà del lavoro e di resistenza o addirittura violenza alla Regia Cavalleria.

L’apparato di documentazione
Il romanzo rivela peraltro un notevole lavoro di ricerca che utilizza opportunamente (senza citarle per evitare di appesantire la lettura) fonti soprattutto giornalistiche (immagino, soprattutto La Risaia, fondata da Cugnolio nel 1900; ma anche l’Avanti!, fondato nel 1896, e certamente altre), ma pure fonti giudiziarie (gli atti del processo del 1906), giuridiche e contrattuali (ad esempio il Regolamento Cantelli e altro). La ricchezza delle fonti, inserite nel testo come parte integrante del romanzo, consente una ricostruzione in presa diretta della cronaca, del commento politico, del comizio, dell’evidenziazione della lotta sui principi.

Per concludere
Insomma, in conclusione un bel libro che, insieme alla ricostruzione storica e alla storia personale di amore e di lotta di gente di risaia, ci trasmette lezioni importanti su come anche una comunità in fondo debole e temporanea, come quella delle mondariso, attraverso l’individuazione di giusti obiettivi (le otto ore e il miglioramento salariale, che sono anzitutto una questione di salute – da notare su questo punto la frecciata contro Camillo Golgi, il grande anatomista primo premio Nobel italiano, proprio nel 1906, che aveva definito “una leggenda” il carattere malsano della risaia), riesca con l’organizzazione, il rafforzamento culturale e la protesta – una protesta pacifica, ma forte e continua –, a sconfiggere consuetudini sociali feudali, dando corpo a una concreta idea di progresso generale delle condizioni di vita dei ceti più deboli.
Oggi, poi, l’argomento del tempo di lavoro – non solo dell’orario giornaliero, settimanale o mensile, ma del tempo di lavoro nel ciclo di vita – insieme a quello del salario e dell’equa distribuzione del prodotto sociale, è diventato nuovamente cruciale per il futuro del lavoro, a fronte della digitalizzazione e della robotizzazione, a fronte di quella Quarta Rivoluzione industriale che richiama con forza crescente la parola d’ordine di Pierre Carniti (nato nel 1936 a Castelleone, in Lombardia ma non troppo lontano da Vercelli): “Lavorare meno, lavorare tutti!”.

 

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